Liveblogging e mobilejournalism

29 Ottobre 2013

Liveblogging cos’è e come funziona?

 

Oggi che viviamo in una cultura digitale il tempo che separa un fatto dalla sua trasformazione in notizia si è notevolmente ridotto. Allo stesso tempo la connettività è sempre più diffusa, al punto da diventare un attributo degli oggetti di uso quotidiano (telefoni cellulari, occhiali, orologi). Perciò la capacità di trasmettere informazione in tempo reale è diventata fondamentale per tutte le testate.

 

L’argomento è trattato nell’ebook Real-Time Journalism. Il futuro della notizia tra Liveblog e coinvolgimento, pubblicato per Informant. L’autore del libro, Lillo Montalto Monella, è un giornalista che dal 2012 lavora per ScribbleLive, start up canadese che si occupa di piattaforme per lo storytelling in tempo reale.

 

Dunque che cos’è il Liveblogging? Sul piano giornalistico il Liveblogging è la capacità di riportare fatti ed eventi in tempo reale coordinando il lavoro di raccolta delle informazioni sul campo con quello della loro contestualizzazione che avviene in redazione:

 

Se il liveblogger descritto da Thurman e Walters era per lo più animale da ufficio, il presente e il futuro potrebbero vedere una produzione sempre maggiore proveniente dall'esterno delle redazioni: il ritorno alla strada e alle suole consumate.

 

Sul piano tecnologico il Liveblogging permette di canalizzare i lettori sui siti delle singole testate piuttosto che redirigere il traffico su servizi esterni, così da poter aumentare il valore della testata. L’obiettivo si raggiunge attraverso lo sviluppo di piattaforme e soluzioni informatiche.

 

Inoltre il Liveblogging ha la capacità di aumentare il coinvolgimento dei lettori e in particolare il tempo trascorso su una singola pagina, che in un modello economico basato sulla pubblicità è una metrica essenziale nella percezione del valore prodotto da una testata da parte dei suoi inserzionisti.

 

Contemporaneamente il Liveblogging si presta molto bene a produrre utili attraverso la syndication, ovvero attraverso la distribuzione a pagamento del contenuto prodotto da un brand su piattaforme interessate a coprire un determinato evento ma prive della possibilità di farlo correttamente.

 

Infine il Liveblogging possiede la capacità di stimolare il coinvolgimento attivo degli utenti: infatti sono molti i materiali con cui è possibile coprire un evento in tempo reale (che si tratti di un evento imprevisto o di un evento programmato non fa differenza). Tweet, fotografie, video, registrazioni audio, infografiche sono solo alcuni degli elementi che possono essere coordinati in un Liveblog a seconda dei casi e delle esigenze.

 

Molti di questi contenuti possono essere prodotti dagli utenti (UGC) e integrati nella copertura dell’evento previa la doverosa verifica dell’attendibilità della fonte e della veridicità del contributo (operazione irrinunciabile per chi si occupa di coprire in tempo reale un evento e che fa delle coordinazione tra desk e reporter il fulcro dell’attività di Liveblogging). Infine, come dice l’autore:

 

in generale i contributi esterni pubblicati in tempo reale hanno due effetti: danno valore aggiunto alla diretta e forniscono materiale originale ed esclusivo a storie troppo spesso omologate.

 

Alla descrizione del Liveblogging, delle sue problematiche e delle sue opportunità l’autore affianca un numero consistente di case studies raccolti grazie alla sua attività con ScribbleLive. Sono così documentate tendenze, tecniche ed esempi di come redazioni in ogni parte del mondo stiano sperimentando strumenti per lo storytelling in tempo reale e come questo stia diventando un elemento essenziale dell’attività giornalistica.

 

 

Liveblogging mobile: Tim Pool a Istanbul

 

Come abbiamo visto parlando a proposito di Real-Time Journalism il Liveblogging è un’attività legata a doppio filo con le tecnologie che la rendono possibile. Oggi che la connettività mobile è attributo di un numero sempre maggiore di oggetti d’uso quotidiano, possiamo ipotizzare in che modo il giornalismo in tempo reale potrà evolversi?

 

Una sperimentazione in questo senso viene portata avanti da Tim Pool, producer per Vice Magazine. Negli ultimi mesi, Pool, conosciuto per i suoi lavori di videogiornalismo in tempo reale durante la stagione di Occupy Wall Street, ha coperto per Vice i riot scoppiati in Turchia e in Brasile utilizzando nella sua attrezzatura anche i Google Glass.

 

I Google Glass sono un visore head-up connesso a internet in grado di presentare informazioni a chi lo indossa senza compromettere la visione dell’ambiente circostante, controllabile tramite comandi vocali.

 

I Google Glass permettono di incorporare uno strumento di registrazione audiovisiva direttamente sul corpo del giornalista, dando vita a quello che Pool definisce “mobile first person journalism”.
Si ottengono così un effetto immersivo e immagini estremamente spettacolari (seppure ancora di scarsa qualità).

 

L’impressione è quella di trovarsi nel cuore degli eventi privi di qualsiasi filtro tra la propria posizione e i fatti che scorrono davanti ai nostri occhi

 

 

È proprio in questa potenzialità che risiede il problema più grande di questa tecnica di giornalismo. Come fa notare Montalto Monella, in assenza di qualsiasi genere di contestualizzazione il reporting in tempo reale tramite strumenti digitali rischia di diventare soltanto una collezione di materiali balbettanti o, peggio, di dare vita a una spettacolarizzare degli eventi fine a se stessa.

 

Stretta tra l’eccessivo incorporamento delle immagini in prima persona e la costante astrazione dovuta alla distanza dalla “scena del crimine” che le tecnologie digitali hanno favorito, l’informazione si trova oggi nella condizione di doversi dotare di strumenti nuovi con cui mediare tra queste due istanze del racconto per rinnovare e riaffermare il proprio ruolo di testimone attendibile della realtà.

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