Lamezia Terme, 4 ottobre 2011
In volo verso Lamezia, mezzo addormentato, di prima mattina, quando i pensieri barcollano e stanno per scivolare giù, e resistono, galleggiando tra il sonno e la veglia, ripenso agli Aristofane affrontati in tutti questi anni: tra Albe e non-scuola mi arrivano le immagini degli otto testi messi in scena (degli undici che sono sopravvissuti al naufragio del tempo: Aristofane ne scrisse circa quaranta…). Mancano al mio personale appello Acarnesi, il primo scintillante apologo contro la guerra e le storture della nascente democrazia, Vespe e Donne alle Tesmoforie. Prima o poi li attraverserò. In volo mi tornano soprattutto i versi degli Uccelli, penso alla fantasia del volo che prese l’antico scrittore di teatro, abituato a sognare sulle rive boscose del Mediterraneo, guardando le allodole e le colombe levarsi nell’azzurro.
Scendo dall’aereo e trovo nuvole nere che circondano le montagne. Forse questa interminabile estate sta davvero per finire. In giornata incontrerò Emanuele, i corsari napoletani e la squadra degli adolescenti lametini di Capusutta. Questa pausa estiva proprio non ci voleva: le non-scuole vanno sempre da ottobre ad aprile, in modo da stare naturalmente all’interno dell’anno scolastico. A Lamezia, per vari motivi, siamo riusciti a cominciare il progetto solo a febbraio: era impossibile terminare a maggio, quindi si è reso inevitabile spezzare in due tronconi il periodo di lavoro, da febbraio a maggio la prima parte, per poi riprendere con la riapertura delle scuole. Debutto fissato a metà novembre, data ancora incerta. La pausa ha fatto sì che diversi ragazzi, per esempio quelli all’ultimo anno delle superiori, ora non potranno finire Capusutta perché impegnati all’università.
I corsari mi hanno preceduto, hanno ripreso il lavoro già a metà settembre, e vista la situazione sono ritornati nelle scuole a buttare la rete. In un istituto professionale hanno incontrato il professor Panzarella, un professore molto in gamba che si è subito preso a cuore la questione. Il ruolo dei professori non è mai da sottovalutare nella non-scuola perché anche se non sono loro a condurre direttamente il lavoro (è preferibile che non lo siano: a condurre deve essere il teatrante, la guida è lo straniero che non appartiene all’istituzione scolastica), sono in ogni caso preziosi come “assistenza”. E quando incontri un professore che si appassiona, il lavoro scorre via liscio. Dopo l’incontro all’istituto professionale hanno aderito al progetto una ventina di adolescenti che incontreremo oggi. Domani invece i corsari incontreranno Rosy de Sensi e una ventina di piccoli rom, bambini dai dieci ai tredici anni, che sentendo i racconti di Pamela e Immacolata e Luciano hanno tanto insistito per partecipare a Capusutta. A proposito: lo sgombero del campo rom di cui avevo scritto ad aprile, si è fermato. Non si capisce bene perché. È un caso in cui dare il benvenuto all’immobilismo che in tante altre situazioni flagella il nostro Paese.
Scendo dall’aereo e mi viene a prendere Dario Natale, mi porta in un ristorantino popolare, dove mangio degli ottimi “stranguriapriàviti”. Pensavo che gli “strozzapreti” esistessero solo in Romagna, non li avevo mai sentiti nominare in altre regioni. Sono fatti diversamente, qui sono di pasta lunga, mentre in Romagna è una pasta corta. Dario mi accenna al bando delle residenze emesso dalla Regione, bando a cui parteciperà anche la sua compagnia. Curiosamente, in questo caso la giunta regionale di centro destra “copia” (più o meno) un buon progetto realizzato negli ultimi anni dalla giunta di estrema sinistra di Vendola, che in Puglia ha dato ottimi risultati. Anche questa è l’Italia che, per quanto allo sfascio, riserva sempre sorprese.
Arrivo a Palazzo Panariti. In città c’è una certa agitazione per l’arrivo del Papa: tanti balconi portano appese le bandiere del Vaticano, bianche e gialle con lo stemma delle chiavi di Pietro apostolo. Rosy mi dice che finalmente stanno riparando e restaurando il paesaggio urbano qua e là, nelle strade e nelle piazze dove passerà Benedetto XVI. Sempre così, quando deve passare un “grande della Terra”. Ma allora il Papa dovrebbe anche solo “minacciare” una sua visita ogni settimana in diverse città d’Italia (poi magari non la fa…), e i lavori e le migliorie scatterebbero ovunque. Se poi si mettesse d’accordo col Presidente della Repubblica (in un piano terroristico comune: un giorno tu un giorno io, un giorno tu un giorno io, io prendo di mira un campo rom, tu va in quella periferia disastrata, etc.), sai quanti funzionari e politici smetterebbero di dormire!
Osservo il lavoro a Palazzo Panariti, le prove per il nostro Aristofane. Questi primi incontri di settembre sono serviti ai corsari a riprendere la struttura creata nei mesi precedenti, siamo a metà circa dell’opera. Il dialetto napoletano e quello lametino si richiamano, pur nelle loro diversità, e noto qui (come l’avevo già notato lavorando in altre regioni del meridione) quanto piacere vi sia per gli adolescenti a cantare e recitare in napoletano, lingua nobile del teatro che al nord si impone per fascino della distanza, mentre qui è vissuta come uno strumento familiare. Si lavora tra i tuoni, il cielo fuori si fa sempre più cupo. A una certa ora arrivano i ragazzi del professionale, si inseriscono nelle scene con naturalezza, merito anche di chi ha partecipato a Capusutta fin dall’inizio e si prodiga per far entrare i nuovi compagni nello spirito del gioco.
La sera vado con i corsari nel loro bed and breakfast a Feruleto, a pochi km da Lamezia, e mentre Christian prepara un’ottima carbonara ragioniamo sulla struttura drammaturgica. Chiedo loro di non perdere Atene, come gioco di maschera, di non perdere il cortocircuito tra l’antico e l’oggi, va benissimo che Praxagora e le sue amiche citino luoghi e pub della Lamezia che frequentano tutti i giorni, ancora meglio se alternano Sambiase a Sparta, Tebe a Sant’Eufemia. Come faceva Plauto: imitava i modelli greci mantenendone l’ambientazione originaria e poi la infarciva di segni romani.
E i piccoli rom? Come e dove inserirli? Mentre si ragiona sul loro ruolo, Gianni improvvisa un’esilarante imitazione di Luca de Fusco direttore del Napoli Teatro Festival che riceve Luca de Fusco direttore dello Stabile Mercadante, e della contrattazione serrata e esilarante tra i due per cui Luca de Fusco direttore dello Stabile riesce a scroccare un ottimo contratto a Luca de Fusco direttore del Teatro Napoli Festival, il quale lo firma a malincuore e con la sensazione di essere stato raggirato. Il pezzo è degno dell’Italia in cui viviamo, non c’entra con Donne al Parlamento ma fa buon sangue, ha sicuramente tanto di aristofanesco e ci stimola le idee: si ipotizza per i piccoli rom un ruolo che non esiste nell’originale: i figli.
I figli che nel progetto di Praxagora dovrebbero diventare figli di tutti, figli del popolo, spezzando l’appartenenza alle famiglie singole. Perché non provare a sentire cosa ci raccontano loro: che cosa vi piace? Vi piacerebbe avere tanti padri e tante madri, vi piacerebbe essere figli di tutti, figli della comune come propone Praxagora in questa fiaba antica, o preferite avere un solo papà e una sola mamma, alla maniera tradizionale?