#designinpigiama / Alessi. Tante care cose
È possibile avere nostalgia del lockdown?
Io ce l'ho per due motivi.
Il primo è il silenzio.
Ho la fortuna di abitare in una casa con un giardino popolato di ulivi e di fiori che si affaccia su un lago, lambito dalla Via Appia, una strada piuttosto trafficata fin dall'antichità. Divenuta muta per effetto dei provvedimenti governativi anti Covid-19, in quei mesi aveva ceduto lo scettro dei rumori dei motori al silenzio, rotto, soltanto a tratti, dai suoni della natura. E allora, ecco risalire fino alle mie finestre pigolii, cinguettii, frinii, squittii e qualche volta anche il grufolare degli animali selvatici, o ancora il ragliare dell'asino di proprietà di uno dei miei vicini, insieme allo starnazzare delle sue oche e al chiocciare dei suoi polli, in un'estasi bucolica di suoni dimenticati, rasserenanti.
Il secondo motivo per cui ho nostalgia del lockdown è l'appuntamento (allora) quotidiano con #designinpigiama, le lezioni di design che Chiara Alessi teneva ogni mattina su Twitter, con tanto di scanzonata sigla musicale (Pipiriripipiri, composta da Andrea Cardoni) costituite da video brevi, lievi, eleganti e documentatissimi.
La rubrica era nata "nei giorni della quarantena con l'idea di regalare una pillola al giorno dedicata alla storia del design italiano a chi è costretto a casa, con l'idea di far riscoprire, in questi giorni brutti, un po' di cose belle che abbiamo intorno."
Chiara Alessi vi raccontava di alcuni oggetti iconici del made in Italy, entrati a far parte della memoria e della vita di noi tutti, dalla Cinquecento (Dante Giacosa per Fiat, 1957), alla radio Cubo e al televisore Algol (Marco Zanuso e Richard Sapper per Brionvega, 1962, 1964); dal Bacio Perugina (Luisa Spagnoli e Federico Seneca, per Perugina, 1922), alla rete arancione Gigan per recinzioni stradali (Gianmarco Beretta, Luigi Bertoncini, Pierluigi Maggioni per Tenax, 1980); dal Portaombrelli (Gino Colombini per Kartell, 1957), ai Chiodini (Alessandro Quercetti per Fantaclor, fine anni sessanta); dalla lampada Falkland (Bruno Munari per Danese, 1964), alla lampada Eclisse (Vico Magistretti per Artemide, 1965); dal Calendario perpetuo (Enzo Mari per Danese, 1967), alla Coppa del nonno (Salvatore Gregorietti per Motta, 1974); dalla macchina da scrivere Valentine (Ettore Sottsass e Perry King per Olivetti, 1969), allo spremiagrumi Juicy Salif (Philippe Starck per Alessi, 1988); dalla seduta Sella (Achille e Pier Giacomo Castiglioni per Zanotta, 1957), alla poltrona Sacco (Piero Gatti, Franco Teodoro, Cesare Paolini per Zanotta, 1968); dal famoso cane a sei zampe (Luigi Broggini per Eni, 1952, rivisitato da Bob Noorda nel 1998), fino all’immensa opera grafica di Albe Steiner, così, tanto per fare solo qualche esempio degli oggetti e dei personaggi trattati.
Il successo dell'iniziativa lo ha decretato il pubblico in un entusiastico gioco di retweet che continuavano ad aumentare.
A chi le ha chiesto di spiegarlo, Alessi ha risposto:
"Probabilmente perché mi vedono in pigiama, coi figli dietro che giocano e si inseriscono a sorpresa nei video, con storie che provo a raccontare come piccole favole; coi modi maldestri con cui maneggio l’inquadratura. Magari questa pulizia necessaria dal glam, che di solito si vede intorno al design, contribuisce ad avvicinare chi magari ne sarebbe intimidito, sentendolo come una cosa troppo distante, troppo patinata, come di fatto, ahimè è diventata negli ultimi anni."
Finita la quarantena, dispiaciuta che la bella rassegna si fosse interrotta, aspettavo, fiduciosa una sua qualche forma di ripresa, quand'ecco apparire finalmente il libro firmato dalla stessa autrice, Tante care cose. Gli oggetti che ci hanno cambiato la vita (pp. 263, Longanesi, € 18, 90), con disegni al tratto di Paolo d'Altan.
Quello che ho apprezzato nella rubrica prima e nel libro ora è l'approccio all'apparenza semplice, colloquiale, ma in realtà complesso perché frutto di ricerche incrociate, con cui Chiara Alessi racconta le vicende degli oggetti di design – e, nel libro, anche di altre "care cose" – la loro genesi, la loro storia, spesso legandoli a quella del loro progettista o del brand che li ha prodotti, senza rinunciare a riferire curiosità e aneddoti che li riguardano e che contribuiscono a renderceli simpatici e familiari.
"Le cose sono concentrati di racconti, memorie, odori, affetti, transizioni, ricordi. Quando perdiamo un oggetto, perdiamo proprio un pezzo di passato", scrive l'autrice. "[...] mi piaceva l’idea di trattare gli oggetti come se fossero loro dei personaggi che parlano con una voce propria."
Le "care cose" di cui il libro tratta ammontano all'incirca a una settantina o giù di lì, e vanno da minuscoli oggetti di design, come le Marille (Giorgetto Giugiaro, 1983), a "cose" gigantesche come il traliccio per l'alta tensione (Achille Castiglioni e Michele De Lucchi per Enel, 1998), passando per l'Ape Piaggio (Corradino D'Ascanio, 1948), per la Fiat Panda (Giorgetto Giugiaro, 1980) e persino per gli Autogrill Pavesi.
Forse, non tutti sanno che la Micol di Giorgio Bassani, quella del Giardino dei Finzi-Contini, nella riduzione cinematografica del 1970 di Vittorio De Sica, durante le famose partite di tennis, ha ai piedi le Superga 2750, rigorosamente in lino bianco. Né che Bjorn Borg, il tennista svedese, vestiva una maglietta FILA (con il logo disegnato nel 1973 da Sergio Privitera) quando sfidò e sconfisse McEnroe, che a sua volta ne indossava una di Sergio Tacchini. Dopo Borg, FILA vestirà, tra i tennisti, Adriano Panatta, Guillermo Vilas e Boris Becker e poi ancora altri sportivi, quali Reinhold Messner, Alberto Tomba, Giovanni Soldini e molti altri.
Magari si ignora anche che l'occhiale da sole Persol, un altro must del made in Italy, nel suo modello più noto, il 649, progettato nel 1957 per proteggere i tranvieri dai bagliori del sole (per sol, appunto), nel 1961 fu indossato anche da Marcello Mastroianni nel film Divorzio all'italiana (Pietro Germi, 1961). Sempre a proposito del mondo del cinema, il modello Persol pieghevole 714 fu invece prediletto da Steve McQueen sia nella vita che sul set.
E come non ricordare la famosa suola Vibram, nata nel 1937 dalla passione e dalla ricerca di due amici, l'alpinista Vitale Bramani (Vi-bram) e l'industriale della gomma Leopoldo Pirelli. Con questa suola, detta Carrarmato, diventata una sicurezza per scalatori, per lavoratori ed anche per gente comune, il Bramani conquisterà, insieme ad Ettore Castiglioni, la parete nord-ovest del Pizzo Badile e, nel 1954, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli scaleranno il K2. La fama e la diffusione internazionale di questo oggetto di design made in Italy la si deve anche alla sua adozione da parte di brand notissimi, come Timberland.
Umberto Eco lo avrebbe definito "un oggetto da conversazione". Stiamo parlando dello spremiagrumi Juicy Salif, progettato da Philippe Starck per Alessi, l’azienda di famiglia dell’autrice. Imparentato con gli oggetti di stampo dadaista, si differenzia da quelli per la sua eleganza formale, ma ne condivide l'inutilità. Designer e imprenditore, così come il pubblico che lo ha acquistato, sono infatti consapevoli che esso sia "il primo detonatore di una nuova concezione dell'oggetto come soggetto. Difatti entra anche nel cinema, nella letteratura, nell'immaginario spaziale (molti ci vedono un alieno), in quello entomologico (alcuni ci vedono un ragno) e addirittura nei musei di arte contemporanea, mentre nella storia culinaria non gli spetterà probabilmente mai un posto", scrive nel suo libro Chiara Alessi.
Con una competenza ulteriore, che le deriva dalla consuetudine con i propri antenati Bialetti, l’autrice narra anche della moka che porta quel nome, un vanto tutto italiano. A progettare la prima, la pioniera di tutte le caffettiere moka, fu Alfonso Bialetti nel 1933, quella che invece conosciamo tutti venne riadattata e trasformata fino ad assumere la forma attuale da suo figlio Renato negli anni cinquanta, "ma l'idea dello svuotamento e l'ingegneria della caldaia sono la grande invenzione di Alfonso [...] che cambierà per sempre il modo di fare il caffè nel mondo."
Il famosissimo omino con i baffi, icona su un'icona, creato da Paul Campani, rappresenta Renato Bialetti che ha promosso il prodotto con grande capacità imprenditoriale, trasformandolo in un oggetto non soltanto utile, ma necessario in tutte le case, almeno in quelle italiane. E chi di noi non possiede almeno una moka? (il cui nome deriva dalla città di Mokha nello Yemen, una delle più rinomate zone di produzione del caffè della pregiata qualità arabica.)
Chi volesse informarsi sulla storia della Bialetti in modo ancor più approfondito, potrebbe anche leggere il libro, sempre di Chiara Alessi, Le caffettiere dei miei bisnonni - la fine delle icone nel design italiano (2018,Utet, € 12,00).
Accanto ai nomi dei designer più famosi e noti a tutti, come Gio Ponti, Joe Colombo, Luigi Caccia Dominioni, i fratelli Livio, Pier Giacomo e Achille Castiglioni, Rodolfo Bonetto, Gino Colombini, Ettore Sottsass, Richard Sapper, Marco Zanuso, Philippe Starck e via discorrendo, in Tante care cose si parla anche di quelli meno conosciuti, ma comunque fondamentali nella storia della disciplina, come, ad esempio, di Corradino D'Ascanio (progettista sia della Vespa, 1946, che dell'Ape, 1948, entrambe per Piaggio), o di Luigi Broggini (autore del Lupetto Eni, 1952), o ancora di Dante Giacosa (ideatore della Cinquecento, 1957 e, prima ancora, della Topolino, 1936, tutte e due per FIAT), e pure di Erberto Carboni (al quale si devono sia il logo della RAI, 1954, che quello di Barilla, packaging compreso, creati a metà degli anni cinquanta).
Per la molteplicità degli stili narrativi che l’autrice sceglie di impiegare, inoltre, Tante care cose si inserisce sulla scia degli Esercizi di stile di Raymond Queneau; infatti, per ogni "cara cosa", lei usa un linguaggio diverso. È divertente quello delle "cose pallose", in cui, tra gli oggetti anonimi, partendo dalla preferenza che Ettore Sottsass manifestava per la palla da biliardo (come lui stesso ebbe modo di dichiarare in un'intervista apparsa su Domus nel 1999), traccia in poche righe la storia del gioco delle bocce, giunto fino a noi dagli antichi egizi, attraverso la mediazione romana che lo diffuse ampiamente anche in Gallia, dove si è radicato piuttosto profondamente.
Dotta e lirica è invece la descrizione della P allungata del logo Pirelli, in cui a parlare è il poeta Vittorio Sereni, che quel logo e quella P descrisse e commentò sulla Rivista Pirelli (nr. 2, 1958).
Alla 500, gloria nazionale, l'autrice dedica invece una propria ode (con quartine in rima) molto gradevole e spiritosa, che si conclude cosi:
[...]
Per chi ha appena la patente
Quella di seconda mano
Ancor può andare lontano
Ammirata dalla gente
Tanto che l'han poi rifatta
Come oggetto di design.
Le han cambiato un po' la line,
Sembra ancora più compatta.
A proposito della varietà dei modi di scrittura da lei impiegati, così Alessi:
"Credo che questo dia anche un ritmo stilistico particolare al libro, con oggetti descritti in rima baciata o in forma epistolare. Il capitolo dedicato alla zip è scritto come un manifesto futurista, sfruttando il suo nome onomatopeico come compare nei fumetti; altri capitoli sono costruiti sotto forma di test, elenco o articolo di giornale."
Anche i titoli dei capitoli sono piuttosto insoliti e spigliati, giocando, come fanno, in alcuni casi sul nome dell'oggetto che preannunciano, in altri sulla sua funzione, in altri ancora su scherzi linguistici suggeriti dall'uno o dall'altra. E allora si va da Cose pallose, a Non solo palle; da, Zip Tumb Tumb, a Pop, Pulp, Pin-up. Da titoli interrogativi: Chi Vespa… E chi Ape? e Pronto, Sip? ad uno esclamativo: Tocchiamo questo tasto! Dalle Care, piccole cose, alla Neanche tanto cara plastica, al Tanto caro divano. Poi ci sono titoli un po' dada e un po' surrealisti: Perché le sedie si scelgono con gli occhi e non con il culo; Ceci n'est pas une bouche. E quelli con simpatici jeux de mots (quasi delle gag): Tutt'altro che un Tizio qualunque; La soluzione a un Tratto; Tra Parentesi, le istruzioni per l'uso. E così via.
Iniziative editoriali come questa di Tante care cose, così come lezioni online del tipo #designinpigiama, dall'impronta fortemente divulgativa, sono utilissime, perché, affiancando l'azione propedeutica del Museo del Design di Triennale, con il suo ricco corredo e il suo inestimabile patrimonio librario conservato nella contigua e ‘mitica' Biblioteca del Progetto, quella delle rassegne e delle conferenze organizzate negli spazi del Palazzo dell'Arte di Viale Alemagna a Milano, contribuiscono, insieme ad altre prestigiose iniziative (quali, ad esempio, l'inaugurando Museo del Compasso d'Oro di Via Ceresio, sempre a Milano, e il Circuito lombardo dei Musei e degli Archivi del Design) a promuovere sempre più capillarmente la cultura di questa disciplina, la sua conoscenza e la sua storia, rendendola fruibile anche dal pubblico dei non addetti ai lavori.
"Saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno e farlo durare e fargli spazio" (Italo Calvino, Le città invisibili) è proprio quanto è occorso alle tante care cose scelte da Chiara Alessi, che, durate nel tempo, uno spazio nella memoria collettiva e nella vita quotidiana di molti se lo sono conquistate di sicuro.