Peter Kolosimo: UFO, alieni e futuri passati

15 Dicembre 2022

Adesso che ricorrono i cento anni dalla nascita (15 dicembre 1922) e dopo, forse, un periodo di oscuramento degli ultimi decenni, è tempo di riprendere in mano seriamente, ma non troppo (come era solito fare lui), i libri di Peter Kolosimo e di attraversare, con una nuova consapevolezza, e forse un pizzico di nostalgia, la sua lezione e la sua potente capacità di immaginare e di narrare, le due attività alla base di tutto il suo sforzo di navigazione.

Andiamo con ordine. Sono gli anni 70: la tensione, gli spari, i cortei, gli ammazzamenti. Moro, la Repubblica in bilico, rapimenti, scioperi, brigate rosse e settembri neri, guerre di sei giorni e olimpiadi insanguinate. Una contrapposizione ideologica forte, e, in Italia, convergente però nel detestare lo Stato, che, d’altra parte, cela i propri misteri senza nemmeno troppo curarsi di occultarli; servizi segreti, deviazioni, depistaggi, verità alternative. Una temperie culturale nella quale, di nuovo, soprattutto in Italia, si insinua una “insana” moda verso il paranormale.

Una messe di avvistamenti di Ufo, per esempio, riempie le cronache dei giornali del 1978 (e non a caso l’ultimo romanzo di Wu Ming, Ufo 1978, appena edito da Einaudi, prende a pretesto e cuore, e paradigma, quel momento sociale per un racconto altrettanto sbilenco di quegli anni di mezze verità e molte falsità); e poi un immaginario denso di paranormale. Attività che si declina in Uri Geller che piega cucchiaini (e solo quelli, chissà mai perché) come prova di facoltà psichiche sconosciute, prestigiatori che riempiono gli show televisivi, triangoli delle Bermude e incontri ravvicinati del terzo tipo che si presentano come inquietanti scenari possibili, accostamenti con forme di vita che non sono terrestri.

Non è terrestre, appunto. Come il titolo del libro di Peter Kolosimo che vince a mani basse il Premio Bancarella del 1969 (quello che consacra un libro come il re delle vendite; non pretende di stabilire alcun vincolo di qualità) e inaugura, per l’autore e la casa editrice Sugar (poi Sugarco: e non è un caso che le edizioni siano di una casa editrice laterale), una stagione di bestseller imprevisti e continui: un gruppo compatto di titoli (sempre con la formula a tre parole che suona come slogan, per dire: Italia mistero cosmico, Astronavi sulla preistoria, Terra senza tempo) che spopola e attraversa, in maniera sociologicamente variegata, le librerie degli italiani: li hanno tutti e tutti li leggono, li compulsano i medio colti, affascinano o ripugnano i lettori fini, incuriosiscono gli scettici, li snobbano i sapientoni: ma nessuno li ignora.

Il punto, di questi libri destinati a prendere uno spazio ben preciso nell’immaginario collettivo degli italiani di quel tempo, insieme ad altre fascinazioni non ortodosse, si deve a un colpo di genio del suo autore. Misterioso anch’egli quanto basta: giornalista senza biografia certa, Peter alla tedesca, e Colosimo alla calabrese (ma con la fascinazione che una K – lettera all’epoca sufficientemente sinistra, Kossiga, Kappler e kompagnia – sa dare), nativo di Modena, ma con trascorsi a Bolzano, e poi sede editoriale e di vita nella Torino per definizione “magica” e occultista. Il colpo di genio, si diceva, gli arriva da un semplice e rivoluzionario cambio di prospettiva: nel profluvio di possibili contatti alieni, di futuri da Urania (la collana mondadoriana estremamente popolare che serve a intrattenere con un pizzico di inquietudine i lettori veloci che si ritrovano preferibilmente in edicola piuttosto che in libreria), di astronavi e conflitti cosmici, Kolosimo muta lo scenario. E individua nel passato della Terra il luogo dove sono accadute cose che oggi non è possibile spiegare: da qui ad immaginare che qualcosa è stato dimenticato (o, peggio, colpevolmente occultato dalla scienza ufficiale), che siamo vittime di un’amnesia generale che testimonia, per lacerti e brandelli, però, che il racconto lineare del nostro progresso non funzioni, è passo molto breve.

E allora ecco: linee di Nazca, misteriosi disegni sui campi, ignote figure in civiltà oggi sepolte che rischiano di tramandarci segreti inconfessabili: è esistita una civiltà superiore nel passato remoto della Terra, che forse poteva provenire da altri mondi e altre galassie, circoli di pietre che puntano sui solstizi, templi in rovina (e il culto della rovina è un’architrave sulla quale si basa tutta la narrazione) che ci fanno balenare congiungimenti stupefacenti con gemelli della cintura di Orione, costellazioni e mappe geografiche impossibili da spiegare per le conoscenze dell’epoca in cui furono prodotte: e, dopo tutto, come mai un mito ricorrente, per dire, come il diluvio universale, è insito in tutte le culture del passato e torna ossessivamente come una catarsi che sembra ripulire il mondo da un destino che oggi, a rivederlo bene, ci appare come del tutto incongruente?

Kolosimo è sicuro di quello che sta facendo. Non perde troppo tempo a bollare come “accozzaglia di sacrileghe imbecillità” le teorie di Ufo che atterrano a tracciare cerchi sui campi di grano e prendere in ostaggio terrestri per ospitarli per interminabili quarti d’ora di celebrità nelle loro navicelle, non si fa scrupoli nello smascherare sciocchezze ufologiche alla Adamski (altro autore del genere e suo temibile concorrente) che spaccia per Ufo un lampadario da cucina. No: Kolosimo è qualcosa di molto più raffinato, di molto più ambiguo, di molto più letterario e, dunque, molto più credibile.

E ce lo ricorda, ora, un pregevolissimo libro che, a cura di un serio studioso del fenomeno, Fabio Camilletti raduna in Almanacco della fantarcheologia una serie di contributi e saggi che servono a fare il punto della situazione e rimettere ordine in una serie di letture (spesso malevole e francamente indigeribili) che offuscano la comprensione del fenomeno. Antichi astronauti, continenti scomparsi e futuri passati (recita il sottotitolo del volume in uscita da Odoya), coinvolge altre autorevoli firme che non perdono mai di vista l’essenza della questione: non tutto è vero, in quei libri, ma non di meno, va indagato seriamente per ciò che rappresenta.

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“A rigor di logica” scrive Camilletti, “la fantarcheologia non si occupa del futuro. Come la fantascienza, le sue radici affondano nel positivismo ottocentesco; come la fantascienza, si tratta, essenzialmente, di speculazione fantasiosa. Nella fantascienza, però, la possibilità fantastica deve ancora avvenire: un giorno abiteremo altri pianeti, dissolveremo i confini dello spaziotempo, svilupperemo poteri oggi impensabili. Nella fantarcheologia, invece, è tutto già avvenuto, e potrà ancora avvenire proprio perché è già stato: macchine volanti hanno solcato i cieli, come ci testimoniano il Mahabharata e il profeta Elia; le mura di Cuzco e le piramidi di Giza sono state erette con tecnologie che sorpassano di gran lunga le nostre; continenti interi si sono inabissati, in epoche remote, in seguito a catastrofi che fanno impallidire la distruzione di Hiroshima e Nagasaki”. Perché no, dopo tutto?

È questa la domanda fondamentale. La struttura dei libri di Kolosimo gioca abilissimamente con questa stramba percezione distorta non di un futuro ma di un passato possibile. E lo fa mettendo dentro e nel contorno dei libri tutto un repertorio che aiuta allo scopo. Titoli accattivanti, occhielli, proprio come quelli dei giornali scandalistici che promettono in copertina soluzioni a misteriosi enigmi, o, quanto meno, di discuterli (ecco Astronavi sulla preistoria, una barnum dell’impossibile e del meraviglioso: “Veicoli spaziali graffiti nella roccia. Marziani in Vietnam, elefanti in America. Razze sconosciute nella giungla amazzonica. Atomiche e laser prima del diluvio. Gilgamesh vive ancora?”), una messe sterminata di documentazioni fotografiche e disegni. Immagini per lo più sbiadite, se le rivedete, e non definitive, disegni ambigui che possono voler dire tutto e niente, ma è proprio questo il loro bello.

E, ovviamente, poi, su tutto, c’è lui: Kolosimo. “Un autore di fantascienza, cioè, che avrebbe trovato il successo con libri che facevano allegramente deflagrare il confine tra saggio e narrativa d’invenzione, destando nei lettori – molto più di tanti prodotti scopertamente letterari – quell’interrogativo di fondo (è vero? non è vero?) nel quale Tzvetan Todorov vedeva il composto più sottilmente alchemico di quella che chiamiamo Letteratura fantastica” scrive Camilletti. Ma non basta: “perché la scrittura di Kolosimo, da una divulgazione scientifica complessivamente ortodossa – per quanto carica di meraviglia –, tracimi naturalmente, e inesorabilmente, nella felicità di opere come Ombre sulle stelle, Non è terrestre, Astronavi sulla preistoria, Odissea stellare, capitoli di una saga che – parlando di Maya e di Dogon, di linee di Nazca e affreschi egizi – finiva per raccontare, con una freschezza che ancora oggi sorprende, delle angosce e dei sogni dell’era atomica”.

La chiave è esattamente questa. Kolosimo, ricercatore e saggista, scrittore e basta senza aggiungere il genere, raggiunge con uno stile che gli è proprio una qualità di racconto che è autosufficiente. Basta solo analizzare poche sue pagine per capirlo. Kolosimo procede per accumulo e per analogie, sempre più concentriche, e dilaganti, però, nella pagina e nella immaginazione del lettore. Cita, senza mai una nota, testi sconosciuti, improbabili riviste sovietiche, seriosi autori accademici delle accademie di Bielorussia (mondi che, non dimentichiamolo, esercitavano un fascino “politico” non indifferente per i lettori dell’epoca), tradizioni orali e giornali scandalistici, miti e leggende. Esperienze personali e resoconti di persone a lui vicine.

Il risultato è uno stordimento e un incantamento, una sinfonia di nozioni, mai verificabili in prima persona, che investe e ammalia: e lascia ammirati e interdetti, ancora oggi, a rileggerle. Non si può dire con certezza assoluta che sia falso: questa è la forza segreta della narrativa di Kolosimo e, anche se lo fosse, forse, dopo tutto, non avremmo perso del tempo. Formidabile narratore, incredibile incantatore di serpenti, in lui c’è da ammirare “l’affastellarsi di ipotesi, per quanto improbabili, la fantasia smaccata di certi accostamenti, il brivido della provocazione” che sono tutti segni di una scrittura che ha messo in pratica, senza teorizzarlo, il precetto libertario dell’immaginazione al potere. 

“Nei libri di Kolosimo” continua Camilletti, in maniera convincente, “è assente l’acribia complottistica di tanta produzione fantarcheologica successiva: la critica al Sapere – e dunque al Potere – della scienza e della storiografia “ufficiali” non procede dal risentimento di chi si sente escluso dalla comunità degli “esperti”, ma dal godimento di un’affabulazione che non si stanca di cercare nuovi confini della meraviglia”.

Se mai dovessimo trarre una lezione da questa collana “misteriosa” e coinvolgente dell’editoria italiana (ma con traduzioni in tutto il mondo”) sarebbe una riflessione di tipo editoriale e metaletterario. 

Immagino che questa “lettura” perda di coinvolgimento per i suoi adepti e fan, eppure il volume Odoya conferma che proprio in questa direzione si muove il volume, che “non può non rappresentare una valutazione critica dell’opera di Kolosimo e del sapere fantarcheologico che Kolosimo contribuisce a costruire. Attenzione, però: “critico” non significa necessariamente prevenuto o malevolo. Le ipotesi di Kolosimo – presentate, comunque, con molta più grazia e leggerezza di quelle di tanti suoi epigoni – possono essere false, e spesso lo sono, sul piano scientifico: ma possono avere, e hanno, una portata immensa su quello dell’immaginario, e questa, dal nostro punto di vista, è l’unica cosa che conta. La sfida sarà, dunque, equilibrare nostalgia e distacco, meraviglia e distanza critica, suggestioni immaginali e dati concreti; non un atto di adesione acritica, ma nemmeno un’operazione di puro debunking, della quale, del resto, non ci sarebbe alcun bisogno. Si tratta, piuttosto, di un tentativo di capire, di comprendere: e magari, obliquamente e in piena consapevolezza, recuperare qualche scintilla di quell’incanto e di quello spirito di sovversione che oggi – ad appena quarant’anni di distanza – sembrano più lontani dei continenti perduti”.

Del resto, una frase celebre e profetica di Kolosimo, recita: “Se vi piace sognare sognate”. Quale altra impalcatura dovrebbe sorreggere un racconto, dopo tutto? Non è già sufficiente per scrivere un libro e leggerlo con la dovuta emozione?

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