Frankenstorm: l'uragano Sandy e le sue foto fasulle

2 Novembre 2012

Il rapporto tra giornalismo e social network non è sempre stato dei migliori. Se da una parte il primo non sempre capisce ed è capace di integrare la cultura digitale nelle sue pratiche (è di questi giorni l'errore clamoroso di Rosanna Santonocito ai comandi dell'account @24job su twitter), dall'altra parte i secondi sono stati spesso veicoli virali di notizie fasulle e bufale di vario genere, dalle mille e più morti di Fidel Castro ai tagli di Hollande.

 

Ultima in ordine di tempo a inserirsi all'interno di questo dibattito è la proliferazione di foto fasulle dell'uragano Sandy, di cui si sono occupati molti giornali americani negli ultimi giorni. Su "The Atlantic", Alexis Madrigal si è dedicato a verificare quali, tra le fotografie più virali dell'uragano postate sui social network, fossero reali, quali fasulle e su quali permanessero dei dubbi dovuti all'impossibilità di controllare le fonti.

 

Sul blog di "Storyful", invece, Fiona McCann suggerisce tre semplici mosse per procedere in proprio al riconoscimento di fotografie reali o fasulle. In questa linea di ragionamento si inserisce l'intervento di Jeff Sonderman su "Poynter", in cui il giornalista analizza come questo caso abbia messo alla prova il sistema immunitario di Twitter (e dei social network in generale) e suggerisce, citando l'opinione di John Herrman, che il social network debba essere considerato più come uno strumento per l'operazione di fact processing che come un accurato network di informazione.

 

Andando oltre a questo dibattito, che dimostra come il ruolo dei social network all'interno dell'infosfera contemporanea si stia definendo con sempre maggiore chiarezza e precisione, credo sia utile chiedersi come mai immagini fasulle o ricontestualizzate incontrino in maniera così profonda il bisogno del pubblico da diventare fenomeni virali.

 

Possiamo cominciare dicendo che l'idea che la fotografia esprima un contatto diretto e immediato con la porzione di mondo che viene raffigurata è ancora molto forte e diffusa, a dispetto dello statuto sempre incerto tra realtà e manipolazione della realtà che appartiene all'immagine fotografica. Il discorso dei social network non fa che rafforzare questa idea di un contatto diretto: le marche temporali (data e ora) e spaziali (geolocalizzazione) che accompagnano la produzione discorsiva sui social inducono a pensare che questa si svolga in un hic et nunc ben preciso.

 

All'interno di questi ambienti, l'idea che la fotografia si determini all'incrocio tra l'istanza riproduttiva e la realtà - e che questa venga riportata senza mediazioni - viene rafforzata e nutre i processi cognitivi con cui elaboriamo le informazioni in entrata.

 

Questa considerazione spiega come mai il pubblico, di fronte a eventi dall'ampia magnitudo, veda proprio nel confronto con le immagini un fattore decisivo per certificare la realtà dell'evento, perché si suppone che questa vi si dia in maniera non mediata e autentica. Tuttavia questo fatto non basta a spiegare come e perché queste immagini sono diventate virali e si sono diffuse in rete con grande velocità.

 

Per diventare virale un contenuto deve innanzitutto incontrare un bisogno o un'aspettativa latente nel corpo sociale a cui fornisce una risposta.

 

Proverò a mostrare con due esempi questa dinamica. Il primo è l'immagine dei tre soldati della Old Guard che montano la guardia presso il sacrario del Milite Ignoto. Si tratta di una fotografia molto bella, scattata in settembre, come precisa su Twitter la stessa Old Guard, e che pertanto non è un falso ma una semplice ricontestualizzazione.

 

Nella fotografia sono ritratti tre soldati (due di spalle e uno di fronte) che, senza sembrare minimamente infastiditi dal violento acquazzone in corso, prestano il servizio di guardia presso il sacrario. L'immagine è costruita sull'effetto simmetrico generato dai tre soldati: quello al centro, rivolto verso lo spettatore, divide lo spazio in due porzioni. Questa disposizione spaziale si ripete per tutta l'immagine (nella ringhiera in primo piano, nel pavimento di marmo coi tre rettangoli bianchi, nella fuga dei due vialetti separati dalla candida mole dei cippo marmoreo) conferendo alla composizione grande equilibrio e comunicando una sensazione di stabilità.

 

Ecco che incontriamo qui una prima risposta alle domande del corpo sociale: in un momento in cui le certezze sembrano venire letteralmente spazzate via dalla forza dell'uragano, i valori incarnati nella fotografia (senso del dovere, amore di patria) restano saldi e si propongono come un argine a quanto sta succedendo.

 

È pertanto nella dimensione simbolica che avviene la saldatura tra la fotografia e il bisogno di rassicurazione espresso dal corpo sociale di fronte all'evento catastrofico ed è proprio grazie a questa saldatura che l'immagine riesce a diventare virale a dispetto della sua veridicità.

 

Il secondo esempio su cui vorrei soffermarmi è l'immagine, questa volta del tutto contraffatta, dello squalo che nuota nei pressi di una villetta nella città di Brigantine (New Jersey). La fotografia è stata modificata con un software di fotoritocco grazie a cui è stato possibile aggiungere la pinna dorsale di uno squalo.

 

A guardarla con attenzione, seppure il ritocco sia ben realizzato, è possibile accorgersi che si tratta di un'immagine modificata, eppure questo dettaglio è passato per lo più inavvertito. Anche in questo caso dobbiamo chiederci perché questa immagine abbia attivato i meccanismi della comunicazione virale e perciò a quali domande o aspettative abbia risposto.

 

Cominciamo col dire che si tratta di un'immagine tutto sommato verosimile: nulla ci vieta di pensare (se non una conoscenza approfondita della biologia e dell'etologia) che una scena del genere è del tutto plausibile in quel contesto, in quanto gli elementi rappresentati sono coerenti rispetto alle premesse. La violenza dell'uragano è stata tale da sovvertire i confini tra il naturale e l'artificiale, permettendo a quest'ultimo di insinuarsi nel primo; inoltre, come ogni evento catastrofico, anche Sandy ha imposto una rottura alla temporalità che si è abituati ad esperire.

 

Si è così aperta una zona di eccezione dove il tempo è uscito dai suoi cardini e in cui eventi bizzarri e inaspettati possono verificarsi. Un classico della cultura popolare americana, Il mago di Oz, racconta proprio di un evento catastrofico (un tornado) che apre una zona di eccezione in cui tutto può accadere. L'immagine dunque si inserisce all'interno dell'immaginario dello spettatore confermando questa configurazione culturale: l'evento catastrofico come evento che apre all'eccezionalità. Rispondendo a questa aspettativa l'immagine acquisisce potenza e diventa virale.

 

Concludendo, le foto fasulle dell'uragano Sandy mostrano come i meccanismi della viralità riposino su bisogni e aspettative latenti all'interno del corpo sociale, sulle quali fanno presa e leva per potersi dispiegare, avvalendosi delle caratteristiche proprie della produzione discorsiva dei social network e di consolidati schemi cognitivi. C'è ancora un forte bisogno di intelligenza critica per poter decifrare la realtà senza cadere nei tranelli della sua rappresentazione.

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