Offside Effects
La Prima Triennale di Arte Contemporanea di Tbilisi si è inaugurata a fine ottobre 2012, a poche settimane dal drastico rovesciamento politico che ha visto il partito “europeista” di Mikheil Saakashvili, al potere da un decennio, sconfitto dall’alleanza “Sogno georgiano” del miliardario Bidzina Ivanishvili. Anche se non sempre le macrostrutture economiche e politiche devono essere messe in causa quando si parla di cultura visiva contemporanea, nel caso di Offside Effects, la premessa politica è quanto mai importante. Soprattutto se si considera che l’evento, organizzato da un centro culturale totalmente indipendente come il CCA (Center for Contemporary Art Tbilisi), ha dovuto assistere al repentino decurtamento dei fondi istituzionali accordati dal precedente governo, ad appena una settimana dalla vittoria del nuovo premier filorusso Bidzina (o come si fa chiamare Boris) Ivanishvili.
La vigilia della Triennale è stata dunque segnata da quest’evento, che piombato addosso agli organizzatori, ha immerso i partecipanti in un contesto tutt’altro che jet set. Una mail inviata alla vigilia delle elezioni dal co-curatore della Triennale (e direttore del CCA) Wato Tsereteli, ha preparato il terreno, ponendoci di colpo nel vivo della situazione: un contesto “post totalitario, post criminale, post guerra” nel quale le torture in prigione sono all’ordine del giorno, dominato da una Société du Spectacle, ancora impaurito (e rancoroso, aggiungerei io) nei confronti della macchina da guerra russa che nel 2008 occupava Ossezia ed Abkazia e bombardava Tbilisi.
A che pro una triennale di arte contemporanea in un simile contesto? Quali benefici per una società che deve ancora, e prima di tutto, assestarsi e “cambiare da dentro” per andare avanti?
Il CCA Tbilisi
La risposta a questa domanda è data dal concept curatoriale della Triennale, Offside Effects, “effetti collaterali”: non solo quelli dell’arte contemporanea nel contesto sociale, ma soprattutto quelli dell’educazione artistica di ricerca, basata sulla sperimentazione e libera dalle pressioni di un sistema finanziario neo liberista (quello a cui fa riferimento Julian Stallabrass nel suo Art Incorporated– purtroppo mai tradotto in Italia). Pensiero artistico che resetta le formule rigide dell’educazione accademica e della produzione culturale (ridefinendo anche la priorità del “Processo di Bologna” per la riforma internazionale dei sistemi di istruzione superiore); approcci disciplinari laboratoriali (orizzontali quindi, fondati sulla condivisione e non sulla trasmissione univoca di conoscenza) che nel loro stesso farsi producono un ripensamento del modello produttivo; tensione verso forme creative che favoriscano una maggiore relazione ed interazione tra opera e spettatore, tra comunità, tra individui.
L’educazione come fattore progressivo e come investimento per il futuro sembra quindi una proposta rifondativa per una società che chiede trasformazione e ripensamento delle sue stesse basi. Questo vale per la Georgia del 2012 che “quotidianamente si scontra con i risultati fatali e le mutazioni lasciate come eredità dall’Occupazione Sovietica” (come ricorda ancora Wato Tsereteli), ma a ben leggere, per il mondo occidentale in declino.
Focalizzandosi quindi sull’educazione, Offside Effects si è configurata come una piattaforma di incontro di dodici progetti internazionali innovativi nella formazione artistica, che sperimentano pratiche e metodologie. Il fattore comune è una tensione che orienta la formazione non alla produzione, ma alla processualità e libertà di creare; libertà garantita agli artisti che operando in contesti educativi ed/o accademici (sia istituzionali che indipendenti), non si vedono costretti ad operare scelte market-oriented, pensate per soddisfare le aspettative di gallerie e collezionisti.
La partecipazione di Rainer Ganhal alla Europe House
Il CCA Tbilisi è un’organizzazione giovane per data di fondazione (l’avvio delle sue attività risale al 2010), come giovane è il suo staff: oltre a Wato Tsereteli, sui trent’anni, il gruppo che regge il progetto ha a malapena superato i 25 anni in media. Il primo impulso per la sua fondazione nasce, come è successo del resto in Occidente e come sta succedendo in maniera evidente del Sud Globale, dalla necessità di offrire un’alternativa alla rigida educazione artistica accademica georgiana, che ha ben pochi legami con l’arte contemporanea in quanto tale e soggiace alle anacronistiche divisioni disciplinari risalenti al modello europeo (quello delle Académie des Beaux-Arts inventate nella Francia del Roi Soleil nel XVII secolo per intenderci). Pensato come spazio informale, non istituzionale ed indipendente, l’attività del CCA ruota intorno alla formazione, produzione, sperimentazione e distribuzione di forme creative legate alla contemporaneità, con workshop ed un Master (non formalizzato ministerialmente) che vede spesso la partecipazione di artisti, curatori o attivisti internazionali.
Pensata come espansione delle attività del CCA, che ha finora fondato le sue proposte sulle direttrici Fotografia, Suono/Immagine, Curatoria, la Triennale si è sviluppata come sequenza di eventi che per un mese hanno intensificato le normali attività didattiche e produttive del centro.
Durante la prima settimana, dal 19 al 25 Ottobre 2012, una fitta serie di appuntamenti hanno permesso a una comunità internazionale (piccola ma non ristretta) di addetti ai lavori di vivere il contesto della capitale Georgiana, conoscerne la scena locale, condividere idee e posizioni teoriche e pragmatiche.
I progetti invitati hanno partecipato ad Offiside Effects implementandone i contenuti in forme diverse. Un Forum internazionale ha permesso ai rappresentanti (tra i quali la sottoscritta) delle varie piattaforme invitate di presentare le proprie progettualità. Quattro grandi mostre, disseminate in diverse istituzioni della città, ne hanno presentato gli output creativi. Quattro keynotes di artisti (che causa divario ed aspettative disattese Nord/Sud sono stati ridimensionati nel numero). Una serie di workshops infine, per tutto il mese di programmazione della Triennale, hanno efficacemente operato come ponte tra le proposte internazionali e la comunità locale.
Michael Tsegaye per Addis Contemporary
Il duo curatoriale di Offiside Effects, il già citato Wato Tsereteli ed Henk Slager, critico, direttore del Master sperimentale Mahku di Utrecht e curatore (che ha partecipato tra le altre alle Biennali di Venezia e Shanghai), hanno costruito una programmazione che ha tentato di mantenere un delicato equilibrio tra la necessità di aprire uno spazio di ridiscussione delle pratiche contemporanee (invitando quindi progetti profondamente sperimentali e di rottura) e allo stesso tempo di includere figure chiave e modalità proprie del contesto più mainstream dell’arte globale. La cesura, ha permesso quindi di realizzare un programma molto eterogeneo, in cui un artista come il cubano René Francisco con la sua Pragmatica Pedagogica si è affiancato ad Anton Vidokle; lo spazio Maumaus di Lisbona, all’artista radicale nippo-tedesca Hito Steyerl. Pratiche artistiche totalmente slegate da mercato o da sistema globale hanno cooperato con artisti ed entità che sono invece parte integrante del sistema (e anzi in qualche caso lo alimentano).
L’eterogeneità delle proposte ha senza dubbio contribuito a creare uno spazio di riflessione sulle modalità di agire all’interno del sistema dell’arte contemporanea e nello stesso tempo operare come fattore di espansione del suo territorio, di forzatura del suo linguaggio ed inclusione di contesti, spettatori e tematiche non accessibili ai soli addetti ai lavori. Questo per esempio il piano del progetto che ho rappresentato, Addis Contemporary, MA in Contemporary Practices sviluppato dentro e fuori l’Università di Addis Ababa, che ha da un lato la vocazione di costruire un contesto di ridefinizione dei confini della contemporaneità (con una prospettiva dal Sud Globale) e dall’altro punta a formare i futuri quadri dirigenti di un Paese in crescita (in un continente in crescita) che operino pensando a tematiche sociali, ambientali, urbane ed educative.
L’ambiente abitativo ricostruito e vissuto Mildred’s Lane di Mark Dion & Morgan Puett
Lo spazio di riflessione scaturito dalla compresenza a Tbilisi di progetti tanto eterogenei non ha coinvolto soltanto la teoria, ma ha avuto un terreno di scambio interessante soprattutto nella pratica quotidiana dell’operare all’interno del contesto dell’arte e trovare un equilibrio con le urgenze etiche e/o politiche. Tutte le piattaforme invitate infatti, nel momento della produzione e set up delle proprie presentazioni, hanno dovuto trovare una mediazione tra aspettative e reali spazi di agibilità sul territorio, fortemente influenzati dai tagli dei fondi, dalla relativa recente istituzione (ed esperienza in costruzione) del CCA e dagli indiscutibili limiti pratici del contesto georgiano. Abbiamo già parlato di torture in prigione e bombardamenti russi nel 2008, ma bisogna anche ricordare fattori come la mancanza di competenze educate a produrre in termini concorrenziali, di infrastrutture e materie prime: i tagli all’elettricità sono stati per esempio all’ordine del giorno fino a pochi anni fa ed hanno segnato infanzia ed adolescenza della maggior parte degli abitanti della città. Alcuni dei progetti partecipanti hanno saputo trasformare quest’esperienza produttiva in un territorio professionalmente acerbo ma umanamente partecipativo parte integrante del proprio processo creativo, riuscendo nonostante le complicazioni quotidiane ad allestire i lavori presentati nelle diverse mostre, a realizzare worksop e performances ed a costruire relazioni. Tra queste vanno ricordate come esempi di successo l’intervento del Mahku di Utrecht e dei suoi studenti; la performance urbana di Rainer Ganhal e il suo Bycicle Manifesto; l’installazione dell’artista finlandese Sami van Ingen della Finnish Academy of Fine Arts (Helsinki); il progetto collettivo presentato da Tiong Ang e dal gruppo di lavoro formato intorno alla pratica di educatore dell’artista a Utrecht; i workshop e gli screening presentati da Jurgen Boek per Maumaus (Lisbona).
Una parte degli invitati (minoritaria senza dubbio, anche se forse la più attesa) non ha invece raggiunto l’obiettivo, lasciando il campo poco dopo l’atterraggio a Tbilisi. È il caso della già ricordata Hito Steyerl e dell’artista concettuale austriaca Marion von Osten, il cui intervento programmato doveva svolgersi con il set up di una installazione dei loro rispettivi lavori nell’Accademia di Belle Arti di Tbilisi e da due keynotes. L’impossibilità di portare avanti la produzione in loco dei rispettivi interventi creativi secondo canoni occidentali, ha spinto le due artiste a partire da Tbilisi lasciando dietro di sé diverse domande.
L’installazione audiovisiva di Sami van Ingen
Prima tra tutte, se sia possibile far coesistere una posizione teorica radicale, dura, critica nei confronti del sistema capitalista, con la pratica di artistamainstream e globe trotter che può operare solo in contesti i cui standard occidentali di funzionalità garantiscano massimo risultato professionale con minimo coinvolgimento personale.
È il caso di Hito Steyerl, della radicalità suo lavoro in genere, e della sua installazione – in programma ma non presentata alla Triennale - Adorno’s Grey. Non avendo trovato un numero di tecnici e di facilities sperate al suo arrivo in Georgia, l’artista ha deciso di tornare a Berlino senza aver installato Adorno’s Gray, senza aver dato l’atteso keynote e criticando aspramente gli organizzatori della Triennale in quanto non in grado di mantenere la parola sugli accordi produttivi fatti o di gestire professionalmente l’evento.
Secondo quesito a cui sembra complicato rispondere, mi chiedo se sia veramente utile per l’espansione di un discorso critico sulle pratiche contemporanee e sulle loro potenzialità etiche nel contesto sociale, invitare progetti attivi e stabilizzati nel contesto occidentale, che non sono però in grado di integrarsi in maniera umana e quotidiana con la sfera pubblica ed il pubblico professionale e di non addetti ai lavori dei contesti nei quali sono invitati a presentare o riflettere. È il caso per esempio del seminario pubblico di Unitednationplaza intitolato Art after Empire, che ha visto come keynotes Anton Vidokle e la critica/teorica moscovita Keti Chukhrov.Nonostante l’argomento fosse certamente vicino alla tensione anti/post sovietica georgiana, fondandosi su una critica al marxismo occidentale versus quello sovietico e all’eredità culturale post-sovietica (il “dopo l’impero” del titolo), la presentazione è stata percepitadalla comunità locale come una navicella spaziale atterrata dal cielo e immediatamente dopo ripartita senza lasciare nulla. Spettatori e osservatori infatti, pur fortemente interessati, hanno vissuto con iniziale disagio e in seguito con fastidio l’impossibilità di interagire, dovuta sia alla scelta degli organizzatori di non lasciare il microfono al pubblico, sia alla difficoltà comunicativa oggettiva, causata dallo scarto evidente tra l’inglese anglosassone accademico parlato dai relatori e quello più incerto dei locali.
L’ambiente cinematica ed installativo di Tiong Ang
Difficile trovare delle risposte che siano in grado di mettere d’accordo attitudini differenti. Ma certo è che la proliferazione di Biennali e Triennali nel Sud Globale, a partire dalla Biennale de L’Avana che per prima (dal 1984) ha stabilito nuove geografie per l’arte contemporanea, smontando il centro dalla periferia, ha portato con sé una revisione necessaria alle basi stesse del sistema dell’arte. Nuove geografie significa forse anche un ripensamento dei modelli di relazione e di diffusione.
Triennial, Offside Effect
1st Tbilisi Triennial (for art, education and research)
19 ottobre – 20 novembre 2012
curatori: Henk Slager, Wato Tsereteli