Italia: un’analisi di Tim Parks
In un articolo apparso di recente sul “New Yorker”, Tim Parks, scrittore e giornalista inglese, professore allo IULM di Milano, si sofferma sul disagio che ha accompagnato le celebrazioni dell’anniversario dei centocinquant’anni dell’Unità di Italia, testimoniato dai conflitti intorno alla decisione del governo di dichiarare il 17 Marzo giornata di festa nazionale (peraltro festività senza diritto alla retribuzione). Al di là delle realtà esplicitamente ostili all’unificazione o quantomeno lontane dall’intenzione di celebrare un evento potenzialmente capace di rinfrancare l’orgoglio nazionale, la Lega Nord in testa, lo scrittore inglese registra una generale scarsa propensione ai festeggiamenti, che connette da un lato al difficile momento storico - c’è ben poco da festeggiare! - dall’altro a qualcosa di più profondo, come se il sentimento legato al progetto di unità nazionale fosse compromesso sin da principio.
Nel suo articolo, significativamente intitolato Booted, insieme stivale (e dunque Italia) ma anche, in gergo, calcio nel sedere (inteso come “Datti una mossa!”), Parks cita tre libri che di recente hanno cercato di inquadrare la situazione di stallo cui l’Italia sembra consegnata, lontani dai toni retorici e polemici che caratterizzano gran parte delle analisi della nostra situazione: The Failure of Italian Nationhood di Manlio Graziano, Resisting the tide: Cultures of opposition Under Berlusconi, pubblicato da un gruppo di studenti dell’Università di Birmingham, e Italy Today: The Sick Man of Europe, di Andrea Mammone e Giuseppe Veltri.
Parks condivide l’obiettivo di Manlio Graziano, che nel suo testo percorre gli ultimi centocinquant’anni di storia italiana alla ricerca di modelli di comportamento capaci di fornire una spiegazione delle costanti della “realtà Italia”, dall’ostentazione della ricchezza, o di un successo soltanto apparente, alla corruzione dei comportamenti nella vita quotidiana che Parks stesso, in Italia dal 1981, ha potuto registrare.
Il testo di Graziano intende trovare le profonde radici storiche del problema: nel vuoto di potere seguito al crollo dell’Impero romano, le città-stato che si vennero a formare, nessuna delle quali sufficientemente forte per porsi a capo delle altre, si guardarono bene dal rinunciare ai propri privilegi costruendo un’unità più ampia e facilitarono così la successiva dominazione dei poteri stranieri. Anche il processo di unificazione più che il risultato di un’intenzione “nazionale” e “unitaria” fu il frutto di coincidenze; la mancanza di accordo interno e il fatto che si conservò sopratutto per giochi di potere delle forze straniere spiega, secondo l’autore del libro, perché negli anni successivi le realtà politiche hanno sempre ricercato un temporaneo consenso volto a mantenere il precario equilibrio, più che un solido e unitario interesse nazionale. Le disfunzioni politiche e sociali, cifra della nostra nazione, sarebbero conseguenza di questo, così come l’alternarsi per lungo tempo di due forze, la Democrazia Cristiana da un lato, il Partito Comunista dall’altro, espressione di poteri stranieri e da essi finanziate: la fedeltà della nazione è in vendita al miglior offerente, ed è chiaro come in questa prospettiva il nazionalismo debba essere messo a tacere. In questo quadro le coalizioni interne non sarebbero che il frutto di accordi economici relativi alla spartizione dei capitali stranieri. Si tratta del ben noto trasformismo italiano: tutto può essere patteggiato e comprato, un’abitudine alla corruzione riscontrabile in ogni aspetto della vita sociale. Ma anche il trasformismo si rivela una realtà contingente più che una fede, nelle analisi di Graziano, e il vecchio corrotto sistema politico viene liquidato (Mani Pulite) nel momento in cui appare inadatto a soddisfare, negli anni ’90, le esigenze imposte dal nuovo punto di riferimento, ancora una volta esterno: l’Europa.
Si apre così lo spazio per il nuovo progetto del tycoon Silvio Berlusconi. Gli studi sull’Italia di oggi sembrano confermare le più buie analisi di Graziano, mettendo in luce quella “mancanza di società” che nel 1824 Leopardi aveva ben descritto nel suo Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani. In Italia non vi è spazio per un vero dibattito politico con l’obiettivo di trovare delle risposte o risolvere dei conflitti, si cerca soltanto di mettere di volta in volta a tacere i contrasti, chiamando gli avversari “perdenti” e sostituendo alla critica delle opinioni una pratica di denigrazione degli individui.
Tutto si gioca in quel vincente/perdente che allontana la questione dal piano etico, impedendo quell’indignazione che pretendiamo come diritto ma che abbiamo disimparato a esercitare, invischiati in questa logica del successo e della visibilità ad ogni costo. Berlusconi si presenta come vincente: politicamente, socialmente, economicamente. Anche le sue ostentate conquiste femminili si inscrivono in questa logica, e dovrebbe essere allora chiaro che nessun richiamo al decoro (quanto ci metteremo a capirlo?) potrà scalfire questa immagine. Resisting the Tide mostra come sia futile, anzi controproducente, la resistenza che si ostina a denunciare lo scandalo e l’immoralità del Primo Ministro: lungi dal provocare pubblica riprovazione, rinforza la sua immagine e distoglie lo sguardo dai fatti politici di cui davvero l’opinione pubblica dovrebbe curarsi. Constatare il degrado estetico e morale diffuso dovrebbe aiutarci a comprendere che Berlusconi sarà sconfitto se e quando sarà ritenuto looser, non certo perché giudicato ladro, corruttore, depravato. In Italia, sentenzia Parks, è in atto un vero e proprio costante gioco al massacro: questa determinazione a vincere le battaglie più che a confrontarsi realmente ha un prezzo molto alto per tutte le parti in gioco, e gli ultimi eventi relativi all’intervento in Libia, al federalismo fiscale, o alla poco sentita celebrazione dell’anniversario dell’Unità, non farebbero che mostrare come più che reali e articolate alternative politiche, siano in campo strategie, complessi equilibri, compravendite e accordi temporanei funzionali a garantirsi obiettivi e privilegi.
Anna Stefi
Booted. What really ails Italy?
Anniversaries are uplifting when you have something to celebrate. A couple on the edge of divorce do not rejoice that their wedding anniversary is around the corner. Something of the same uneasiness surrounded the hundred-and-fiftieth anniversary of the Italian state, on March 17th. As late as February, the government couldn’t decide whether the day should be declared a national holiday. The Northern League, a major party in the ruling coalition, complained about the loss of working hours; many of the League’s members have a separatist agenda and want to avoid a surge in national pride. The governor of South Tyrol, a German-speaking province ceded to Italy after the First World War, said that it was unreasonable to expect his people to celebrate their subjugation to an alien culture.
http://www.newyorker.com/arts/critics/atlarge/2011/04/11/110411crat_atlarge_parks?currentPage=all