Ravenna, 6/11 dicembre / I nomi della rosa

14 Dicembre 2021

lunedì

 

Ravenna. 6 dicembre. Lunedì, martedì e mercoledì: mancano tre giorni. Giovedì c’è la riunione finale del Campiello junior. Il compito di noi giurati è selezionare una rosa finale di tre titoli italiani dell’ultimo anno, destinati a ragazzi e ragazze dagli 11 ai 14 anni. 

«Rosa finale». Mi è subito sembrata un’espressione bellissima. Scegliere è forse anche questo? Imparare, come l’elfo invisibile di Andersen, a distinguere tra loro i petali di un fiore? 

Purtroppo, però, io non sono un elfo invisibile e oggi mi si pone un problema di ordine pratico: devo partire, questa sera sarò a Parma, dove ho spettacolo. Da lì andrò a Firenze e poi direttamente a Milano, alla riunione. Ho in testa sette libri preferiti. Da dove mi viene allora l’insana tentazione di infilarmeli tutti in valigia? Sono ottantadue!!!

«Chiara, non fare la pazza», mi ha appena detto Rodolfo. Sa bene che la mia valigia rischia di portarla lui. «Non preoccuparti» gli dico, «davvero, ho le idee piuttosto chiare». 

Ma poi penso: e se mi fosse sfuggito qualcosa? Se per caso volessi risfogliarne qualcuno all’ultimo momento, in questi giorni? Alla fine decido, ne prenderò solo dieci: i sette preferiti più altri tre, che voglio riguardare ancora un po’, e speriamo bene!

 

 

martedì 

 

Firenze. 7 dicembre. Penso spesso ai centosessanta ragazzi che leggeranno i tre libri che noi selezioneremo. Saranno loro, poi, a decidere il vincitore. Il fatto che siano là fuori ad aspettare la nostra scelta mi emoziona: mi sento responsabile dei libri che consegneremo. Chissà cosa li accenderebbe di più? Lo svuotacuori di Nadia Terranova, in cui la piccola Adele deposita i baci rotti di questo nostro mondo dal cuore selvaggio e incomprensibile? Oppure un animale guida? Il buffo, tenero pinguino di Chiara Carminati che accompagna Nicolò per mare in cerca di un padre perduto? 

La pietra oscura e misteriosa di Marco Baliani che scotta, lampeggia e raggia una luce accecante? 

Come faremo a deciderci, mi chiedo, tra colori, lingue e storie così belle e diverse?

 

 

mercoledì

 

8 dicembre. Oggi piove e per festeggiare la Madonnina ho deciso di dedicarmi alla rilettura degli ultimi due libri che mi sono portata. Il primo è un racconto di fantascienza dal titolo un po’ inquietante: Mamma in polvere di Pino Pace. In un futuro piuttosto prossimo ogni famiglia possederà, oltre a quella vera, una mamma in polvere, una specie di collaboratrice domestica liofilizzata acquistabile al supermercato in pratici sacchetti. Il preparato si scioglie in acqua, nella vasca da bagno, e in pochi minuti ecco pronta la mamma. Vestita di tutto punto, con tanto di messa in piega, la Lio (così si chiama) è tale e quale a una donna vera: pulisce, bada i bambini, cucina, ma non porta nessuna traccia di sentimenti umani. Dopo sei mesi automaticamente si disfa, si autodistrugge. Un giorno, però, Iside, la mamma in polvere di una delle famiglie, inizia a comportarsi stranamente: sembra capace di spaventarsi, soffrire, perfino di divertirsi e, quel che è più grave, non accenna a disfarsi mai. In una strampalata serie di rocambolesche peripezie si arriverà a un provvisorio lieto fine, ma non è per nulla facile, poi, almeno non lo è stato per me, togliersi di testa l’immagine spaventosa della Lio fuori controllo, che muove la faccia impaurita e sorridente in un rapido susseguirsi di tic e smorfie disumane.

 

 

Il secondo è Figli dello stesso cielo, di Igiaba Scego, che rilegge la storia del colonialismo in Somalia attraverso il dialogo immaginario (e l’incontro in sogno) col nonno che di fatto non ha mai conosciuto, ma solo visto in fotografia. Il libro, tra le altre cose, è un tentativo di «far capire ai ragazzi come è andata davvero quella storia», ma quel che mi colpisce di più è l’intensità crescente della relazione che si costruisce a poco a poco tra la nipote/Igiaba e l’anziano parente: intrisa di ironica dolcezza, a tratti perfino divertita, ma anche malinconica e dolente, si dipana infatti come se fosse una strana seduta spiritica che avvenga dentro un sogno tanto simile alla realtà.

Penso ai fitti dialoghi online con gli altri giurati di questi ultimi mesi, alle differenti posizioni, alle riflessioni condivise. La scelta, in questo caso, dipenderà da come si riusciranno a incontrare i nostri mondi, dall’incastro dei nostri gusti, delle nostre convinzioni. Sono contenta, e curiosa di vedere cosa succederà.

 

giovedì

 

Milano. 9 dicembre. Arrivo in Bicocca alla Fondazione Pirelli dove mi accolgono Anna e Laura della segreteria del Premio, e mi conducono verso l’auditorium. Qui domani si terrà la cerimonia. Alzo gli occhi: sopra di noi incombe, impressionante, l’antica torre di raffreddamento. Vittorio Gregotti, l’architetto che vinse il bando dell’89 per il progetto di riurbanizzazione di quest’area, decise di mantenere al centro dell’Headquarter questa spettacolare struttura in cemento del 1950. La torre, dal profilo a iperbole, un tempo veniva utilizzata per la refrigerazione dell’acqua. 

È alta, dice Martina De Petris, Responsabile Education Fondazione Pirelli, che intanto ci ha raggiunti, 46 metri e ha un diametro, alla base di 32, in cima di 22. L’edificio intorno ha l’aspetto metafisico di un grande cubo trasparente, direi circa cinquanta metri per cinquanta e sul suo perimetro sorgono i dieci piani di uffici, per un totale di 1500 impiegati. In cima, sul tetto, si intravede la piattaforma circolare dell’eliporto. A terra, proprio sotto la torre, si trova l’auditorium, dove saremo noi. È lo scenario di un romanzo distopico, alla Metropolis, di una possibile terna a venire, mi dico. Mi sento improvvisamente felice al pensiero che tra poco parleremo, proprio qui, di questi nostri libri. 

Nel frattempo sono arrivati anche gli altri giurati: Davide Tolin, Michela Possamai, il presidente Roberto Piumini e Martino Negri.

 

 

Dopo la discussione, franca e distesa, Martina ci porta in visita alla biblioteca, poi a cena nella vicina Bicocca degli Arcimboldi. Mi pare una specie gioiello sospeso nel tempo. Si tratta del quattrocentesco casino di caccia delle villeggiature della famiglia degli Arcimboldi, una piccola roccaforte (“bicocca”) immersa nel verde suburbano di Milano, e sviluppata su tre piani. Martina ci avverte: rimarremo incantati dagli affreschi, unici nel loro genere, perché ritraggono soggetti prevalentemente femminili, donne placidamente immerse nei loro svaghi. La Sala delle Dame, al primo piano, in effetti è piena zeppa di nobildonne intente alle loro occupazioni. È come se tutta la stanza fosse diventata all’improvviso un’alcova segreta, avviluppata da un baldacchino di tende. Mi sento un’intrusa. Sono al centro e su ogni parete si discostano i veli di altrettante stanze: posso spiare, non vista, le fanciulle, mentre preparano il loro letto per la notte, mentre cantano e suonano. Tre donne dall’altra parte della stanza giocano tra di loro a dama. È un luogo che definirei romanzesco, perché ogni stanza qui è proprio un racconto: al centro si spia, senza permesso (eccetto quello di Martina, che mi autorizza a far le foto a quelle dame). Mi viene un improvviso pensiero: e se prima che leggano i libri li portassimo qui, i centosessanta della rosa? Che poi a chiamarli così sembrano quasi un ordine di cavalieri, in qualche modo imparentati ai personaggi di queste storie. Sulla parete di un’altra piccola stanza sta scritto quello che qui sarebbe, certamente, il loro motto:

«sempre dovere»

I Pirelli destinarono la Bicocca ad uso di asilo per i figli dei dipendenti, e anche questa mi sembra una cosa favolosa: chi se lo immaginerebbe mai, oggi, un asilo così? Ora è un luogo di rappresentanza e noi, infatti, ceneremo qui, nella bellissima stanza del camino, le cui vetrate danno, tra mille riverberi di luci notturne, sul parco, e sul trasparente parallelepipedo della mensa aziendale.

 

 

venerdì

 

Nevica. Con Michela e Margherita arriviamo all’auditorium tutte imbiancate come tre piccoli pupazzi.

Ci sono poche persone in sala, perché il pubblico è fortemente limitato dalle nuove normative Covid. 

Gli altri seguiranno le votazioni in streaming. 

I giri di voti sono piuttosto veloci. Quasi subito esce la prima finalista, Carminati. Poi a ruota Quarzo-Vivarelli, Sbuelz. Eccoli i nomi della rosa. 

Penso che molto presto trecentoventi giovanissimi occhi si poseranno su questo nuovo fiore.

 

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