Libro di disegni / I semi di Simone Massi

19 Febbraio 2022

Simone Massi è chino su un foglietto, intento a lavorare, in silenzio: al centro del foglietto c’è un rettangolo di pastello a olio nero che lui incide creando un tratto “in negativo” (bianco su nero), basandosi su un disegno preparatorio. L’opera passa poi nelle mani delle sue collaboratrici (Alessia Travaglini, Anna Fernandez, Laura Fuzzi, almeno per quel che riguarda questo lavoro) che procedono ad “animarlo”, cioè a creare tutti gli altri disegni che in sequenza permetteranno di far muovere la figura. È un “dietro le quinte” che troviamo in un video che racconta il lavoro di Massi per un’animazione per il documentario olandese Liefde is Aardappelen (L’amore è patate). “Un secondo consiste di otto disegni – spiegano i sottotitoli che accompagnano il video –, un minuto fa 480 disegni. Otto disegni sono un giorno di lavoro di una persona”. Massi e le sue collaboratrici “insieme realizzeranno più di 5 mila disegni”.

 

L'attesa del maggio.


È una tecnica lentissima, artigianale, a cui Massi è approdato nel 2004 con il cortometraggio La memoria dei cani. Ma prima ci sono stati anni di sperimentazioni e tentativi, con altri stili e altre tecniche. Un buon modo per scoprire o riscoprire questo artista e il suo percorso è il Libro di disegni pubblicato da Minimum Fax: qui i corti di Massi sono presentati in ordine cronologico, dal primo, Immemoria del 1995, a L’infinito del 2020, ispirato all’omonima poesia di Giacomo Leopardi. Venti opere che nel corso degli anni hanno vinto centinaia di premi, tra cui un David di Donatello e due Nastri d’Argento. Per ogni corto ci sono alcuni disegni e il relativo storyboard e ognuno è accompagnato da un breve testo, affidato di volta in volta a un autore diverso. Sono commenti, elogi, riflessioni, scritti da registi (Wim Wenders, Amos Gitai), attori (Roberto Herlitzka, Ascanio Celestini, Marco Paolini), musicisti (Dario Brunori, Massimo Zamboni), poeti… c’è anche uno scritto di Gino Strada, oltre a una prefazione firmata da Goffredo Fofi.

 

Volendo si può “leggere” questo libro di disegni tenendo sotto mano il canale YouTube di Massi, dove sono pubblicati molti dei corti di cui si parla nel volume, alcuni in versione integrale, altri sotto forma di trailer. Proviamo a farlo partendo da Tengo la posizione (2001). Il corto è ispirato a un brano tratto da La casa in collina di Cesare Pavese, quello che recita “Il tempo si guasta: quest’inverno, lo dicono tutti, nessuno avrà voglia di combattere”. È quindi la guerra partigiana contro l’occupazione nazi-fascista, che attraversa il mondo contadino a cui Massi è fortemente legato. Un uomo con una sciarpa rossa (unico elemento di colore in tutto il corto) a coprire bocca e naso, in un bosco di betulle su cui cadono fogli: partiamo da qui in un perenne zoomare. L’uomo cade a terra e noi ci avviciniamo a uno dei fogli che lo circondano. È il testo di Pavese, ci entriamo dentro avvicinandoci sempre più alla parola “guasta”: la sbavatura d’inchiostro sulla stanghetta della “t”, vista così da vicino, diventa la sagoma scura di una collina, ai piedi della quale c’è un casolare, e un anziano seduto sulle scale. Proseguiamo così in un susseguirsi di immagini – una ragazza che abbraccia una mucca, un campo pieno di neve in cui è accovacciato un uomo che imbraccia un fucile – passando ogni volta attraverso la pagina di Pavese, finché non ritorniamo da capo, all’uomo con la sciarpa rossa.

 

Già qui sono presenti molti dei temi e degli stilemi ricorrenti nell’opera di Massi. Il mondo contadino costituisce per l’artista sia una memoria familiare, una radice, sia una fonte inesauribile di storie e idee. Anche la tecnica che Massi ha adottato per il suo cinema d’animazione è “contadina”: richiede tempo, pazienza e dedizione. In Tengo la posizione notiamo poi l’uso del colore. In gran parte delle sue animazioni Massi adopera il colore con estrema parsimonia, solo per sottolineare alcuni elementi, e di solito il colore è il rosso. Una sciarpa rossa, un fazzoletto rosso, il rosso della cresta di una gallina, della lingua di un cane, del petto di un pettirosso, e ovviamente il rosso del sangue. C’è poi una tecnica narrativa che Massi ha adoperato in diversi corti. Una specie di brevissima introduzione dove tutto è quasi immobile e poi un gesto, un movimento (in Tengo la posizione è una caduta) da cui parte l’azione, o sarebbe meglio dire un viaggio, uno zoom continuo. A segnalare la partenza è la colonna sonora, una musica d’atmosfera, un sottofondo, a cui si mescolano diversi suoni. Il latrato dei cani, il bruciare della legna nel camino, versi affannati come di una persona che corre: questi suoni tornano pressoché identici in vari corti.

 

Dell’ammazzare il maiale.


Li ritroviamo ad esempio in Dell’ammazzare il maiale, con cui nel 2012 Massi ha vinto il David di Donatello per il miglior cortometraggio. Nel Libro di disegni troviamo gli schizzi per lo storyboard e soprattutto il retro di un biglietto ferroviario su cui Massi ha scarabocchiato un testo, cosa che ci fa supporre che l’idea iniziale del corto sia nata così, in un viaggio in treno magari in mezzo alla campagna. “Viene l’inverno e mia madre passa la mano sopra i miei capelli a carezzarmi il capo”, è la prima frase (“Viene l’inverno e io ho paura”, diceva invece il testo di Pavese citato in Tengo la posizione). Ritroviamo questo gesto all’inizio del corto, ma subito, sopra la testa del Massi bambino, si apre la canna di un pozzo: ne sbuchiamo passando attraverso l’orecchio di un uomo, l’uomo ha in mano un coltello, è seduto a un tavolo e sbuccia una mela (rossa), all’improvviso si alza e si fonde con l’ombra proiettata su un muro di una vecchia seduta di fianco a un camino. Siamo in una casa di campagna, è inverno, la stagione in cui “gli uomini entrano nella casa del maiale e lo legano per il muso. Mentre viene trascinato fuori l’animale ha modo di vedere il cielo e le cose del mondo”, come recita la frase che introduce il cortometraggio. Si prosegue così, passando tra un uomo che zappa, il latrare dei cani in lontananza, le rondini che volano: l’uccisione del maiale è suggerita solo dai versi nella colonna sonora e da una striscia rossa che diventa di volta in volta la stringa di una scarpa, una scia di sangue o delle budella strappate. Fino a ritornare al Massi bambino e alle carezze della madre.

 

La narrazione circolare è ancora un altro richiamo al mondo contadino, all’alternarsi delle stagioni. In Io so chi sono (2004) questa appartenenza è resa esplicita dalla voce che in apertura del corto recita, in semi-dialetto marchigiano, “so mi’ nonno e mi’ padre”. Qui il ritmo con cui si susseguono le immagini è ancora più vorticoso. L’occhio di un maiale che sta per essere ammazzato, un ragazzino che si arrampica su un covone di fieno, uno spaventapasseri, un pettirosso morto stecchito, le linee della mano di una bambina: tutte sono racchiuse dentro la valigia dell’uomo che compare all’inizio e alla fine del viaggio. È l’altro grande tema del cinema di questo artista: il legame tra le generazioni, le radici che tengono uniti i bambini della generazione di Massi (1970) a questi anziani seduti davanti a casolari di campagna e a donne che trasportano sulla testa fasci di fieno o altri carichi. Questo legame è così sentito da Massi da averlo spinto recentemente a curare un volume, Abbecedario del dialetto pergolese dell’Alta Valcesano (Etra, 2020), dedicato al particolare dialetto della zona delle Marche di cui è originario.

 

 

Nella filmografia di Massi non mancano però incursioni in altri immaginari. Fare fuoco (2011), ad esempio, è un corto ispirato all’opera di Jack London, in particolare al racconto del 1910 Preparare un fuoco. Il corto è nato come apertura dello spettacolo Ballata di uomini e cani di Marco Paolini. Proprio la voce dell’attore veneto accompagna Piccola mare (2003), un’eccezione nella filmografia di Massi, non solo per la presenza di una voce narrante ma soprattutto perché si tratta di una delle rare animazioni a colori dell’artista. È la storia di un ragazzo che non ha mai visto il mare e che può quindi immaginarlo a suo piacimento, vale a dire sotto forma di una ragazza dai lunghi capelli rossi, la “piccola mare”, appunto.

 

Sfogliando il Libro di disegni di Massi, guardando i suoi corti, avevo pensato inizialmente di trovarmi dentro a un caleidoscopio, per questo susseguirsi di immagini, che a volte ritornano uguali anche in opere diverse. Poi ho pensato a una matrioska, che apriamo e apriamo e ogni volta ci sorprende. Ma forse l’analogia più appropriata è di nuovo con il mondo contadino e quindi con la natura: il ritmo nei corti di Massi assomiglia a quello dei timelapse dove vediamo una pianta crescere a velocità super-accelerate. Un continuo germogliare e fiorire di immagini, e nel Libro di disegni ne troviamo i primi semi.

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