Condivisione senza attrito
La cronaca della politica estera dell’ultimo anno è stata dominata dalla contesa per la libertà e il controllo delle informazioni sulle reti digitali. In questo ambito ha assunto un ruolo centrale la definizione dei limiti del concetto di “privacy”. Un osservatore attento delle implicazioni dei più recenti orientamenti legislativi è Evgeny Morozov, analista politico e giornalista di origine bielorussa nonché autore di Net Delusion (L’ingenuità della rete). Morozov rileva che spesso i pericoli maggiori per la privacy in Rete non vengono dalle incerte e spesso contraddittorie politiche estere dei governi occidentali ma proprio da alcune aziende del Web 2.0. Un esempio emblematico in tal senso è quello offerto dal cosiddetto “frictionless sharing”, un progetto promosso da Mark Zuckerberg (fondatore di Facebook) nell’autunno 2011 in virtù del quale non sarà più necessario condividere gusti e preferenze: Facebook, infatti, li registrerà automaticamente rendendoli così disponibili ai contatti (agli “amici”) di ciascun utente. Tale sprone al conformismo sarebbe limitato per ora agli oggetti mediali (film, musica, libri ecc.) che sono pubblicati all’interno del più popolare walled garden ma in un futuro sempre più prossimo nulla potrebbe vietare a Facebook di registrare anche le preferenze e i consumi relativi a tutti gli altri luoghi della Rete visitati da un utente (la tecnologia disponibile, d’altronde, già permette un simile monitoraggio). Come sottolinea Morozov in un articolo pubblicato nello scorso novembre dal Corriere della Sera (“Pedinati da Facebook. Così ogni utente sarà schedato su tutta la Rete“), l’aspetto più interessante è quello ideologico: gli sforzi propagandistici di Facebook sono diretti a presentare tali forme esasperate di condivisione come un qualcosa di normale e perfino desiderabile.
Sulla base di uno strumento come quello progettato da Facebook, incrociando dati apparentemente banali come ad esempio libri e dischi acquistati online, è possibile determinare – in maniera abbastanza precisa – un profilo dell’utente sotto osservazione e quindi di stabilire il suo orientamento politico, sessuale, religioso ecc. Al di là delle legittime preoccupazioni per quest’ulteriore minaccia ad una privacy che nei social network è già duramente sotto attacco, c’è forse un pericolo ancora maggiore del quale tenere conto: usando il frictionless sharing, le aziende che hanno interessi in comune con Facebook potrebbero restringere la loro offerta a quei prodotti culturali che rientrano tra i preferiti della categoria standard nella quale l’utente e i suoi contatti sono stati incasellati. Il rischio è dunque quello di un progressivo restringimento degli orizzonti intellettuali individuali: se nei social network incontro soltanto persone e prodotti culturali che riflettono le preferenze dell’idealtipo al quale il marketing contemporaneo ha deciso che appartengo, la conseguenza più prevedibile – come osserva Morozov – è che diminuisca “lo spazio per la provocazione, lo scandalo, lo squilibrio estetico”. Al punto che Internet rischia seriamente di diventare “la peggior parodia della Silicon Valley, dove si presume che tutti siano sorridenti e si sentano sempre meravigliosamente bene”.
Alcune delle dinamiche alla base del restringimento di orizzonte mentale paventato da Morozov sono peraltro tipiche delle reti sociali basate sui “mondi piccoli”: quelle reti costituite da piccoli gruppi densamente connessi tra loro (il modello chiamato “small world network” è stato introdotto nel 1988 da Duncan Watts e Steve Strogatz). Come ben spiega Clay Shirky, queste reti “agiscono come amplificatori e come filtri dell’informazione”; in altre parole, poiché l’informazione si diffonde passando dagli amici agli amici degli amici, si finisce per impaludarsi nel flusso delle informazioni ‘filtrate’ e ‘amplificate’ dai propri contatti. A ben vedere, tutto ciò che non è in precedenza selezionato ed evidenziato all’interno del proprio ‘piccolo mondo’ è destinato a passare inosservato.
In sintesi, l’ideologia dietro il frictionless sharing si fonda sulla soppressione di ogni livello critico e sulla riduzione degli utenti a “robot senz’anima” che hanno l’unica funzione di consumare e dunque di produrre dati statistici destinati ad essere elaborati da algoritmi software in grado di trasformarli in nuovi stereotipi e modelli astratti di consumo. Tali considerazioni inducono Morozov ad assumere nei confronti di Facebook un atteggiamento più duro di quello che emerge dalle pagine di Net Delusion. L’autore infatti conclude così l’articolo citato: “Facebook sta eliminando la gioia, il caos e la grande varietà di opinioni che circolano su internet, sostituendovi un sorriso artificiale, una efficienza noiosa e una interazione con la cultura tanto ampia quanto incolore”.
Come non essere d’accordo?