Gli affetti di Gaetano Salvemini alla prova dei fascismi / Filomena Fantarella, Un figlio per nemico

2 Maggio 2019

Tra le figure del Novecento che sembrano crescere di statura man mano che il “secolo breve” si allontana da noi, spicca quella di Gaetano Salvemini: per il suo pensiero politico, per la sua opera di storico e di meridionalista, per l’intransigenza delle scelte di vita sempre coerenti con un antifascismo senza incrinature. Mancava però finora, nella nutrita bibliografia salveminiana, una riflessione approfondita sul costo emotivo di quell’intransigenza, sul suo contesto psicologico e affettivo: Filomena Fantarella ha colmato la lacuna, fondandosi su importanti fonti documentarie sinora ignorate e reperite negli archivi di Roma, Firenze, Parigi e Cambridge. Alla luce della sua ricerca, si disegna con inedita precisione il profilo della seconda moglie di Salvemini, Fernande Dauriac, intellettuale e femminista dalla forte personalità, e la tragedia che mette in crisi, negli anni Quaranta, il profondo rapporto d’amore su cui si fonda il loro matrimonio. 

Salvemini diceva di aver dovuto ricominciare a vivere tre volte: una prima volta quando, a sedici anni, figlio di contadini, era approdato a Firenze dalla natia Molfetta e aveva dovuto rimediare alle insufficienze di una prima istruzione inadeguata, i cui pilastri erano la Bibbia spiegata da uno zio prete e i romanzi di Jules Verne; la seconda volta dopo il terremoto di Messina del 1908, in cui aveva perso la sorella, la moglie e cinque figli; la terza volta quando aveva dovuto imparare l’inglese a cinquant’anni, per poter continuare la sua attività di docente e studioso fuori dall’Italia fascista. È al momento della sua seconda rinascita che Fernande Dauriac entra nella sua vita, amica discreta e paziente destinata a trasformarsi in una compagna insostituibile. Fernande è all’epoca la moglie dell’italianista Julien Luchaire, anche lui amico di Salvemini, ma il suo matrimonio è già in crisi; Julien ha una relazione con una giovane allieva (che diventerà la sua seconda moglie), Fernande è molto presa dalla cura dei loro due figli, Jean, nato nel 1901, e Margherita detta Ghita, nata nel 1903. L’amicizia tra Salvemini e i Luchaire è innanzitutto un sodalizio intellettuale, basato su forti interessi comuni: Julien è uno storico della civiltà italiana, Fernande, figlia di un filosofo e musicologo, ha studiato le lingue moderne, le scienze sociali e l’economia. Proprio nel 1908, l’anno terribile del terremoto che cancella la prima famiglia di Gaetano Salvemini, i Luchaire si installano a Firenze, la città dove Julien sta fondando un Istituto Italo-francese, il Grenoble, che diventerà il modello di analoghe istituzioni in tutto il mondo. Al Grenoble soggiornano di lì a poco figure di primo piano della cultura francese, da Romain Rolland a André Gide; in un clima di straordinaria effervescenza culturale, Fernande collabora alla “Voce” di Prezzolini, nata da poco. Ed è a Firenze, dove ha ancora diverse amicizie del periodo degli studi universitari, che Salvemini cerca di riprendere a vivere, di superare in qualche modo lo strazio indicibile delle giornate passate a frugare tra le macerie per disseppellire i corpi dei famigliari, in una ricerca che rivivrà in sogno fino alla fine della sua esistenza. Con discrezione e delicatezza, i Luchaire lo accolgono nella loro cerchia più intima. Nel 1909-10 Fernande, divenuta molto amica di Sibilla Aleramo, condivide la battaglia politica di Salvemini per un vero suffragio universale, esteso anche alle donne; la sua sintonia profonda con Gaetano si fa sempre più evidente e sfocia, dopo un divorzio consensuale da Luchaire, in un matrimonio d’amore celebrato nel luglio del 1916. 

 

Filomena Fantarella lo mette molto bene in luce: c’è in Salvemini una forte vocazione pedagogica. È come se la sua paternità biologica, cancellata dal terremoto, rinascesse in forma di paternità spirituale: a lui guarderanno, proprio come a un padre adottivo, giovani amici come i fratelli Rosselli e Ernesto Rossi. A maggior ragione trovano in lui una figura paterna i due figli di Fernande. Più ancora di Ghita, che è la preferita di Julien, è Jean a trovare nel patrigno l’interlocutore ideale con cui dibattere delle questioni d’attualità che lo appassionano. La Firenze intellettuale di quegli anni è un ambiente straordinariamente stimolante. Jean si lega d’amicizia con Leo Ferrero, di due anni più giovane di lui, figlio dello storico Guglielmo e di Gina Lombroso. Nel luminoso salotto-biblioteca dei Ferrero, in viale Machiavelli, intorno a un samovar di rame lucido che Cesare Lombroso, il padre di Gina, ha portato da Mosca, si discorre ogni domenica di letteratura, arte e filosofia; in casa Salvemini, invece, sono all’ordine del giorno gli argomenti politici e sociali. La vocazione di Leo lo indirizza alla storia dell’arte, alla poesia e al teatro; Jean invece, prestissimo, sogna un avvenire di grande giornalista, coltivando ideali pacifisti e il sogno di un’Europa unita. Le loro iniziative culturali si moltiplicano: un debating club, I giovani oratori, poi una rivista bilingue, Les jeunes auteurs. Impossibile oggi per noi guardare senza melanconia allo scintillio di quella commovente precocità: Leo Ferrero, dopo aver vissuto nella Parigi dei fuorusciti antifascisti, perderà la vita a trent’anni in un incidente, su un’autostrada del New Mexico; Jean si lancerà nel giornalismo parigino perseguendo il successo e il potere con ogni mezzo, sino a diventare il “Führer della stampa francese” al servizio della Germania nazista. 

 

Per comprendere quanto atroce sarà per Salvemini la delusione che gli infliggerà il suo Giovannino, bisogna avere ben chiara la loro iniziale vicinanza. Jean condivide gli ideali socialisti del patrigno e quelli umanitari di Fernande, anche se il suo obiettivo principale è il pacifismo; obiettivo ben comprensibile per chi rappresenta una generazione cresciuta con il trauma del primo conflitto mondiale. Nei confronti del pacifismo integrale del figliastro, Salvemini ha da sempre qualche riserva; non può però immaginare, a questa altezza cronologica, che quel pacifismo, insieme all’ammirazione per la grande tradizione culturale tedesca, in Jean si pervertirà dapprima in acquiescenza nei confronti del nazismo in ascesa, poi in totale asservimento alla Germania hitleriana. Quando nel 1920 Jean si trasferisce a Parigi, cominciando la carriera giornalistica sulle colonne del Matin, grazie a una raccomandazione della scrittrice Colette, amica di famiglia, i rapporti con Salvemini non potrebbero essere più affettuosi. In quel giovane pieno di interessi e di entusiasmo, scrive Filomena Fantarella, “Salvemini rivede se stesso”. Jean sembra ripercorrere le orme del patrigno anche nella vita famigliare: si sposa come lui giovanissimo, con la figlia del pittore Besnard, e nel febbraio del 1921 è già padre di una bambina, Corinne. Nell’agosto del 1921, scrivendo a un’amica, Salvemini descrive commosso la vita di quella piccola famiglia che gli ricorda i suoi difficili esordi:

 

 

Jean ha tappezzato tutta la casetta con le sue mani, ed ha messo su un gioiellino assai grazioso; fascia la piccolina e conduce la carrozzina per le strade. E si occupa anche di politica, naturalmente di sinistra, partecipa a riunioni, fa anche delle conferenze! La piccola moglie lo guarda con gli occhi spalancati; ma ho qualche sospetto che non sia senza preoccupazione per questa, del resto molto calma e punto esaltata, azione politica. Ho detto che mi fanno malinconia. Alla loro età feci anche io altrettanto: presi moglie con venticinque lire in tasca, e fui felice, pur dovendo vivere con 150 lire al mese. Ma tant’è: mi metto nei loro panni con la stanchezza dei miei prossimi cinquant’anni, e mi vien quasi voglia di piangere.

 

La nascita di Corinne è seguita da quella di altri tre figli. Con la fondazione della rivista culturale e d’attualità radical-socialista Notre Temps, nel 1927, Jean pare ancora condividere i punti di riferimento del mondo intellettuale nel quale è cresciuto; tuttavia il bisogno di denaro e l’ambizione lo spingono a muoversi nei retroscena della politica e del giornalismo con crescente spregiudicatezza, coltivando amicizie pericolose, come quella con il giornalista-faccendiere Albert Dubarry dell’entourage del truffatore Stavisky. Mentre Salvemini, dopo l’esperienza del giornale clandestino “Non mollare”, la breve carcerazione del 1925 e il contributo all’organizzazione della fuga da Lipari di Carlo Rosselli nel 1929, si afferma come uno dei leader dell’antifascismo italiano e si prepara all’esilio, Jean segue una china opposta: deluso dalla sinistra radicaleggiante che non ha appoggiato le sue aspirazioni politiche, si sposta sempre più a destra e nel 1930 stringe un sodalizio decisivo con il tedesco Otto Abetz, che ha come lui un passato socialista ed europeista, ma si è ormai avvicinato al partito nazista. Abetz, personaggio in rapida ascesa, futuro ambasciatore del Reich nella Francia occupata, salva dal fallimento la rivista di Jean che dal 1934 può contare su cospicui finanziamenti dell’ambasciata tedesca; il cambiamento di rotta di Notre temps, ormai infeudata alla politica hitleriana dietro un pacifismo di facciata, non sfugge ai fuorusciti italiani di Parigi, né a Salvemini, e separa per sempre Jean dal mondo degli antifascisti che guarderà con orrore alla sua sempre più stretta e irreversibile complicità con il nemico. 

Dal 1934 Salvemini insegna ad Harvard; Fernande non lo segue, resta a Parigi. Costretta a una vita quasi da invalida dalla tisi, teme di essergli di peso in America; la loro unione però, spiega Fantarella, è ancora salda nonostante la distanza e la brevità degli incontri estivi parigini che Salvemini riesce a organizzare. Probabilmente, però, già la parabola politica ed esistenziale di “Giovannino” comincia a gettare un’ombra sulla loro intesa; Salvemini lo giudica con estrema severità e rompe i ponti con lui, Fernande sceglie una vita appartata e silenziosa, si tiene a distanza, ma non riuscirà mai a staccarsi del tutto da quel figlio seducente e talentuoso, che le appare traviato dalle cattive amicizie e trascinato alla rovina dalle forze incontrollabili della Storia. Al centro di Un figlio per nemico c’è proprio l’ombra che il destino di Jean getta sull’amore tra Gaetano e Fernande; una segreta tragedia degli affetti, documentata dalla corrispondenza inedita dei due sposi lontani e ricostruita da Filomena Fantarella con delicatezza ed empatia. 

 

Con il regime di Vichy, nessun velo di ambiguità copre più la deriva filonazista di Jean: dal 1940 dirige una nuova rivista, “Les Nouveaux Temps”, autentico organo del collaborazionismo; dal 1941 è a capo della potentissima “Corporation nationale de la presse française”. Mentre sua figlia Corinne si afferma come attrice di teatro e di cinema, quello che ormai viene definito “il Führer della stampa francese” è tra i protagonisti della vita mondana sotto l’Occupazione. Alterna i soggiorni a Barbizon o a Fontainebleau con le serate nell’equivoca sede della “banda della rue Lauriston”, che organizza serate a base di jazz e champagne mentre nelle cantine vengono torturati i resistenti prigionieri. Non c’è traccia in lui di fanatismo, né ha mai dato prova di un antisemitismo delirante come quello di Céline: trascinato dal bisogno di potere e di denaro, è finito in un ingranaggio che lo ha distrutto moralmente. L’ultima tappa, quella che, quando verrà processato, dopo la Liberazione, i suoi giudici giudicheranno imperdonabile, è a Sigmaringen, dove con la famiglia segue il governo di Pétain in esilio; dai microfoni della radio esorta allora allo sterminio dei resistenti. Sosterrà di esservi stato costretto e di aver fatto, in realtà, il doppio gioco; ma nessuno gli crederà. Al momento del suo arresto, nel luglio del 1945, Ghita sollecita un intervento a suo favore di Salvemini presso le autorità americane. Salvemini rifiuta il suo aiuto alla figliastra in una lettera sconvolgente, inedita, riprodotta da Fantarella:

 

Tu sai l’affetto che io ho avuto per Jean. Puoi ben comprendere perciò quanto mi abbia afflitto la sua azione politica dal 1940 in poi. Se auguravo la disfatta di Hitler, e l’auguravo di tutto cuore, speravo la condanna a morte di Jean e la morte per disperazione di tua madre. Se dovevo pensare a loro, dovevo pensare ad una vittoria di Hitler che sarebbe stata per me il massimo dei disastri.

 

 Al processo, nel gennaio del 1946, il pubblico ministero Raymond Lindon (padre di Jerôme, il fondatore delle Éditions de Minuit) inchioda Jean alle sue colpe con parole di fuoco:

 

A coloro che han tradito mediante la penna, il tradimento è stato spesso ispirato dal fascismo; a Luchaire è stato ispirato dalla venalità e dalla corruzione (…) Per quattro anni ha tradito con la penna, la parola e l’azione. Se consultate il suo giornale, vi troverete i soliti temi della propaganda tedesca. Se la forma è perfetta, se la frase è avvolgente e serpentina, la conclusione è sempre categorica e così netta, nella sua espressione, da rappresentare in qualche modo l’esatto contrario del pensiero che il patriottismo più naturale avrebbe ispirato, nello stesso periodo, a ciascuno di noi.

 

Jean viene condannato a morte e i suoi familiari non otterranno per lui la grazia. Muore coraggiosamente, dopo essersi convertito al cattolicesimo. La bella e fragile Corinne, la sua figlia prediletta, condannata a dieci anni di carcere, morirà di tisi nel 1950; Patrick Modiano, che si definirà nato da quello stesso “letame dell’Occupazione” in cui la vita di lei è sprofondata, la evocherà in Livret de famille (1977) definendola “ma sœur Corinne”. 

Nel contesto di questa tragedia, ben ricostruita anche da Cédric Meletta nel suo Jean Luchaire. L’enfant perdu des années sombres (Perrin, 2013), Filomena Fantarella ha chiarito, con grande sensibilità, le rispettive, inconciliabili posizioni di Salvemini e di sua moglie. Nessuna disumana durezza, da parte di Salvemini; piuttosto uno strazio che rinnovava il lutto mai dimenticato del 1908. Nessun disamore nei confronti del marito da parte di Fernande: “Gaetano ha sofferto, ma non ha capito”, confiderà a un’amica, e mai si riterrà, nel profondo del cuore, separata da quel compagno a cui non si ricongiungerà più su questa terra. 

Molti sono i motivi d’interesse che offre Un figlio per nemico: gli scorci inediti sulla vita familiare di Salvemini, le lettere ritrovate, la ricostruzione attenta del percorso culturale e politico di Jean Luchaire. Su tutti prevale però, a mio parere, il giusto spazio finalmente accordato alla figura di Fernande Dauriac. Non è soltanto come moglie di Salvemini o come sventurata e coraggiosa madre di Jean che questa donna colta, operosa, generosissima merita di essere ricordata. Fantarella evoca la sua amicizia con Sibilla Aleramo, di cui Fernande aveva recensito Una donna su una rivista francese nel 1908, la sua collaborazione alla “Voce”, il suo impegno a favore delle Biblioteche rurali, create da Paola Carrara Lombroso per promuovere l’educazione femminile nelle campagne. Dalla giovinezza militante alla morte nella Parigi del 1954, dopo anni di tragica solitudine, la vita di Fernande lascia un segno nella storia del Novecento e ritrovarne la traccia ci aiuta a meglio comprendere le luci e le ombre di un momento della storia europea.

 

Filomena Fantarella, Un figlio per nemico. Gli affetti di Gaetano Salvemini alla prova dei fascismi, Prefazione di Massimo L. Salvadori, Roma, Donzelli, 2018.

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