Giorno 6 / Poesia

6 Dicembre 2019

Siamo nel decimo dei romanzi del ciclo di Oz, proprio nella pagina finale: Rinkitink, re di Gilgad, abbandona l’isola di Pingarì, dove ha vissuto mille avventure e ha incontrato amici straordinari, per tornare nel suo regno. Prima di salpare compone una struggente ode il cui incipit, nella geniale traduzione di Chiara Lagani, parafrasa l’«Addio monti» dei Promessi sposi

 

Addio, terre sorgenti dall’acque:

Pingarì che nel mar bella giacque.

Né mortale, né re, né stalliere

le tue perle disdegna d’avere.

Re Belbello, con molto rimpianto,

sono costretto a lasciar quest’incanto;

non potendo più andare ramingo

a salir sulla nave m’accingo.

Addio Principe di queste terre:

sarai re tu, se vinci le guerre;

più non vien l’aggressor nel tuo regno,

se saggezza qui lasci il suo segno.

 

Dopodiché chiede al suo compagno-consigliere-amico Bilbil, capra parlante, ma ora ritrasformato da Glinda, la strega buona, in Bobo principe di Bobolandia:

 

- Ti è piaciuta la mia canzone, Bilbil… voglio dire… Bobo? Non pensi che sia un capolavoro?

- E Bobo rispose, sorridendo:

- Come in tutte le tue canzoni, caro Rinkitink, il sentimento supera la poesia.

 

Su questo ambiguo giudizio critico si conclude il romanzo. 

Come spesso in Baum, le affermazioni hanno una duplice o molteplice interpretazione possibile. Ma in questo caso è difficile pensare a un giudizio positivo. Primo perché, quando era capra parlante, Bilbil è sempre stato compagno fedele e coraggioso, ma anche interlocutore scontroso e ben poco avvezzo ad assecondare il narcisismo di Rinkitink. E poi c’è un episodio rivelatore, quando l’intervento provvidenziale di Dorothy libera tutti i protagonisti prigionieri del Re Niomo:

 

Fu una scena commovente: gli sventurati Re e Regina di Pingarì entrarono nella stanza e, piangendo e singhiozzando, abbracciarono il loro coraggioso e avventuroso figlio. Tutti gli altri rimasero in silenzio, finché loro non ebbero finito di salutarsi e di baciarsi (…)

Il Mago era rimasto vicino a Bilbil la capra, e si stupì a sentir dire all’animale:

- Che incontro gioioso, vero? Però che noia veder delle persone adulte piangere come bambini.

 

Ecco, Bilbil non ama le scene strappalacrime. E non cambia gusti estetici anche quando torna a essere il Principe Bobo. L’unica interpretazione possibile del suo giudizio sull’Ode a Pingarì non può essere che questa: se il sentimento eccede, la poesia sparisce. È un meccanismo più preciso di un incantesimo. La poesia non è immediata effusione di sentimenti. L’hanno detto tanti grandi poeti: va scritta a sangue freddo. Il nucleo emotivo originario va smarrito, come le perle del Re di Pingarì, e ritrovato in una forma diversa, quasi per caso: un residuo che solo la magia di una forma può ritrasformare in emozione per il lettore.

La capra Bilbil la sapeva lunga.

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