Passato e futuro / Costantino Nivola, personaggio da favola

6 Febbraio 2022

Nivola non è artista “da museo” o “da galleria”: certo, esiste ovviamente anche questo aspetto, ma soprattutto e più di tutto, Nivola è artista da opere pubbliche. Opere all’aria aperta, esposte alle intemperie, esposte e inscritte in un paesaggio, in modo da modificarlo ma anche da esserne certamente influenzate, esposte alle persone, alle loro intemperanze, persino alla violenza imprevedibile degli eventi, come nel recente caso dei cavallini mutilati della Stephen Wise Recreation Area di New York (che speriamo vengano ripristinati). Nivola prevede, nelle sue opere di ambito pubblico, tutte le ragioni che servono a “giustificare” e a fare interpretare correttamente un’opera d’arte dentro un contesto: la grandezza, la dislocazione geografica, la scala, la diversa angolazione che offre al visitatore e allo spettatore, il materiale stesso, la sua ruvidità o il suo esser liscio, la porosità della pietra, il colore, la variegata esposizione alla luce cangiante del giorno. Il ruolo che l’opera assume, insomma, “nei confronti” della persona e del gruppo di persone che la vivono.

 

TINO, Nivola in America “The Family” (a mother and child) Bronx Family-Criminal Courthouse, Bronx, NY Fotografia di Marco Anelli © 2021.


E questo vale per tutta l’attività artistica di Nivola. A partire dall’enorme rilievo murale per il negozio Olivetti sulla Quinta Strada (con l’utilizzo del sand-casting, la tecnica da lui inventata, giocando sulla spiaggia e spesso coinvolgendo l’altro amico e maestro Le Corbusier; che enormità, se ci si pensa: essere uno dei pochi innovatori nel campo della scultura in secoli di storia dell’arte!), realizzato su commissione di BBPR e Olivetti e di evidente portata artistica, ben più importante del luogo (un negozio, per quanto d’avanguardia), nel quale andava ad insediarsi, e per continuare con i tanti altri interventi nella città americana (New York infatti accoglie la più grande raccolta delle opere pubbliche dell’artista sardo, progetti in tutti e 5 i distretti, almeno 17 dei quali ancora esistenti) e non solo.

 

Una serie recente di mostre americane ha evidenziato queste caratteristiche delle opere di Nivola e grazie ad esse ora le comprendiamo meglio. Parlo di “Figure in Field”, alla Arthur A. Houghton Jr. Gallery, che ha raccontato la storia dei progetti costruiti da Nivola a New York (attraverso maquette e sculture, disegni originali, fotografie site-specific e relativi oggetti) e in America: ben 58 progetti realizzati dall’artista di Orani con gli architetti, nell’arco di circa 40 anni. Parlo del lavoro della Cooper Union, che, in collaborazione con la Fondazione Nivola, ha organizzato un convegno sul ruolo dell’arte pubblica, laboratori didattici e tour in tutta la città per scoprire i lavori e i lasciti di Nivola. Parlo della mostra al Magazzino Italia Art «Nivola: Sandscapes», con 50 opere, inediti, sculture in cemento e maquettes, imperdibile e necessaria nel dimostrare la sintesi delle arti che perseguiva l’artista e ne rende evidente il sogno di pietra e mare (dopo tutto, Nivola, era stato definito “The Sandman” dalla rivista americana “Look” già nel 1951, parola che gioca con l’utilizzo della sabbia ma anche con il popolare personaggio della fiaba, che porta i sogni) che univa due oceani, passato e futuro, uomo e cielo.

 

TINO, Nivola in America “The Family” Beach Channel High School, Rockaway Park, NY Fotografia di Marco Anelli © 2021.


Ma, ovviamente, non bisogna dimenticare l’episodio fondativo dell’attività artistica pubblica di Nivola. Il ritorno, nel 1958, a Orani per l’intervento nella facciata della Chiesa di Sa Itria e per la mostra, nelle strade del paese, delle sue sculture. Il reportage fotografico di Carlo Bavagnoli, strepitoso, restituisce tutto il senso di quella operazione e di quella esposizione che lo stesso Nivola non esitava a dichiarare come la più importante della sua vita. Infitte su semplici aste di metallo e tenute da un altrettanto semplice piedistallo, le sculture di Nivola sono dei meteoriti, strutture plastiche piovute da un altro pianeta, dalla Luna, in un paese che, per l’architettura spontanea e lo stato di generale arretratezza, è saldamente ancorato al suo passato. E invece il miracolo dell’arte si compie. "Benide a biere sos tribaglios de Titinu Nivola oye crasa e pusticrasa in sas garrelas de sos vichinados de Gusei, de sa Itria e de su Rosariu" (Venite a vedere i lavori di Titinu Nivola oggi domani e dopodomani per le strade dei rioni di Gusei, di sa Itria e del Rosario), recitava l’invito del 1958.

 

Le foto di Bavagnoli colgono i molti aspetti di questa festa popolare improvvisata e inaspettata: i bambini che sorridono, e guardano lo scultore mentre lavora, su bandidore con il corno che annuncia l’apertura della mostra, il sorriso aperto e magnifico di Nivola (maniche di camicia e cravattino di maglina, in aperto contrasto con i vestiti degli altri uomini, per lo più velluti e gambali e coppole), i momenti di ballo, le tavolate, l’espressione serissima e concentrata di Nivola all’opera. Bruno Zevi colse in un articolo per “L’Espresso” del novembre 1958, la profondità della faccenda. “All’inizio i contadini sono rimasti titubanti. Poi hanno preso confidenza con quelle strane figure che popolavano i ‘vicinati’. A un certo momento hanno cominciato a discutere, distinguendo un pezzo dall’altro, riconoscendone l’identità, attribuendogli un nome. La prova era superata. Nivola aveva vinto. Tre donne, indicando una scultura a superfici terse e sinuose, la chiamavano ‘galanu’, che significa qualcosa tra chic e pomposo. Un masso articolato in ritmi ripetuti veniva denominato ‘ziu carrapreda’, cioè assimilato a un uomo che porta pietre…

 

TINO, Nivola in America “Untitled” Bridgeport Post Building, Bridgeport, CT Fotografia di Marco Anelli © 2021


I contadini insomma capivano queste forme e, umanizzandole, le sentivano proprie”. E d’altra parte, in quello stesso articolo, Nivola dichiara a Zevi: “Ha avuto influenza sulla mia arte il modo di vivere del mio paese e della Sardegna, l’apparenza degli oggetti e delle case, le forme delle colline e delle rocce”. È un momento epocale per la vita di Nivola e se anche in altre occasioni avrà delle amarezze dalla Sardegna, la dimensione e la vocazione pubblica delle sue opere, consacrata nel suo paese natale, sarà una prova decisiva.

Le opere pubbliche di Nivola. Riguardiamole, brevemente, ma attentamente: rilievi sontuosi, sculture che tengono tutta la matericità della pietra, collezioni di sabbia, forma e natura, il ruvido che porta a una leggerezza estrema; ancestrali richiami mediterranei e geroglifici totalmente contemporanei che legano il lavoro umile del muratore (che Nivola conosce bene e non disprezza, tutt’altro) alla statura dell’artista. Le Corbusier lo aveva capito da subito. Scrive già nel 1954: «Nivola ha realizzato magnifiche sculture su sabbia. Dove diavolo è andato a trovare lo stile innegabile che anima le sue opere? È un figlio della Sardegna, isola lasciata al riparo dalle brame macchiniste. Devono esservi in quest’isola le tracce delle più antiche civiltà e Nivola ha certamente aperto gli occhi al momento giusto».

 

Ma non basta ancora. Per capire queste fotografie, in un secco e vibrante, empatico e corposo, bianco e nero, con il quale Marco Anelli è andato a cogliere significati palesi e reconditi delle opere pubbliche di Nivola in America, bisogna ancora sentire il maestro. Perché quello che le fotografie mostrano, cioè le sculture nella loro vita comunitaria, intersecate dagli sguardi attenti o distratti dei passanti, è una rivelazione della loro funzione. Gli occhi del fotografo colgono la quotidianità di elementi che, invece, invocano tutta la loro eccezionalità: i giochi di ombre, gli uccelli che svolazzano intorno, gli spessori, le gradazioni di luce, i riflessi e gli angoli coperti: le statue e gli interventi di Nivola interagiscono con l’ambiente; anzi ne sono testimoni, protagonisti, presenze attente. C’è una foto, scattata dallo stesso Nivola (in piazza Satta a Nuoro), che fa il paio con una qui ripresa da Anelli: gli scolari che escono di corsa, gioiosi, sorridenti e spensierati e, rincorrendosi, toccano o evitano le sculture. Sono due momenti ampiamente previsti dall’artista: sono l’arte che si fa vita. E viceversa. Sono l’esperienza che egli ha vissuto su sé stesso.

 

TINO, Nivola in America Stephen Wise Recreation Area, Manhattan, NY Fotografia di Marco Anelli © 2021.


In un testo molto sottile, dedicato alla realizzazione dei 300 mq del bassorilievo della Mutual Hartford Insurance Company (anche qui, esistono delle foto molto belle, del 1957, nelle quali Nivola e il suo giovane allievo Peter Chermayeff, preparano l’opera nel giardino della casa di Nivola a Long Island), Fred Licht, aveva colto ciò che cerco di dire. “Nel suo tema, il bassorilievo di Hartford è pienamente urbano, civile.

Nella forma, come nel contenuto, opera come un grande, visivo trait d’union tra il palazzo della compagnia di assicurazioni e gli abitanti della città. Dal punto di vista tecnico ed emotivo, notevoli sono il senso di tenerezza e di delicatezza che Nivola riesce a comunicare anche in queste opere di gigantesche dimensioni. L’intero rilievo è perfettamente leggibile anche se accennato; la transizione tra un piano e l’altro è così morbida da non imprigionare mai la luce nel chiuso di ombre scure. Al contrario, la luce rimane sempre diffusa, penetra ovunque, crea un’illuminazione che rende brillante l’intera composizione. L’artista riesce a fondere l’insostanzialità della pittura nella durata della scultura. È il primo, nella nostra epoca, a riportare il bassorilievo al suo originario potere espressivo, a restituirgli quell’elevato rango spirituale già posseduto”.

 

TINO, Nivola in America “The Family” (a mother and child) Bronx Family-Criminal Courthouse, Bronx, NY Fotografia di Marco Anelli © 2021


Ecco. Ci siamo. Perfettamente spiegato qui è il riallacciarsi, compiuto “favolosamente” da Nivola, a quella arte primitiva ed ancestrale che, in quella intervista, aveva definito troppo lontana. Per vie traverse, e misteriose, che solo gli artisti sanno percorrere in una solitudine destinata ad illuminare il percorso degli altri, era giunto invece là dove tutto era partito. Nivola ha ripescato dal buio dell’interiore dell’uomo il punto di luce del sacro e dello spirituale: ed è una pietra, un raggio di sole, una manciata di sabbia che sanno suggerirlo, a patto che qualcuno riesca ad ascoltare e riproporlo.

 

Man mano che passa il tempo, e più guardo, ammiro e rifletto sulla parabola artistica di Nivola, sulle sue opere, sulla sua magnifica presenza su questa terra, più lo vedo giganteggiare e ingrandire il suo status: un oracolo venuto a dimostrare, in pieno Novecento, che l’arte è sempre sacra ed è sempre ancestrale, ha a che fare con il racconto dell’umano e con il suo essere e stare al mondo, con il senso della sua presenza.

Nella firma di quel monumento destinato ad Hartford, Nivola, passato presente e futuro insieme, nobiltà del lavoro umile, eccezionalità dell’arte, si era così nominato: “Costantino Nivola, scultore, muratore, manovale”. E nella nota di accompagnamento per descrivere il lavoro (37 giorni, a partire dal 1° agosto 1957), dopo avere ringraziato tutti i partecipanti all’opera, compreso il fedele guardiano, il cane Rudi, Nivola scrive: “Our sincere thanks to the generous collaboration of the sun, the sea, and the sand”.

 

In una foto stupenda di Hans Namuth, Nivola è in spiaggia, con il basco in testa, e getta un’ombra lunghissima sulla sabbia: è nel suo studio. Sono i suoi elementi. Marco Anelli rende omaggio a quella foto rifacendola, sabbia, vento, luce, onde, mare e cielo. Ma Nivola stavolta no, non c’è. Non ci può essere. E invece, se guardiamo bene, se sappiamo guardare, è ancora lì, in spirito e forma: dove sabbia, acqua, sole e cuore si incontrano, Costantino Nivola veglia e sorride. Non sarà andato sulla Luna, no, ma forse, del resto, non ne aveva bisogno. Sembra venire a noi da un altro tempo, molto più vecchio del nostro, e allo stesso tempo dal futuro che attende ancora di celebrarlo, capirlo, amarlo come merita.

Aldo Buzzi in Memorie di Orani, altro grande libro di Nivola, scrive di lui una cosa definitiva. “Alla fine di un corso di scultura tenuto all’Università di California, a Berkeley, cucinò davanti agli allievi un agnello intero al modo sardo, un pranzo e insieme uno spettacolo che sicuramente gli allievi ricordano ancora e che ha insegnato loro molto più di una semplice ricetta di cucina. In quelle occasioni Tino cessava di essere uno scultore, o un pittore, o un insegnante, o un cuoco: era un personaggio da favola”.

E noi crediamo alle favole, alle porte di città meravigliose che si aprono, a uomini piccoli di statura e grandi di ingegno e anima che vengono da terre più esotiche della Luna e ci portano memoria e futuro, e messaggi di vita, luce, tempo. Pietre, sabbie e sogni.

 

Marco Anelli, Tino Nivola in AmericaSilvana Editoriale-Magazzino Italian Art, 2021. Testi di Stefano Salis, Kevin Moore e Vittorio Calabrese; design di Beatriz Cifuentes Waterhouse. 128 pp., con 70 fotografie in bianco e nero.

 

Il testo di Stefano Salis, presente in inglese nel volume qui sopra citato, è pubblicato per la prima volta in italiano su doppiozero su gentile concessione dell'autore, che ringraziamo

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