Elon Musk, un gesto senza storia

7 Febbraio 2025

Sono passati giorni da quando le cronache della vecchia Europa sono state scosse dalle notizie della cerimonia di insediamento del presidente Trump, dove il neo-ministro e mega-magnate sudafricano/canadese/statunitense Elon Musk ha concluso il suo intervento con un gesto che i più hanno interpretato come un saluto romano. La maschera era finalmente caduta, il magnate si era mostrato per quel fascista che è. Altri avevano voluto sgonfiare l'affaire, e con l’aria di chi è saggio avevano declassato il gesto alla trovata sconclusionata di un autistico, cito.

Ma quel gesto non è fascista, e non lo sarebbe neppure se Musk fosse davvero personalmente fascista. Intanto non è detto che uno non nasconda intenzionalmente e non depisti programmaticamente. Ma soprattutto, non è detto che quello che uno sa di sé coincida con quello che realizza la complicazione insondabile delle sue pratiche, che quello che uno pensa di sapere di se stesso coincida con quello che comportano concretamente le sue spinte più profonde, i suoi affari più innovativi, le tecnologie che li fanno prosperare, la complicata eterogenesi che accompagna ogni progetto. Magari potessimo liquidare il gesto di Musk ascrivendolo a una qualche categoria storica, per esempio il fascismo. Saremmo sollevati, sapremmo di che si tratta, tireremmo fuori dall’armadio qualcosa di prefabbricato. E infatti questa diagnosi di fascismo serve a questo. A continuare a dormire. A benedire l’inerzia. A sentirci buoni. Sono diagnosi conservatrici.

Quel gesto non è fascista. È anzi risolutamente antifascista. Pazienza per i nostri automatismi mentali, per cui i cattivi sono sempre e comunque fascisti, e i buoni sempre e comunque antifascisti. Quel gesto è antifascista perché è contrario in ogni modo a tutta la serie dei capisaldi di ogni fascismo sia storico sia ideale (si veda Georges Canguilhem, Il fascismo e i contadini). Evoca un presente e non un passato. Disegna una specie di orizzonte infinito, non allude alle altezze in cui abitano i capi, non evoca la terra che offre loro fondamento, non riecheggia il passato di cui sarebbe testimone. È un gesto completamente disincarnato, e lo compie un personaggio che ha l’aria di essere a sua volta privo di corpo e di sesso. E sappiamo bene quanto il fascismo tenga ai corpi solidi e ai sessi ben chiari. Evoca una profonda inappartenenza, non una qualsiasi radice. Un fascista dovrebbe rabbrividire. E di lui si deve dire lo stesso che abbiamo detto prima, se non rabbrividisce non è un fascista anche se in cuor suo pensa di esserlo.

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Un paio di giorni dopo il fatto abbiamo letto tutti il pensiero quotidiano di un noto intellettuale di sinistra, che è di sinistra solo nel senso che è noto per essere di sinistra, ma raramente dice qualcosa che non sia accuratamente conservatore. Si scandalizzava, si sentiva buono e anzi ottimo, dichiarava con preoccupazione epperò con visibile godimento denunciatario che non si era mai vista una cerimonia di insediamento in cui banchettassero così sfacciatamente i padroni del vapore, e la politica di una democrazia si mostrasse così apertamente contigua con la macchina economica e col suo funzionamento tutt’altro che democratico.

Meno male che è un intellettuale di sinistra. Meno male che nel suo bagaglio ci sarà qualche pagina di Marx. Uno che diceva, centocinquant’anni fa, non un quarto d’ora fa, che i governi sono i comitati d’affari della borghesia (primo capitolo del Manifesto del 1848). Pensavo questo, ed ecco che di colpo mi viene in mente un’altra cosa. Cioè che una frase come questa aveva il pregio di essere tutt’altro che una critica o tutt’altro che una critica soltanto. Indicava il problema, e intanto indicava il terreno su cui confrontarsi con quel problema, lo spazio e la materia e la dinamica e i funzionamenti intorno a cui controbattere, controproporre, combattere. Il marxismo voleva essere “scientifico”, non “critico”. Tutta la nostra sinistra è “critica”, e ha abbandonato da decenni l’idea di essere “scientifica”.

Sento già i maldipancia di molti, che mi spiegano che il marxismo era tutt’altro che scientifico, e infatti s’è visto com’è andata finire. È vero, ma “critico” lo prendevo nel senso di denunciatario, e “scientifico” in tutt’altro senso che provo a spiegare. La frase di Marx nomina un gruppo specifico e non l’umanità e i suoi diritti, che non esistono e non sono mai acquisiti, e non un singolo e i suoi deliri soggettivi, che non esistono o contano pochissimo. Indica l’industria come terreno dello sfruttamento e dunque della controproposta. Evoca la catena di montaggio come luogo dell’alienazione e dunque dell’emancipazione. Stana il comitato d’affari come luogo del potere e dunque della cattura di quel potere, per piegarlo in altra direzione, metterlo in gioco altrove. Su questa base puoi immaginare uno sciopero. Puoi progettare di dotarti di tuoi mezzi di produzione. Puoi rivendicare differenti orari in cui erogare, come si dice, le prestazioni che i nostri corpi offrono alla grande macchina.

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Quella frase indica cioè il terreno della critica e il terreno della creazione. Indica il terreno del no come lo stesso terreno di cui il sì dev’essere una variante, una distorsione, una sfigurazione, una riconfigurazione. Meglio ancora, indica il terreno che sta a monte del sì e del no, di cui isola poi una variante a cui dire di no, e una variante a cui provare a dire di sì. Ecco, l’individuazione di questo terreno preliminare al sì e al no, direi quasi la creazione di questo terreno preliminare al sì e al no, perché questo terreno non è affatto rinvenuto nell’esperienza, ma è creato come leva strategica per ogni ulteriore esperienza di pensiero e di azione – l’individuazione e la creazione di questo terreno preliminare è il gesto che chiamavo scientifico. È scientifico in un senso che anche uno scienziato, anche un filosofo della scienza potrebbe riconoscere. È scientifico in questo senso paradossale, che comporta la creazione di un piano di oggettività nuove, non l’apprezzamento o la denuncia di un piano di oggettività acquisite. È scientifico nel senso della scienza rivoluzionaria e non della scienza paradigmatica, avrebbe detto Thomas Kuhn (La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi).

E noi, oggi, davanti al gesto di Musk, che ce ne facciamo di tutto questo? Ovvio che non c’è più l’industria, almeno alle nostre latitudini e in quel senso ottocentesco. Ovvio che non c’è più la catena di montaggio. Ovvio che non c’è più il governo come comitato d’affari della borghesia. La cerimonia d’insediamento di Trump mostrava tutt’altra cosa che il comitato d’affari di una qualsiasi borghesia.

E tuttavia si dovrebbe estrarre dalla frase di Marx il senso dell’operazione, non il risultato dell’operazione. Lo spirito del gesto scientifico, non il suo risultato critico. Si potrebbe, si dovrebbe estrarre da quell’istantanea, quella dei Trump e degli Zuckerberg tutti riuniti al tavolo cerimoniale, tutti convocati da quel gesto bizzarro del loro amico Musk, perché di questo si tratta, è il gesto di Musk a convocarli tutti alla sua corte, qualcosa di più che una critica, un’accusa di fascismo, un’identificazione con cose viste e già fatte cent’anni fa. Qualcosa come un’indicazione del terreno che si tratta di pensare e praticare, ovviamente in tutt’altro modo dal modo in cui viene indicato da Musk, e però restandogli incollati, restandogli massimamente fedeli, perché è su quel terreno che si giocherà la battaglia.

Che cosa comporta quel gesto? Che cosa ci insegna? Richiamo quei pochi tratti che ne isolavo all’inizio, e provo a chiarire, ad ampliare. Dicevo che è un gesto antifascista perché evoca un presente e non un passato. Non gli importa niente di riattivare qualche mito destrorso. Non pensa dentro alle categorie della storia, non pensa che il passato sia una causa del presente, una spiegazione del presente, un suo alimento o antagonista. Il gesto di Musk non ha storia e non si spiega attraverso la storia. Contesta la storia, contesta ogni presupposto della nostra mentalità storicistica, contesta che l’elemento nel quale situare gli eventi sia la linea del tempo. Non accade nella linea del tempo e non fa accadere una linea di tempo. È un gesto senza padre e senza padri, e in effetti nasce da qualcuno che alberga fantasmi di autogenerazione, come suggerisce qua e là la bella biografia di Walter Isaacson (Elon Musk, Mondadori).

Ma non si tratta di dedurre qualcosa dai fantasmi personali di Musk. Si tratta semmai di leggere nel suo fantasma i fantasmi del presente, che in lui trovano un amplificatore straordinario. Sono le sue aziende e i suoi immani investimenti a mettere in campo un insieme di pratiche che disfano la possibilità che il passato sia un riferimento, il mondo dei padri una bussola, e la dimensione della terra la fonte ultima della creazione del valore. Il suo progetto relativo all’immortalità esprime perfettamente questa cancellazione del passato, del passare, del perire. Per questo stesso motivo non riguarda in alcun modo il futuro, che è un passato rigirato in avanti, ma riguarda l’istituzione di un presente perfettamente piatto, privo di spessore, pura superficie. Per questo stesso motivo disegna uno spazio vastissimo e non un’appartenenza locale, un tentativo di essere ovunque e in nessun luogo anziché in un posto solo e tendenzialmente privilegiato, magari perché luogo della lingua materna o perché tomba degli antenati o perché mio.

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Musk non sembra avere un luogo. Sappiamo bene che non è lui a presiedere gli Stati Uniti solo perché è sudafricano, e deve accontentarsi di fare il ministro, anche se di fatto è il primo presidente sudafricano degli Uniti d’America, e Trump ne sarà un ottimo ministro. E allora è importante che sia sudafricano? No, non glie ne importa nulla del Sudafrica, come dimostra sempre la sua biografia. La cosa importante è che non glie ne importa nulla dei luoghi. Quel gesto poteva entusiasmare, e ha entusiasmato perché promette libertà dai luoghi e dai corpi come luoghi, anzi realizza quella libertà dai corpi e dai luoghi, e ricorda che anche le sue aziende la realizzano, la fanno concretamente accadere. Gli interessano i satelliti, gli interessa Marte, invece? Neppure. Come notava Husserl in una pagina mirabile, anche Marte sarebbe un’altra Terra, una volta colonizzato (L’Arca originaria Terra non si muove). Questo vagare di colonia in colonia è quello che chiamavo una pura superficie perfettamente disgiunta dalla terra o dal territorio. Non storia ma superficie, non generazioni ma autogenerazioni, non sequenze di fatti ma simultaneità di fatti.

Aggiungevo che il gesto di Musk è un gesto incorporeo, il gesto di uno che si strappa il cuore, molto più che alzare il braccio nel saluto romano, e lo lancia altrove, se ne libera. Forse lo lancia a noi nel senso che il suo cuore è anche nostro, ma il punto è un altro. A quali condizioni è possibile un gesto simile? Per lanciare il cuore altrove, per uno qualsiasi di questi motivi magari poetici e magari kitsch, bisogna immaginare, bisogna sentire, che quel cuore non ha bisogno di stare nella sua cassa toracica. Non mi appartiene, non gli appartengo. Si dirà che appunto Musk è autistico, ma questo anziché chiudere il discorso lo deve riaprire. Che significa autistico, al di là del fatto che Musk lo sia o non lo sia tecnicamente, clinicamente? Gli psichiatri di una volta, quando leggevano Husserl e Heidegger (Binswanger, Per un’antropologia fenomenologica), pensavano che autismo è non avere il mio corpo come mio, è semmai essere quel corpo essendo tutto suo, ed essendo a sua volta quel corpo tutt’uno col mondo e tutto suo, del mondo. O, ma è lo stesso, essere talmente estranei al proprio corpo da vivere come una mente disincarnata, coestensiva a un infinito spazio ugualmente incorporeo.

Qui è dove si vede che il problema non è l’eventuale autismo di Musk, è l’autismo strutturale delle sue tecnologie. Come farne qualcosa di nostro? Perché dati gli enormi investimenti fatti in quella direzione, è sicuro che quei progetti si realizzeranno, perché anche se falliranno avranno convocato l’umanità intera intorno al loro modello di funzionamento. È da lì dentro che dovremo lavorare. Si pensi al chip di cui tanto si parlava un anno fa, che consentirà a una persona paralizzata di muovere un corpo esterno, magari collocato dall’altra parte dell’oceano. Che antropologia, che metafisica comporta questo chip? Che ciascuno di noi è un potenziale paralitico, cioè una mente completamente extracorporea, ma in grado di muovere un qualsiasi corpo extramentale. Il mondo diventa l’esterno sempre disponibile di quell’interno assolutamente illocalizzabile, il segno cosmologico di un’anima sempre straniera. Ogni cosa è il segno lontano di quest’anima prossima. Ogni cosa è un segno da intercettare, trascrivere, calcolare, collegare, rilanciare, assemblare, disassemblare, leggere in altri segni, scomporre in altri segni, ricomporre in altri segni. Anche quell’anima straniera è un segno.

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Notavo infine che quel gesto ha l’aria di nascere da qualcuno che è privo di sesso. E del sesso o dell’esser privo di sesso si potrebbero azzardare due letture non necessariamente alternative. La prima. L’esser privo di sesso concorda al millimetro con quell’essere senza terra di cui abbiamo detto, e senza passato, senza storia. Il sesso non è che spessore, densità, un essere così anziché altrimenti, una differenza irriducibile e incessante, una singolarità che non si lascia levigare, un eccesso che accade qui anziché altrove, così e non altrimenti. La faccia perfettamente levigata di Musk dice qualcosa di quest’assenza di singolarità. È infantile e anziana, ancora implume e già di nuovo liscia, senza espressione e senza tensione. Non ha rughe, se ci fate caso. Nessun passato l’ha visitata. Nessun futuro la funesta con la sua venuta quotidiana. Piatta come l’orizzonte infinito di cui sopra.

La seconda lettura di questo fantasma, ma realizzatissimo, dell’essere senza sesso dovrebbe sottolineare che senza sesso significa senza alterità, senza che quella differenza sessuata trovi il senso della sua differenza in una differenza che essendole interna le è anche esterna, che abitandola intimamente la chiama a cercarla in un’altra differenza, perché sente che solo andando a fondo di quell’altra singolarità potrà andare a fondo della propria. Qui abbiamo invece una singolarità, ma assoluta. Il suo sentirsi non passa dal sentirsi in altro e come altro. Sessuazione senza sensazione, godimento tutto incorporeo, sesso interamente cosmologico e quindi interamente spirituale. Solo schiere di oggetti fanno l’amore con schiere di oggetti. Lontanissimi eppure vicinissimi. La loro lontananza non comporta desiderio. La loro immediata disponibilità non comporta godimento. Eppure non smettono di fare l’amore, l’intero cosmo è fatto di segni che inseguono segni. Nessuno di loro arriva mai a occupare una posizione di privilegio, nessuno di loro diventa la pietra di paragone rispetto a cui disporre gli altri. Nessuno di loro diventa padre anziché figlio, zio anziché cugino, madre anziché nipote. Non ci sono generazioni. C’è solo generazione, c’è solo il generare.

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Mettete insieme questi pezzi staccati, e avrete il mondo nuovo. Dobbiamo meditare quest’assenza di corpo, quest’assenza di sesso, quest’assenza di terra, quest’assenza di storia, perché sono il terreno del contendere contemporaneo. Musk lo indica e forse lo abita e senz’altro lo produce allo stato puro. I fascismi vari lo avvertono subito come minaccia e lo riconoscono lucidamente. Tanto che ne danno un’interpretazione oppositiva, gli replicano punto per punto, avanzano contromisure che fanno sistema. Vogliamo la terra, vogliamo la storia, vogliamo il passato. Vogliamo i padri, vogliamo i sessi e li vogliamo ben chiari. Vogliamo la natura e non la cultura, vogliamo la natura e non l’artificio, non l’impero dei segni. Il greco e non la matematica, il mito e non le equazioni differenziali. Essendo situate sul terreno giusto, quelle contromisure suonano seducenti, parlano alle persone, leniscono sofferenze, promettono vita.

Nessuno al momento sa leggere diversamente quel mondo nuovo. È urgente provarci. Se tutto è segno, non per equivoco ma perché così vogliono le nostre pratiche e le nostre tecnologie, come intercettare il transito dei segni, come infletterlo in altre direzioni, rallentarlo o interromperlo, addensarlo altrove, fargli prendere corpo altrimenti? Se tutto è spazio, superficie senza terra, geografia senza corpo, allora intercettare segni e addensarne il transito attorno a nuovi snodi sarà un modo per tratteggiare corpi nuovi, censirne tragitti diversi, sfalsarne le forme sia rispetto al piano infinito e senza direzione disegnato dal gesto di Musk, sia rispetto al modo fascista di riterritorializzare quella superficie abbagliante su scala eternamente nazionalista, paterna, storica. Se i corpi tendono all’asessuato, all’indesiderante e al non gaudente, come rispondere a questa tendenza muskiana ma già ampiamente prevalente, evitando la seduzione del neutro e mostrando che il neutro è il pullulare di nuovi corpi e forme di piacere?

La lezione più amara è che ogni progetto efficace dovrà consistere in una variazione del gesto di Musk. Il che significa che ogni progetto efficace dovrà intrattenere proprio col fascismo un rapporto in qualche misura mimetico o anamorfico. Dovremo prendere esempio da questi materiali, da queste esperienze, da questi improvvisi acting out, in cui si manifesta ciò a cui è indispensabile imparare ad attingere. Ogni nostro progetto dovrà coabitare col disgusto e con l’ebbrezza che accompagna quanto nasce e non può non nascere che come serissima parodia.

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