Le storie del fiume Blackwater
Strana fortuna, quella di Michael McDowell. Autore di tascabili di genere, McDowell andava fieramente affermando che scrivere per i posteri è un errore – che bisogna scrivere, invece, per approdare in libreria il mese prossimo. Eppure qualcosa per i posteri ha finito per scriverlo lo stesso, come dimostra il successo editoriale in Francia della sua saga di Blackwater, proposta al pubblico a quarant’anni dall’uscita e a venticinque dalla morte dell’autore. Visto il mezzo milione di copie vendute oltralpe, Neri Pozza ha pubblicato anche in Italia questa serie di romanzi a partire dall’inizio del 2023, investendo non solo in una veste grafica squisita, ma affiancando alla tradizionale promozione del libro anche un canale Telegram e un podcast dedicati.
Quando McDowell diceva che bisogna scrivere per arrivare in libreria il mese prossimo, lo intendeva piuttosto letteralmente: infatti i sei volumi della saga di Blackwater sono usciti a distanza di due settimane ciascuno, in un arco di tempo che va dal 17 gennaio al 28 marzo. È una decisione coraggiosa, che rispecchia la modalità di uscita della saga originale nel 1983; e, insieme al prezzo competitivo di 9,90 euro per ciascun volume di duecentocinquanta pagine, segnala la volontà di Neri Pozza (certo non un editore di genere) di cercare un compromesso tra le radici commerciali della saga e la sua riscoperta per lettori che normalmente non acquisterebbero tascabili horror.
Michael McDowell è un nome con cui il lettore italiano difficilmente avrà familiarità. Nato in Alabama nel 1950 e morto prematuramente nel 1999 per complicazioni legate all’AIDS, McDowell è stato definito da Stephen King il miglior autore di tascabili in America (una qualifica che avrebbe forse più valore se King non fosse particolarmente prodigo di questo tipo di raccomandazioni editoriali). Studente ad Harvard e dottorando a Brandeis University, McDowell è stato autore di decine di romanzi e diverse sceneggiature (la più nota delle quali è probabilmente Beetlejuice di Tim Burton, commedia horror del 1988). I romanzi di McDowell appartengono a vari generi, dal mystery al thriller psicologico, ma la sua fama è legata soprattutto a una serie di horror ambientati nel sud degli Stati Uniti (e dunque appartenenti a quel filone che si definisce di solito Southern Gothic): The Amulet (1979), Cold Moon over Babylon (1980), The Elementals (1981), e naturalmente la saga di Blackwater, che come nell’edizione Neri Pozza esce, serializzata a brevi intervalli, nel corso del 1983. Mestierante esperto e dal gusto originale, McDowell è capace di dare ai suoi romanzi una nota inconfondibile, dosando con intelligenza effetti atmosferici, colpi di scena spaventosi, e studi di carattere.
Come ha scritto Grady Hedrix, autore dell’imperdibile guida illustrata Paperbacks from Hell: The Twisted History of ‘70s and ‘80s Horror Fiction, Blackwater può ben essere considerato il Cent’anni di solitudine del Southern Gothic, e McDowell stesso sarebbe ritenuto una delle punte di diamante della letteratura del sud degli Stati Uniti “if his books dealt with things other than woman-eating hogs, men marrying amphibians, and vengeance-seeking lesbian wrestlers wearing opium-laced golden fingernails”. Blackwater, in effetti, è proprio una saga familiare che si snoda attraverso gran parte del Novecento – con al centro, però, i rapporti tra una famiglia dell’Alabama e un mostro anfibio in veste di donna. I sei volumi (La piena, La diga, La casa, La guerra, La fortuna, La pioggia) seguono la famiglia Caskey, clan patrizio della piccola città di Perdido, Alabama, dall’inizio del secolo ai tardi anni Sessanta, a partire da un incontro fatale: quello del giovane Oscar con la bella e misteriosa Elinor, ritrovata in una camera d’albergo dopo una piena che ha devastato gran parte della città. Elinor non rivela nulla sul proprio passato; il suo fascino irretisce presto Oscar, e i due si sposano. Progressivamente, nel corso dei decenni, Elinor acquisisce il controllo della famiglia Caskey, portandola dall’essere una delle famiglie benestanti di una piccola cittadina di provincia a una delle più ricche dello stato. Il problema, tuttavia, è che Elinor non è completamente umana: c’è in lei una parte mostruosa, legata alle torbide acque del fiume Blackwater, che occasionalmente interviene nelle faccende dei Caskey.
Come la sua protagonista, anche Blackwater ha una natura ibrida: in parte una saga familiare, in parte un romanzo dell’orrore. Le due metà di questo dittico sono in perfetto equilibrio, e le minute schermaglie familiari dei Caskey in cui il lettore si trova immerso (schermaglie, nel tradizionale formalismo del sud statunitense, fatte in punta di piedi, tramite silenzi e omissioni, pettegolezzi e piccoli sgarbi) sono intervallate da momenti squisitamente horror in cui vari membri o antagonisti della famiglia Caskey sono risucchiati nel Blackwater e divorati da mostruose creature anfibie, o in cui i loro fantasmi si ripresentano a chiedere il conto di quanto è stato fatto loro. McDowell dosa bene le due componenti dei suoi romanzi, virando verso l’una o l’altra direzione non appena il lettore si trova troppo a suo agio. All’appassionato di horror, la saga di Blackwater non risparmia molti momenti deliziosamente inquietanti o splatter, tra case infestate, creature innominabili, e trasformazioni mostruose in cui rivediamo, con un effetto vintage, tante scene del cinema del terrore di quegli anni:
D’un tratto Elinor si abbassò su di lui, ma il movimento non era quello di una donna che si accoscia o si inginocchia. Era quello di una creatura del tutto diversa. Carl sentì la sua camicia da notte che si strappava in una decina di punti, come se non fosse più sufficiente a contenere il corpo che racchiudeva. Il volto di Elinor era a poco più di una spanna dal suo, e nel buio riuscì a vedere che era diventato largo, piatto e rotondo; gli occhi erano sporgenti ed enormi; la bocca era mostruosa, priva di labbra, e sibilava gorgogliando in un ghigno che non aveva più nulla di umano. (Blackwater III: La casa, 101)
Allo stesso tempo, non si può certo dire che questi momenti siano il motore del racconto di McDowell: lo costellano, ma non trascinano l’azione. Blackwater non ha l’andamento incalzante del thriller, né è affollato di misteri impenetrabili che i personaggi devono risolvere: è una saga familiare, con le tempistiche dilatate tipiche di questa modalità di racconto. Se la famiglia, la casa e la città di provincia sono spesso il centro del racconto dell’orrore, come ci hanno insegnato innumerevoli opere di King, in Blackwater acquisiscono uno spazio decisamente soverchiante, tanto che si potrebbe dire che l’horror, qui, sia solo un espediente per drammatizzare le complesse dinamiche familiari e di classe all’opera in una piccola città dell’Alabama. McDowell costruisce con attenzione la rete di relazioni che il clan Caskey intesse col resto della città (con la parte bianca e con quella nera: la questione razziale resta sullo sfondo, ma non è mai del tutto assente), i modi in cui i Caskey riescono ad estendere il loro potere economico e la loro influenza sociale, e gli equilibri e squilibri esistenti, perennemente sottintesi, tra i vari membri della famiglia. Se i primi tre romanzi sono dedicati alla schermaglia tra Elinor e la matriarca Mary-Love, Blackwater nel suo complesso è ricca di altri personaggi complessi, cui viene dato ampio spazio di sviluppo: Oscar, il timido marito di Elinor, e sua sorella Sister, entrambi schiacciati dalla presenza accudente e opprimente di Mary-Love; James, il cognato di quest’ultima, tormentato da un matrimonio infelice; e i figli di Elinor e Oscar, la volitiva Miriam e Frances, che eredita più della sorella la parte inumana della madre.
Non è solo l’ambientazione di Blackwater a farne un testo inusuale nell’horror americano (nel nostro immaginario, la sua terra d’elezione sarebbe semmai il nebbioso New England, più che l’afoso sud), ma anche la sottile sovversione che opera in termini di dinamiche di genere – particolarmente significativa se si considera che i romanzi appaiono per la prima volta a inizio anni Ottanta. Blackwater è un ciclo in cui l’omosessualità maschile (di James) e femminile (di Grace) è descritta con discrezione ma senza possibilità di equivoci, ma soprattutto in cui il ruolo delle donne è assolutamente preponderante rispetto a quello degli uomini. Per tutti i sei volumi della saga la folla di personaggi maschili che gravitano intorno alla famiglia Caskey viene comandata e manipolata da quelli femminili, che esercitano il proprio potere in maniere oblique ma costantemente efficaci. In questo senso, i modi del romanzo familiare e l’attenzione alle minuzie del quotidiano permettono a McDowell di isolare le molte aree della vita di tutti i giorni in cui, pur lontane dall’ufficialità della Storia e del potere costituito, i destini della famiglia sono decisi davvero. Questo sbilanciamento è rimarcato a più riprese nel romanzo, in maniere anche piuttosto esplicite:
Di lei [Elinor], [Oscar] sapeva che era davvero molto simile a sua madre: volitiva e dominante, e capace di esercitare il proprio potere in un modo che lui non poteva nemmeno sperare di emulare. Era il grande equivoco, quando si trattava degli uomini: poiché avevano a che fare con i soldi, e potevano assumere o licenziare qualcuno, poiché solo loro riempivano le assemblee statali e venivano eletti al Congresso, tutti pensavano che avessero potere. Ma tutte quelle assunzioni e tutti quei licenziamenti, gli acquisti di terre e i contratti per il legname, le intricate procedure per approvare un emendamento alla Costituzione erano soltanto una facciata. Una cortina di fumo per nascondere la loro totale irrilevanza nella vita reale. Gli uomini potevano anche controllare le leggi, ma alla resa dei conti non sapevano controllare sé stessi. Non avevano indagato a sufficienza le proprie menti, e a causa di questa mancanza erano in balia di passioni effimere: erano loro, ben più delle donne, a lasciarsi trascinare dalle piccole gelosie e dal meschino impulso di rivalsa. Poiché godevano del loro enorme ma superficiale potere, non erano mai stati costretti a conoscere sé stessi, mentre le donne, a causa delle avversità e di un’apparente sottomissione, avevano dovuto scandagliare a fondo i meccanismi delle proprie menti e delle proprie emozioni. (Blackwater I: La piena, 184-185)
Per rendersi conto dello scarto segnato da McDowell rispetto ai romanzieri coevi, si potrebbe fare un confronto con uno dei grandi romanzi horror di quegli anni, Ghost Story di Peter Straub, pubblicato nel 1979. Se il libro di Straub, stilisticamente e narrativamente, resta quasi inarrivabile, il modo in cui tratta le questioni di genere è senz’altro più datato. Come in Blackwater, anche in Ghost Story ci si confronta con un femminile irriducibilmente mostruoso, ma mentre McDowell lo lascia libero di imperversare e prendere il controllo, l’intero romanzo di Straub ruota intorno alla sua estirpazione da parte di un gruppo asfitticamente omosociale.
Come suggeriscono i titoli dei singoli romanzi, al centro del lavoro di McDowell c’è il fiume Blackwater, che taglia in due la cittadina di Perdido. La saga si apre e si chiude con due piene del fiume – scene in cui McDowell può indulgere in descrizioni apocalittiche di livello non indifferente:
Gli abitanti di Perdido scesero in città dalle colline e tornarono arrancando alle loro case, solo per trovarle invase dal fango. La piena aveva sollevato fino al soffitto persino i mobili più pesanti e costosi, poi, ritirandosi, li aveva lasciati a terra ridotti in pezzi. L’acqua aveva dilavato la calce dalle fondamenta di mattoni, e ogni asse di legno rimasta sommersa era deformata. Le verande erano crollate. Dal pantano che ricopriva i prati spuntavano gli arti irrigiditi di maiali e vitelli. C’erano galline annegate sulle scale. Tutti i macchinari erano ingolfati a causa della melma, e – nonostante alle pazienti bambine di colore fosse stato affidati il compito di ripulirli – il fango non veniva mai via del tutto. La corrente aveva trascinato taniche di cherosene e bidoni di benzina fuori dai depositi delle segherie e li aveva fatti schiantare contro le finestre delle case, come se proprio ci tenesse a causare più danni possibili. Metà delle vetrate dipinte delle chiese erano sfondate. I libri degli inni lasciati negli scomparti interni delle panche si erano talmente gonfiati da spaccare il legno. Non c’era un solo negozio di Palafox Street che non avesse perso tutte le sue scorte. E nemmeno un centimetro dell’intera città che non puzzasse: di limo di fiume, di cose morte, di abiti, legno e cibo in decomposizione. (Blackwater I: La piena, 70)
È interessante notare che l’ambiente che McDowell descrive non è la wilderness centrale nella costruzione del mito americano, estirpata dall’esperienza quotidiana degli abitanti degli Stati Uniti ma perennemente pronta a ritornare in forme mostruose; è semmai un ambiente pesantemente antropizzato, con cui gli esseri umani si trovano perennemente a negoziare. Non è un caso che entrambe le piene siano legate alla comparsa e alla scomparsa di Elinor, che con la sua natura ibrida fa da raccordo tra questi due elementi di Perdido. L’altro oggetto che fa da raccordo tra l’ambiente e la società degli uomini è, naturalmente, il petrolio, da cui dipende il definitivo e massiccio arricchimento della famiglia Caskey, e in cui trova compimento il patto stretto con Elinor: una figura, quella del petrolio, non meno inquietante e maligna, ancorché relegata sullo sfondo, del fiume Blackwater, popolato di mostri e fantasmi.
Blackwater non è una lettura breve – i libri, sommati tra loro, raggiungono le millecinquecento pagine. Allo stesso tempo, non è certo una lettura lutulenta come il fiume che le dà il nome: McDowell scrive in maniera semplice e chiara (a volte, forse, troppo semplice e troppo chiara), avendo cura di non annoiare il lettore. Chi cerca un thriller sbaglierebbe libro, ma questo non significa che Blackwater non costringa il lettore a voltare pagina compulsivamente. In questa saga, McDowell ha mostrato come insieme al grande potere affabulatorio della narrativa di genere e di consumo possono stare temi complessi, raffigurazioni articolate, e un immaginario che sa essere evocativo senza essere pesantemente allegorico. Non è poco, per uno che voleva solo arrivare in libreria il mese prossimo.