Il sabato del villaggio / Le parole cambiano

11 Giugno 2011

Sostanzialmente, così ci hanno spiegato i promotori del referendum sul nucleare, si trattava di cancellare la parola “nucleare” dalla legislazione corrente. E questo è il motivo della lunghezza del testo del quesito referendario: votando dall’estero ho avuto tra le mani la scheda e ho potuto constatare anche il passare degli anni, con la vista che si fa sfuocata, tentando di decifrare le lettere in corpo 8. Nella ristampa delle nuove schede che si troveranno il 12 e il 13 giugno nei seggi il quesito aumenterà di corpo, diminuendo il numero di parole, perché non è più necessario cancellare le occorrenze di una parola, ma un decreto.

 

Da una domanda di John Berger, sulle parole e la politica prende avvio una lunga video-intervista a Noam Chomsky di cui doppiozero riporta alcuni stralci tradotti. E niente di meglio di una biblioteca d’acqua può rendere il senso della mutevolezza delle parole: ce ne parla Antonella Anedda.

 

Anche il rapporto tra le parole è mobile e soggetto a slittamenti, tanto più in un quartiere come Scampia a Napoli. Antonio Pascale ci racconta di un luogo in cui anche la parola “turista” deve fare i conti con il significato peculiare che assumono le parole “legale” e “illegale”.

 

Si possono usare parole diverse, ma non la grafia, e il significato rimane invariato.

Per lo meno quello percepito, come si tende a dire oggi per ogni aspetto della vita quotidiana. Succede in un McDonald’s di Napoli che non si chiama McDonald’s che non è un McDonald’s, ma in realtà lo è. Ce ne parla Rossano Lo Mele a proposito di Napoli e del rapporto tra cucina e moda.

 

Abbiamo smesso di scrivere a mano e ormai abbiamo anche smesso di battere a macchina, quasi nessun ragazzo oggi riuscirebbe ad intuire che cosa stia facendo Jerry Lewis nella famosa gag della macchina da scrivere. Marco Belpoliti ci racconta la macchina da scrivere ora che anche l’ultima fabbrica ne ha cessato la produzione. Nel futuro scrivere e pensare coincideranno?

 

“Noi pensiamo allo stesso tempo per parole e per immagini. Ma le regolarità esprimibili a parole e quelle contenute nelle immagini non sono le stesse. Con le parole, presentiamo un’accumulazione; con le immagini, una totalità. Una ‘cosa’ (e quindi l’universo) appare diversa a seconda che la si presenti a parole o con le immagini. Le parole sono perfette per analizzare un’esperienza; per esprimere le totalità, abbiamo bisogno delle immagini”.

Così scrive Yona Friedman ne L’ordine complicato e niente sembra spiegare meglio l’ansia e la gioia che s’intrecciano a Barcellona come in altre città attraversate dalla protesta di giovani a cui nulla è più permesso avere e che nulla hanno più da perdere. Ce lo racconta in presa diretta Luigi Aloia.

 

Sono le proteste e le rivolte come quelle delle piazze europee o come quelle più coraggiose nel mondo arabo che meglio sanno affrontare la confusione e le contraddizioni dimostrando che il senso primario è sempre rintracciabile, un po’ come ci ha insegnato Gertrude Stein. Ce lo ricorda a proposito di fontanelle e acqua pubblica Federico De Leonardis.

 

Si sorride malinconicamente all’idea di quattro referendum dedicati a diritti così primari come la salute, l’uguaglianza e il bene pubblico. Non sappiamo se il quorum verrà raggiunto, se vinceranno i sì oppure i no, di certo in mezzo a tanta confusione per lo più indotta è bene reagire non a parole, che qualcuno potrebbe fraintendere, ma come da sempre fanno i più umili: tracciando una croce. Già ora qualcuno tende a dirci quando dobbiamo andare al mare. Iniziamo a difenderci ora che al mare possiamo ancora andarci quando ci pare e piace.

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