Speciale

Carla Subrizi | Gianfranco Baruchello / L'effetto Duchamp

17 Aprile 2017

Elio Grazioli - Quando pensi all’Orinatoio di Duchamp, quali artisti della seconda metà del secolo scorso ti vengono in mente che se ne siano ispirati nei modi più diversi?

Carla Subrizi - Tento di rispondere riferendomi a quattro artisti e a quattro opere che ritengo molto importanti non soltanto perché si riferiscono a Duchamp, sebbene in modi diversi, ma perché ognuna di queste opere ha messo in atto qualcosa di “duchampiano”, estendendo o ribaltando, comunque duchampianamente, senso, significati e possibilità dell’arte stessa. Potrebbero essere citati moltissimi artisti ma scelgo questi quattro perché mi permettono di fare alcune riflessioni. Non amo le tassonomie. L’effetto Duchamp non è mai finito, non soltanto attraverso il ready-made o il ready-made del ready-made ma per una critica a tanti paradigmi e principi, fortemente radicati in una idea di arte direi occidentale, ancorata a nozioni come quelle di autore, celebrità, precursori e invenzione.

Cito quindi alcuni artisti, e soprattutto artiste, non seguendo un ordine cronologico, per sottolineare gli aspetti che ritengo veramente dirompenti nel loro lavoro.

Prima di tutti Sturtevant (1924-2014): questa artista ha letteralmente copiato, a partire dal 1964, il lavoro di altri artisti e tra questi quello di Duchamp: anche la sua Fountain, che Sturtevant ripropone identica all’originale nel 1973. 

 

Sturtevant fountain, 1973.

 

Questa opera pone molte questioni che credo siano fondamentali per rileggere la seconda metà del XX secolo dopo Duchamp. Sturtevant copia, si appropria dell’opera di qualcun altro, non si limita a citare. La sua Fountain è davvero uguale a quella di Duchamp. Cosa ha quindi fatto questa artista? Mi sembra importante che sia stata una donna a farlo. Copia e non fa altro, ma non facendo altro in realtà agisce su quelli che sono i parametri stessi di un’opera d’arte. Estetica, originalità, permanenza nel tempo, invenzione, autorialità: niente di tutto questo. Sturtevant mette in atto proprio il non fare, l’indifferenza della scelta. Riprende con ciò non l’oggetto ma un concetto veramente centrale che Duchamp aveva espresso: la bellezza d’indifferenza. Realizza una replica di una replica o di un originale che non c’è più, quello di Duchamp. Tutti gli “ismi” che Duchamp criticava, l’idea stessa di “creatore che si sente un dio”, sono sospesi da un’opera che ha il suo senso più profondo soltanto nel non essere stata né scelta, né inventata, e che non sarà difesa o spiegata come una forma o un oggetto nuovo, che prima non c’era. Ma un altro aspetto importante sta nel fatto che con l’opera di Sturtevant, l’idea stessa di replica è in crisi, se infatti una replica diventa un originale. È un andare e tornare sul carattere di copia o originalità che mette in dubbio non l’una o l’altra ma tutto il processo di legittimazione, scelta, definizione di un’opera d’arte. 

 

 

Anche Sherrie Levine nel 1991 realizza un orinatoio chiamato After Marcel Duchamp, in bronzo, levigato e lucente da sembrare un Brancusi. Dinanzi a questa altra forma di appropriazione possiamo però fare un’altra osservazione.

Se per Duchamp “inesteticità” e “non-artisticità” si rivelano non soltanto nel voler sfuggire “a qualsiasi categoria o formula”, “all’aspetto convenzionale dell’opera d’arte” e al linguaggio, al quale diceva di non credere perché il linguaggio “crea il pensiero attraverso e dopo le parole”, Levine non rende nuovamente estetico un orinatoio ma lo confonde: tra realtà e finzione sia dell’oggetto che dell’opera d’arte. Con un cambiamento che riguarda l’oggetto stesso, ovvero realizzandolo in bronzo, l’orinatoio non è più il vecchio autentico e reale oggetto di Duchamp preso da una fabbrica di sanitari. Questa volta c’è un oggetto realizzato, non è una copia: è un ricordo, la memoria di qualcosa che c’è stato. Così Levine agisce sull’apparenza, altro concetto chiave di Duchamp: sembra Fountain ma non è quell’oggetto, è un’altra cosa e lo ricorda. 

Una lunga fenomenologia si dispiega, dalle choses di Rainer Maria Rilke o dall’uomo senza qualità di Robert Musil verso questa interrogazione incessante non sull’oggetto ma su chi lo guarda, sullo sguardo stesso, che, pieno di informazioni e cultura, si pone su un qualcosa credendo di afferrare e capire. Levine ribalta questa concezione, mescola i piani e mette in crisi, prima di ogni altro aspetto, lo sguardo e la visione. 

 

Sherrie Levine, After Marcel Duchamp, 1991.

 

Un’altra opera che penso sia molto interessante da ripensare, tentando di seguire un filo come sto facendo per rispondere alla tua domanda, è quella di Alexander Kosolapov dal titolo Russian Revolutionary Porcelain, del 1989-90. L’orinatoio questa volta è tornato al muro, montato a parete, non più rovesciato e reso non funzionale come aveva fatto Duchamp (che tra l’altro così, non più rovesciato, lo dispone nella Boîte-en-valise). Qui si presenta un altro aspetto credo assai significativo dell’arte della seconda metà del XX secolo e, più precisamente, di molte ricerche che proprio a causa di una forte concentrazione della storia sull’asse Europa occidentale-Stati Uniti, era stata meno considerata. Qui l’Orinatoio di Duchamp diviene il pretesto di un gesto politico: reso nuovamente funzionale, seppur a livello simbolico, nell’orinatoio finiscono i segni che caratterizzano l’arte russa, Lenin, l’ideologia e con essi le icone del potere e dei consumismi culturali o del mercato. 

 

 

Alexander Kosolapov, Russian Revolutionary Porcelain, 1989 - 1990.

 

C’è un’ultima opera che vorrei citare e con essa vorrei sottolineare ancora un altro aspetto. Penso alla Tuvaleti o Alla turca di Bruna Esposito, un autentico progetto per un wc pubblico, ecologico e funzionante, progettato per la Biennale di Istanbul del 2003. Le questioni sono completamente rovesciate. Si oltrepassano, in un’altra direzione, la provocazione e il gesto trasgressivo seppur contro i sistemi dell’arte e della storia dell’arte, dell’opera d’arte e dei suoi valori. Ancora una volta è una donna ad aver pensato un ribaltamento non soltanto dell’oggetto (rimetterlo nella giusta posizione a parete come aveva fatto Kosolapov). Duchamp aveva fatto diventare inutilizzabile un oggetto utile, Esposito ha la forza di ripensare all’inizio del XXI secolo, ma già dagli anni Ottanta (i disegni/progetto del 1986-1988 per un gabinetto pubblico), un oggetto utile, seppur ironico e diversamente provocatorio. Nei disegni degli anni Ottanta si trattava di un progetto per un vecchia passione di Bruna Esposito per i bagni pubblici: un Pissoir, ovvero un orinatoio pubblico risalente alla fine dell’Ottocento visto dall’artista a Berlino. Da quel momento l’idea era partita: oltre al fatto che una città si poteva capire non dai grandi magazzini o dai musei ma dai gabinetti pubblici, Esposito ha con questo progetto (trovarsi in un bagno pubblico che fosse concepito come un tempietto a più lati, girevole come un carillon) rovesciato molti paradigmi dell’arte: non l’oggetto che diventa opera entrando nel museo ma un progetto che diventa arte perché trasforma lo spazio pubblico e il suo potenziale utente, non senza ironia e con molte componenti al confine tra poetiche e politiche non soltanto del guardare ma anche del capire e immaginare. 

 

 

Bruna Esposito, Two bio toilets, 1985.

 

E oggi, che senso pensi possa avere ancora Fountain?

 

 

Non un solo senso ma molteplici, infiniti direi. Non si tratta soltanto dell’oggetto in sé (io non ho voluto una immagine di Fountain nel mio libro Introduzione a Duchamp pubblicato da Laterza) ma del fatto che per Duchamp è stato possibile pensare questo gesto. In questa direzione dovrebbero quindi trovarsi coloro che continuano a pensare il possibile: Bruna Esposito potrebbe essere un esempio, tra gli artisti che ho citato. È stato sostenuto che dopo Duchamp tutta l’arte sarebbe stata concettuale, che il ready-made e Fountain rappresentavano la rottura dell’arte del XX secolo. Credo che non abbiamo più bisogno di individuare rotture, padri, precursori e che questo sistema di procedere per identificare fatti o date della storia denoti una metodologia della storia dell’arte da rivedere. Duchamp, con il suo Orinatoio, ha aperto una strada che ha anche in parte spostato accettando di far produrre repliche dei suoi stessi ready-made. Ma nello stesso anno, il 1917, faceva anche molte altre cose: non smetteva di fumare, continuava a giocare a scacchi, conosceva Katherine Dreier con la quale (più tardi, nel 1920) avrebbe fondato una Società anonima, e era quasi in partenza, l’anno dopo, non per New York o Parigi, ma per Buenos Aires.

Gianfranco Baruchello

MD, solitario esploratore mentale del nonsense, ha proposto l'apertura all'impossibile: la cancellazione dei canoni delle arti in nome della assoluta libertà di praticare il non condivisibile.
Fountain appare oggi (ancora oggi) la prima sillaba di un discorso senza leggi e confini che gli artisti cercano di continuare, a rischio, con i propri linguaggi.

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