Verso una rete etologica Google AuthorRank

30 Gennaio 2013

Nella Retorica il filosofo greco Aristotele descrive i tre elementi che determinano l’efficacia di un messaggio nell’atto della comunicazione e della presa di parola da parte del retore. Si tratta del logos, del pathos e dell’ethos: detti anche “modi di persuasione”.
 

●      Logos: la parola logos significa discorso. Con questo termine si indicano i contenuti che costituiscono il cuore del messaggio che si intende comunicare. I fatti, i dati e le argomentazioni.

 

●      Pathos: la parola pathos significa emozione. Con questo termine si indicano le strategie con cui l’emittente cerca di sincronizzare e indirizzare la disposizione d'animo del proprio destinatario.

 

●      Ethos: la parola ethos significa  temperamento. Con questo termine si indica, nel contesto dell’opera aristotelica, la capacità morale, la competenza e la conoscenza possedute da chi pronuncia il discorso.
 

La comunicazione contemporanea, e quella digitale in particolare, fa largo uso dei tre “modi di persuasione” aristotelici.

L’importanza che gli algoritmi di ricerca hanno accordato al contenuto - in termini di keyword density e indicizzazione - è ormai evidente a chiunque si occupi di SEO (il cui obiettivo è posizionare un sito sui motori di ricerca in modo che risponda alle giuste ricerche) e a chiunque si occupi di marketing (la possibilità di creare “storie” intorno a un brand grazie a sistemi di pubblicazione a basso costo è centrale nella comunicazione digitale).

 

Del ruolo dell’emozione nella comunicazione contemporanea credo sia superfluo parlare. Tutti noi siamo circondati da esempi chiari e vividi di come, nel bene o nel male, i professionisti della comunicazione lavorino sui registri emozionali quando devono progettare un determinato messaggio.

Se nell’ecosistema della comunicazione digitale logos e pathos sono ben rappresentati non è invece altrettanto semplice indicare cosa potrebbe costituire l’ethos o quanto meno una dimensione etologica del web.

 

Una risposta a questa lacuna l’ha elaborata Google a partire dal lancio della sua piattaforma social: il tanto vituperato Google Plus.

Si tratta dell’AuthorRank, ovvero di una piccola stringa di codice che a certe condizioni consente di legare il proprio profilo Google Plus ai contenuti prodotti e pubblicati in rete. Quest’accorgimento determina l’apparizione dell’avatar dell’autore nelle SERP, unito a un link al suo profilo di Google Plus. Incrociando l’attività sociale dell'utente alle query di ricerca Google cerca di individuare quali sono i contenuti migliori per ogni argomento a partire dall’influenza che l’autore esercita all’interno della community di riferimento.

Come accade per altri indicatori di influenza (Klout, PeerIndex e altri) questa viene misurata a partire dall’efficacia delle azioni sociali che sono rese possibili dall’architettura informatica di un servizio o dagli utilizzi che di questo vengono fatti dagli utenti.

 

La domanda che ci si deve porre è la seguente: in che modo questo scenario potrà cambiare il web così come lo conosciamo oggi?

Da una parte sembra chiaro come la richiesta di contenuto di alta qualità e di ottime capacità di costruzione di un’identità di rete sarà sempre maggiore da parte di aziende che somiglieranno sempre di più a player nel mercato dei media. Copywriter, pubblicisti e giornalisti potrebbero diventare figure professionali sempre più centrali all’interno dell’ecosistema digitale.

Di contro si profila uno scenario in cui la concezione dell’identità di rete risulterebbe fortemente modificato. L’utilizzo dell’AuthorRank è infatti contestuale alla tensione verso più stringenti real name policy (ovvero quelle norme e regole che spingono gli utenti a utilizzare il loro nome reale al momento della registrazione su un servizio), che alcuni grandi soggetti dell’IT (Google e Facebook su tutti) stanno esercitando negli ultimi anni.

 

Il concetto di real name policy è rivoluzionario, come spiega Alexis Madrigal in un post su The Atlantic, in quanto il data mining, la profilazione e l’archiviazione dei suddetti dati resa possibile dai vari servizi web crea un legame indissolubile tra questi e la nostra reale identità. Cosa che nel web degli pseudonimi non accadeva, in quanto l’identità di rete era legata a una dimensione poietica che prescindeva dalla nostra identità reale.

In questi cambiamenti si intrecciano molti dei dibattiti che hanno animato e animano il panorama del web che viviamo tutti i giorni. Prendere coscienza di questi cambiamenti deve e può aiutarci a capire in che modo agire per plasmare il web che abiteremo domani.

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