23 aprile 1924 - 20 settembre 2020 / Mrs Rossana Rossanda

20 Settembre 2020

“Quello almeno era sicuro. Avrei letto e scritto”. Sfoglio freneticamente La ragazza del secolo scorso, appena dopo aver saputo da un trillio di notifiche che "la ragazza" non c’è più; e trovo questa riga, nel 1937 è deciso: “avrei letto e scritto”. Rossana Rossanda ha poi letto e scritto e fatto, per quasi un secolo. Le ragazze e i ragazzi di questo secolo, che vogliano imparare chi è stata Rossana nella storia della cultura e della sinistra italiana, lo troveranno scritto da lei, e da maestra (anche) di scrittura.

[Ancora una frase, dalla prima pagina: “Sono nata negli anni venti a Pola con sconcerto delle anagrafi: nata a Pola (Italia), a Pola (Iugoslavia), a Pola (Croazia)”].

 

E poi lo troveranno scritto da studiosi e studiose di storia, politica, filosofia, comunismo, femminismo, psicoanalisi, giornalismo. E da compagne e compagni di una vita, che hanno camminato con lei nel Novecento: sulle stesse strade, svoltando, lasciandosi, reincontrandosi, aprendo strade nuove. A partire dalla sua amica “meravigliosa”, Luciana Castellina, sulla quale Rossanda ha scritto uno dei suoi articoli più belli e privati degli ultimi tempi. Dunque no, non è in queste poche righe che si troverà la biografia e la memoria che si devono a Rossana Rossanda – ma non mancheranno, in Italia e all’estero, a partire da quella Parigi in cui ha a lungo vissuto e da cui era solo da pochi anni rientrata, in un mirabolante trasloco organizzato dall’amica tanto meravigliosa quanto ostinata. Qui voglio solo offrire due mazzi di fiori. Uno ha a che fare con il giornale e il giornalismo, dunque è parziale: il giornalismo è stato solo una parte della biografia di Rossanda, non la più importante forse nella sua visione. L’altro con le donne, dunque tutt’altro che parziale anzi universale: la ragazza, poi la signora della sinistra eretica italiana. Mrs. Marx, mi verrebbe da dire riformulando il titolo del film su Eleanor Marx in un parallelo azzardato e contingente sul quale poi tornerò. In tutti e due i casi, sono i fiori di una privilegiata: di una che ha avuto la grande fortuna di cominciare a lavorare con Rossanda Rossanda (e con Valentino Parlato e Luigi Pintor), portando a lei il primo pezzo stampato su due fogli sottili e aspettando trepidante e un po’ incosciente critiche e revisioni.

 

La storia è nota: Rossana Rossanda ha fondato "il manifesto" nel 1969, insieme a tutto il piccolo gruppo in dissenso con le scelte del partito comunista italiano sull’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Il giornale non era un giornale come gli altri, ma lo strumento della lotta delle idee. In senso lato, lo sono tutti i giornali – o i media, meglio dire ora. E c’era Pintor che precisava, comunque: “un giornale è un giornale è un giornale”. Ma la forma del giornale, il ritmo strettissimo della quotidianità, a Rossana andava più stretto che a tutti gli altri. C’era da leggere, studiare prima di scrivere. E sapere, avere una interpretazione del mondo, collocare l’ultimo fatto da resocontare dentro il quadro ampio. Tutte cose che, appunto, rendevano la quotidianità troppo stretta per Rossana, che ci richiamava sempre alla cornice e al quadro, prima che al dettaglio – che è poi quello che i giornali vendono. E a complicare le cose c’era il fatto che spesso su cornice e quadro non si era affatto d’accordo, e allora si discuteva tanto, tantissimo (da subito e sempre, anche negli anni Novanta che sono quelli dei quali ho testimonianza diretta). In queste discussioni, Rossanda ascoltava tanto, e ascoltava tutti. Poteva poi essere severa nelle repliche e nelle decisioni – lo era. Ma quella scuola di ascolto reciproco è stata bella e fertile, ed è una delle tecniche che raccomanderei ai posti fisici o virtuali dove si confeziona l’informazione. Dai quali forse mi risponderebbero che quello era un altro mondo, e che – come ho appena scritto – l’intenzione principale era il messaggio politico (o l’ideologia, detto con connotazione negativa), non la Notizia: senonché, non è proprio la perdita di un pur minimo ruolo nell’aiutare a interpretare il mondo, uno dei piccoli problemi del giornalismo oggi? Leggere prima di scrivere, e cercare di comprendere a fondo i fenomeni prima di dare etichette, e conoscere, e ascoltare, possono tutte essere attività un po’ pesanti e scomode per gran parte del giornalismo; ma allo stesso tempo sono quelle che hanno portato Rossanda ad avere delle intuizioni e delle posizioni al momento eretiche – molto, anche rispetto al suo stesso gruppo di già eretici – ma poi rivelatesi giuste, o quantomeno illuminate: come quella sul terrorismo italiano e sull’appartenenza delle Brigate Rosse all’album di famiglia della sinistra. Meno presente sulla routine del giornale, sulle drammatiche o divertenti schermaglie nella decisione del titolo di prima, nel picco dell’adrenalina quotidiana, Rossanda era perciò presente, anche quando non c’era, nelle decisioni: “che dice Rossana?”, era una delle tre domande-tormentone della vita del "manifesto" (ne avevamo una per ogni fondatore).

 

Le donne. Madre fondatrice, Rossanda ha scritto e raccontato di aver scoperto tardi il femminismo – e ne ha ringraziato in molti scritti e interviste i movimenti delle donne. È stata prima comunista che femminista. Proprio in questi giorni nelle sale c’è il bel film di Susanna Nicchiarelli, Miss Marx. Eleanor Marx, figlia di Karl, legge e scrive, traduce Ibsen, e fa discorsi contro la doppia oppressione delle donne, schiave non solo del padrone che le sfrutta ma del padre, del marito. Ma la sua vita privata è segnata dalla sua doppia oppressione, e l’incapacità di ribellarsi a un compagno doppio e malandrino la porta a una fine tragica. Rossana Rossanda è stata una donna libera, nel pubblico e nel privato. Con tutte le scomodità e il dolore che ne possono conseguire: con amori e passioni personali e politiche, ma senza padroni. Mrs Marx, potremmo dire, cambiando quel titolo; oppure no, meglio Mrs Rossanda. La sua libertà è nelle sue origini: “Mamma e papà parlavano di indipendenza, quella del lavoro, del non dover nulla a nessuno; ma a una ragazza viene suggerito il bisogno di essere completata, un codice millenario la agguanta all’uscita dall’infanzia ed è un miracolo che non diventi matta tra letture mendaci, segnali bizzarri, verità reticenti, confidenze delle amiche, sfide dei primi maschi, preoccupazione di saper fare ed essere, goffagini, delusioni, dubbio su di sé. Raramente le fate la proteggono. È stratificata come una pasta sfoglia l’identità femminile”. Della differenza sessuale, del suo corpo parla dalla scoperta alla fine. “I maschi erano impicciati da quel ciondolo tra le gambe e noi belle intere come un ovetto. Non ricordo di aver invidiato la pipì in piedi, e perché poi? (…) Insomma che i sessi fossero due era ovvio come avere due gambe e mancare di coda. Ma essere donna è invece tutto un lavoro, una prescrizione e un dubbio”.

 

Uscendo da uno dei – purtroppo rari – incontri con Rossana, nella sua novella casa di Roma in cui era felice di essere tornata nonostante le buche rendessero ardue le uscite sulla sedia a rotelle, ci dicevamo con un’amica di quanto ci sentissimo ricche, dopo averla visitata. Minutissima, debilitata nel fisico, piena di domande e di ricordi di ieri e di curiosità sull’oggi (ci interrogava, implacabile), ci faceva pensare che forse le fate protettrici esistono.

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