Aquila, Lisario, Morfisa, Elide / Le personagge dei romanzi di Antonella Cilento

16 Settembre 2018

Le protagoniste, le personagge, degli ultimi quattro romanzi di Antonella Cilento provengono da secoli e luoghi diversi, appartengono a strati sociali differenti, hanno vicende che si snodano lungo la narrazione completamente dissimili, loro stesse fisicamente e caratterialmente sono molto lontane una dall’altra ma, da una analisi più approfondita, hanno moltissimo in comune oltre al fatto di essere donne. 

Scrittrice con alle spalle 14 libri, tra romanzi e racconti, nonché autrice per teatro, radio e cinema, Antonella Cilento dalla sua Napoli è una tessitrice di storie di donne. Con una forte passione per la storia e per l’arte, che costellano i suoi scritti, Cilento imbastisce e poi cuce magistralmente vicende che si spostano su tempi e piani diversi, facendo talvolta sfoggio di una grande padronanza dell’uso del magico e del fantastico. Di fatto una donna che vive di scrittura, tra libri, articoli, saggi, una scuola di scrittura che ha compiuto i venticinque anni, Cilento è colei che si diverte anche a creare contesti e abbinamenti letterari anomali: da dieci anni “Strane coppie” è una manifestazione da lei ideata e condotta in cui, in ogni appuntamento, due autori diversi raccontano due scrittori altrettanto diversi. I punti di incontro e di lontananza, in tal modo, dei narratori e dei narrati, diviene il filo che impuntura nuove idee, alimenta intrusioni nelle passioni letterarie degli altri, spalanca vetrate su libri e punti di vista alternativi, insomma sposta i confini labili di chi vorrebbe ogni autore fermo immobile nella sua collocazione.

 

“Strane coppie” crea la magia, e anche qui sta il fantastico e il magico, di figurarsi autori come Janet Frame dialogare con Goliarda Sapienza come se fossero lì sul palco e scoprire, nell’apparente infinita differenza, la moltitudine di contatti; Virginia Woolf, raccontata da Valeria Viganò, l’ho vista coi miei occhi alzarsi e abbracciare Karen Blixen che usciva dalle parole di Laura Bosio. Ho pensato così di prendere questo dono che Antonella Cilento ha costruito con “Strane coppie” e riprodurlo con le protagoniste di quattro suoi romanzi: Aquila di “Isole senza mare” (Guanda), Lisario di Lisario o il piacere infinito delle donne (Mondadori), Morfisa, di Morfisa o l’acqua che dorme (Mondadori) ed Elide Sorano di Neronapoletano (Guanda).

 

 

Sono personagge, ovverosia protagoniste con la volontà di incidere nella propria storia con tutti gli strumenti, talvolta ben pochi, a loro disposizione. Sono personagge spesso menomate, talvolta nel fisico ma sempre nell’anima, con un impulso alla ribellione, un rifiuto alle imposizioni che le condannerebbero a una posizione non solo di inferiorità ma anche di schiavitù nella società in cui vivono. Sono personagge che intercettano le opportunità per riscattarsi: le accomuna la capacità di leggere e scrivere, impossibile in alcuni secoli per le donne, capacità acquisita talvolta di nascosto da tutti e, soprattutto, taciuta ai più per non destare sospetti. Accumulano così una certa cultura non frivola, che le sostiene nella vita e le aiuta a togliersi di impaccio in molte situazioni. Le accomuna il legame con l’acqua, acqua che le circonda fisicamente o acqua come strumento di rinascita, e soprattutto con la città di Napoli, anch’essa volendo una personaggia dei suoi romanzi: Napoli sempre al centro del narrare di Antonella Cilento che la va a cercare sin in un passato lontano.

 

A guardarle da vicino, a metterle tutte insieme magari in un girotondo di sedie, è un cerchio di signore molto diverse per costumi e fattezze, per carattere e per vicende personali, per l’epoca o le epoche storiche che hanno attraversato. Me le immagino spesso, debbo ammetterlo, ognuna in una sedia, in un cerchio a guardarsi e sorridersi con intensità perché il tempo per godersi questo stare è poco: loro, le personagge di Antonella Cilento, amano stare a guardare. 

 

Aquila arriva da Isole senza mare con un abito blu e le sue bande di capelli neri, si alza il velo mostrando le sopracciglia dritte, toglie il cappello: è giovane e bella questa contessa spagnola che per non finir in miseria vende il suo corpo. Lo ha fatto sin da giovane, in un momento preciso aveva sentito una rabbia immensa che le cresceva dentro, un’ansia di rivolta e di distruzione. La vita non l’avrebbe spuntata con lei. Non sarebbe morta di fame, non sarebbe diventata una pezzente. Da lì al vicolo “Sfregatette” a Roma il passo è stato misurato e composto: un po’ di scuola nel miglior lupanare, l’amicizia con la tenutaria in rara vena di confidenze, una maison tutta per sé in un luogo senza prostituzione, via Margutta a metà Ottocento, e il sogno, nonostante la sua lucida freddezza, di incontrare l’Innamorato. Aquila ha una intelligenza vivace e mobile che la rende padrona di situazioni che talvolta non ha cercato ed è ghiotta di cioccolato. Infatti, dopo essersi accomodata sulla sedia e averne messa accanto una per Secunda, l’invisibile sorella, sta scartando una scatola di cioccolatini. 

 

Giunge anche Lisario da Lisario o il piacere infinito delle donne, guardandosi attorno curiosa con i suoi occhi verdi, verde sottobosco, i lunghi capelli neri, la pelle bianchissima e un vestito azzurro da cui escono due mani lunghe intente a sistemare, sedendosi, il colletto che nasconde, oltre la cicatrice, tre nei su un lato del collo. Nella Napoli barocca si muove questa creatura apparentemente fragile, muta a causa di un maldestro intervento chirurgico, ma che alle prima avvisaglie di matrimonio impostole dalla madre a lei poco più che bambina – un notabile napoletano, senza denti, il fiato marcio… – decide di ribellarsi con le scarse armi che ha – Una gran rabbia mi cresce dentro: alzo il pugno e avviso il Cielo che dormirò: giorni, settimane, mesi e anni e mai più giuro mi sveglierò –. Queste parole Lisario non le può pronunciare ma le scrive nelle sue lettere, e mantiene fede alla promessa: dorme sei mesi finché un medico fallito in fuga dalla Spagna riesce a svegliarla, e diverrà suo marito. Lisario è scaltra e viva, decisa e testarda, ora siede mangiucchiandosi un poco le unghie.

 

Morfisa, direttamente da Morfisa o l’acqua che dorme, è portata in braccio e accomodata su una sedia perché nata senza piedi, i capelli lunghi neri e arruffati le scendono lungo il corpo, la pelle scura e gli occhi di brace, figlia riconosciuta del Duca Giovanni vive in una grotta e viene adorata come la Madonna Nera, protettrice di Napoli e della creatività celata nel cuore degli umani. Ignorata e lasciata al suo destino fino a quando il padre, per sanare alcune vicende politiche, decide di darla in sposa al bizantino Teofanès Arghìli che, benché non interessato al genere, la brama per la sua potenza inventiva. Dall’anno Mille in cui la incontriamo, Morfisa sarà lungo tutte le pagine braccata da lui che vuole diventare un grande poeta rubandole il segreto del narrare storie, ma lei usa gli stratagemmi che ha per fuggire: la magia che le permette di mutare forma. Nel frattempo si innamora di un fanciullo.

Elide Sorano era già arrivata prima delle altre dalle pagine di Neronapoletano, perché vive in tempi vicini a noi e la strada è più breve. Ha con sé una borsa piena di documenti da cui sbuca un volumetto di marocchino rosso rilegato e incisioni color oro, gli Atti di Famiglia di Giambattista Vico, è una ragazza come tante – mai stata una sventola, non mi offendo – che sulla soglia dei trenta anni si sente la giovinezza sfuggire. Impiegata a Napoli ai Beni Culturali si trova spesso a vivere una realtà tutta propria: Elide ha studiato e il suo studio è divenuto la realtà concreta della sua vita tanto da mescolare la storia dei secoli passati con le vicende e le persone del presente, i personaggi delle opere d’arte che camminano sotto contemporanee spoglie. Una ragazza troppo spesso colta dal panico e dell’ansia, con un capo scortese e burbero, un’amica del cuore da sempre presente, che decide negli anni Duemila di affrontare panico e vicende oscure per trovare il bandolo della matassa di se stessa. Ed è l’amore che la conduce in una vicenda imprevedibile e tortuosa. 

 

Per le personagge nate dalla scrittura vitale di Cilento, sarà l’amore a cambiare la vita, a svoltarla, sarà L’amore, l’amore quello vero, quello che non finisce, quello che non passa più… – sospira Elena in L’amore, quello vero – ma in un’accezione molto diversa dal consueto. In loro l’amore, che tanto hanno desiderato, è l’occasione di un viaggio in se stesse che, per quanto tortuoso e faticoso, le porterà a cambiare pelle, a evolversi e a poter vivere anche senza l’amato. Parrebbe suggerirci l’autrice che sono le trasformazioni che contano, quelle sofferte e attese anche per secoli, come per Elide e Morfisa, quelle trasformazioni che hanno sia a che fare col magico e col fantastico sia con la forza della volontà. 

La trasformazione è il potere, spesso beffardo, delle donne, quel potere femminile che permette di sopportare e superare le costrizioni – le donne sanno inventare numerosi sistemi per sopravvivere alle costrizioni dice il medico che sveglierà Lisario dal suo lungo sonno –; quel potere che permette di guardare con occhio lucido alle altre, pure alle eroine della letteratura come fa Morfisa – Correggimi ministro: a Enea muore la moglie, per Enea si ammazza Didone. Con Enea si sposa Lavinia per ordine del padre, quando poteva essere lei la regina. Dove passa il tuo pio eroe le donne muoiono, o sono infelici, o diminuite di valore. Sai, preferisco Ulisse che con Calipso resta dieci anni, con Circe è generoso benché lei lo tenga prigioniero, con Nausicaa gentile, poiché è solo una ragazza, e torna alla fine da Penelope. È un bugiardo, come te, come tutti i mariti e i padri, a Ulisse le donne piacciono, a Enea non tanto –; lo stesso potere che permette alle donne di saldare il passato come fa Elide – la vita ha una lineetta sotto per il resto del bilancio che occorre sanare e ho capito anche cosa intendeva quando parlava della qualità del tempo –.

 

Guardiamole sedute così in cerchio, io le immagino a questo punto già a parlare una con l’altra in un continuo chiedersi come se fossero un’unica grande personaggia partorita sulla carta dalla loro autrice. Tra di loro, a guardar bene, si vede passare, di tanto in tanto, una balena: un’altra protagonista – giunge dal libro di Rosa Montero La pazza di casa posta in exergo in Morfisa – presenza costante in Cilento perché figlia della fantasia e dell’arte dello scrivere che diviene scrittura al di là di mode e convenzioni. La balena in cui si trasforma Morfisa, una delle sue metamorfosi, la balena in cui pare trasformarsi Aquila in uno dei suoi ultimi gesti, la balena che cerca Lisario nel suo lungo e silenzioso guardare il mare. “La coda della balena” è il titolo dell’ultima parte del romanzo Morfisa che ci catapulta al colpo di coda, al finale beffardo, dei suoi romanzi, dove è chiaro che l’acqua è cheta e dorme finché la potenza della ribellione non la smuova, finché la potenza della balena non ne emerga e determini la potenza inesauribile che anima Morfisa. Che, mutandosi nell’atleta che corre, si dice potente: quella forza che anima le cose tutte scorre in lei, quando immagina, quando ama.

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