Dissipatio VG

26 Agosto 2015

«Relitti fonico-visivi mi tengono compagnia, e sono ciò che di più diretto mi rimanga di “loro”.» Questo è l’incipit del romanzo Dissipatio H.G. dello sfortunato Guido Morselli, pubblicato postumo da Adelphi nel 1977, a quattro anni di distanza dal suicidio dell’autore bolognese. Altre frasi stralciate dalla prima pagina: «La memoria involontaria non ha altro, e questi ricordi vi fluttuano insistenti e vaghi. Relitti inconsistenti, e ormai reliquie. Un lungo panico, in principio. E poi, ma tramontata subito, incredulità, e poi di nuovo paura. Adesso l’adattamento.»

 

The Chinese Room, Everybody's Gone to the Rapture

 

Il romanzo, terminato pochi mesi prima del suicidio di Morselli nel 1973, consiste in un monologo interiore: l’anonimo protagonista – lo stesso Morselli – rinuncia all’ultimo momento alla decisione di suicidarsi, e tornato a casa scopre di essere l’unico essere umano rimasto al mondo, anche se il resto è identico a prima. Le sue riflessioni sono accompagnate dalla colonna sonora della natura e dei rumori dell’attività umana, interrotta all’improvviso. Così, il sopravvissuto si aggira in luoghi conosciuti, ora completamente rinnovati dall’assenza degli “altri”, svaniti senza lasciare traccia e senza una spiegazione. Dopo il panico iniziale e la consapevolezza della situazione, il protagonista comincia ad abituarsi, persino a gradire la nuova condizione di “ultimo rimasto”. Ma gli altri che fine hanno fatto? Si sono estinti in silenzio, un’apocalisse sommessa, senza clamori, perché in fondo – come sembra pensare il protagonista – l’umanità non ne merita?

 

È legittimo, forse a torto, supporre che i ragazzi dello studio di sviluppo inglese The Chinese Room non abbiano mai letto il romanzo di Morselli, eppure il loro Everybody’s Gone to the Rapture sembra la trasposizione di Dissipatio H.G. in videogame; ma anche definirlo così è un errore, o meglio un limite. Il titolo originale è difficilmente traducibile in modo letterale: il termine rapture indica il rapimento inteso in senso anche mistico, come estatico, uno stato di beatitudine, quindi potrebbe essere Svaniti nell’estasi (va bene anche la traduzione dal latino del romanzo di Morselli, dove H.G. sta per humanis generis: “l’evaporazione del genere umano”).

 

The Chinese Room, Everybody's Gone to the Rapture

 

Ambientato negli anni Ottanta nella campagna inglese fittizia di Yaughton Valley, Rapture (così in avanti) è un videogioco solo in termini formali, di fatto non prevede alcuna meccanica di gioco particolare, tanto che i comandi sono ridotti all’osso: due levette per guardarsi intorno e muoversi, un tasto per interagire con selezionati elementi del mondo di gioco e la funzione motoria del joypad (per chi non è cultore della materia si tratta della “manopola” in mano al giocatore). L’anonimo e unico personaggio del gioco – da voi controllato con visuale in prima persona – si ritrova nelle strade di Yaughton Valley: la cittadina è deserta, ci sono tracce che sia stata abbandonata all’improvviso, ma non ci sono indizi su che fine abbiano fatto gli abitanti. Come i “relitti fonico-visivi” di Dissipatio H.G., anche in Rapture gli elementi acustici sono l’unico segno che il mondo, a eccezione della scomparsa dell’umanità, sia rimasto intatto. Aggirandosi per la campagna, perlustrando le abitazioni abbandonate, l’unico suono che ci accompagna è quello dei nostri passi sul selciato o sull’erba, degli uccelli tra gli alberi o del vento. E delle voci dei fantasmi, che lentamente si materializzano per raccontare frammenti che precedono la loro scomparsa. Non si rivolgono al protagonista, si tratta di sequenze flashback cristallizzate nel tempo, sospese in un limbo. La narrazione di Rapture è composta da schegge da scoprire e assemblare per rivelare la verità sulla scomparsa degli abitanti, e in questo Yaughton Valley è identica alla Crisopoli-Zurigo del romanzo di Morselli: un mondo aperto in miniatura, che rappresenta tutto il genere umano.

 

I nostri passi nel gioco sono “pilotati” da una sfera di luce, che di volta in volta indica il percorso da seguire per raccogliere l’ordine esatto dei frammenti da ricomporre. È un espediente narrativo puro e semplice, una guida che da una parte limita l’accento sull’esplorazione che un piccolo “open world” come quello di Rapture può offrire, ma dall’altra permette di seguire la narrazione in modo più fluido. D’altronde, come già accennato, non si tratta di un videogioco impostato su azione frenetica e scene al cardiopalma, anzi qui siamo più dalle parti del passo da lumaca. E soprattutto non vuole esserlo; come lo era stato il sorprendente e carveriano The Stanley Parable, è la cosa più vicina all’idea di “audiolibro grafico interattivo” che esista (sempre che possa esistere una definizione simile).

 

Everybody's Gone to the Rapture

 

The Chinese Room ha una lodevole tradizione di titoli narrativi, dal breve ma intenso Dear Esther del 2012 fino alla strizza pura di Amnesia: A Machine for Pigs del 2013, avventura in soggettiva da brividi che attingeva a piene mani da Poe, Lovecraft e Bierce nell’atmosfera gotica horror da cui era permeata. In Rapture, esclusiva Sony per la sua console PS4, lo studio può contare su una grafica molto particolareggiata e quasi fotorealistica per ricreare l’ambientazione anni Ottanta (l’uso delle illuminazioni in particolare, e i dettagli curatissimi) ma The Chinese Room è uno studio piccolo e indipendente, e continua a concentrarsi sulla narrazione più che sul fattore ludico e sulla spettacolarità. Chi vuole divertirsi a vedere esplosioni e distruzioni psichedeliche – comunque ben vengano – sbadiglierà dopo cinque minuti. Chi invece apprezza lo sforzo di insistere sulla “scrittura” di una storia, non rimarrà deluso visto che è necessario leggere bene i dialoghi (sottotitolati sempre, visto che l’accento inglese di campagna a volte è davvero incomprensibile) per arrivare al gran finale – che non verrà ovviamente svelato qui, ma è un monologo che ricorda quello di Morselli. Un ultimo plauso al sound design di Rapture: la bellissima musica orchestrale accompagna solo pochi momenti di particolare intensità, come la rivelazione di certi frammenti di ricordi e scoperte mentre si perlustra Yaughton Valley, e i suoni ambientali creano una suggestione di presenza fisica davvero notevole. Non è un gioco qualsiasi, e soprattutto non è un gioco horror, a meno che per horror non si intenda la condizione di essere rimasti all’improvviso soli al mondo.

 

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