Frost Nixon, uno spettacolo sul potere
Hanno firmato assieme la regia e sul palco si sono fronteggiati da veri antagonisti. Ferdinando Bruno ed Elio De Capitani portano in scena la vicenda (vera) di David Frost e Richard Nixon, due personaggi agli antipodi che la Storia ha fatto inaspettatamente incontrare.
Nixon a Roma
Il loro braccio di ferro televisivo, “primo caso storico di giornalismo-spettacolo”, ha portato l’ex presidente Usa ad ammettere le proprie colpe sullo scandalo Watergate e a chiedere scusa al popolo americano, dando prova inoltre di una malsana concezione ipertrofica del potere. Tratto dalla commedia di Peter Morgan, Frost Nixon ha la volontà e il pregio di portare sotto i riflettori questioni come la potenza dei mezzi di comunicazione, in particolare quella del grande schermo, e l’onestà dei poteri al comando: temi molto attuali che attraversano le democrazie del nostro tempo. Lo spettacolo è stato coprodotto dal Teatro dell’Elfo di Milano e dal Teatro Stabile dell’Umbria, ed è in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 30 maggio.
Su un iniziale controluce si staglia la sagoma di un uomo dietro la scrivania: è De Capitani nei panni di Richard Nixon. Le spalle larghe e la figura massiccia definiscono una persona forte la cui autorità sembra passare prepotentemente anche dal corpo. I vestiti elegantissimi e rigorosi contribuiscono a dare la misura di un uomo che ha toccato il gradino più alto del potere (ed è inevitabile non ricordarsi di quella interpretazione ne Il caimano di Nanni Moretti). Dall’altra parte troviamo invece un personaggio più leggero, quello di Bruni/David Frost, vestito all’ultima moda con giacche un poco eccentriche: un giornalista/presentatore, vivace anchorman inglese dalla carriera altalenante che si è trovato a capo di una impresa inimmaginabile nella quale ha deciso di buttarsi a capofitto (con tutti i rischi del caso, dalla credibilità personale all’aspetto finanziario). Sarà lui, alla fine di ore e ore di interviste, a scavare una buco in quel granito di certezze che era la linea difensiva del presidente nei confronti del Watergate, il caso che lo costrinse a dimissioni anticipate, nel 1974, a distanza di circa due anni dai fatti di cui era accusato.
Sul palco la scenografia disegna uno studio televisivo, un ambiente asciutto e con pochi oggetti: qualche sedia da ufficio, una serie di monitor che ripetono il countdown che precede le registrazioni televisive e due immancabili telefoni. Gli attori, complessivamente otto in scena, si muovono fluidamente al ritmo del racconto di Jim Reston, giovane e intransigente collaboratore di Frost che sospende e riavvia, con i suoi intermezzi, il corso della narrazione teatrale. Accanto ai protagonisti troviamo schierate anche le rispettive squadre: i collaboratori del giornalista che hanno con sacrificio lavorato alla preparazione del ciclo di interviste e i fedelissimi del presidente, ancora a lui vicini nonostante il rapido declino politico.
Il paragone con la boxe calza a pennello per descrivere la strategia che vede contrapporsi i nostri italici Frost e Nixon, lo studio delle rispettive psicologie e le tecniche per assestare colpi all’avversario. Il testo di Morgan ripercorre fedelmente la cronaca di questo scontro e la messa in scena di Bruni e De Capitani tiene incollati alle poltrone gli spettatori. È difficile annoiarsi perché ci si sente da subito coinvolti dalla storia, anche se ne conosciamo già il finale, ma è davvero interessante lasciarsi trasportare da questo confronto serrato. E vedere arrivare il momento dell’ultimo cazzotto, quello che mette a terra l’avversario in un KO senza ritorno.
Frost saprà smascherare il presidente e riportare alla luce l’ego smisurato e la deviazione di potere di cui si era reso protagonista, oltre alle sue reiterate bugie. Dalle nostre poltrone vediamo lo scoramento di un uomo che deve gettare la maschera e finalmente liberarsi di un peso. Ma oltre a questo aspetto personale, in questo spettacolo si intreccia anche una riflessione importante sui possibili abusi e sulla corruzione come fenomeni purtroppo tipici in cui incappa spesso il potere politico: è qui allora che il giornalismo deve svolgere a pieno la sua funzione anche investigativa di ricerca continua della verità. Al potere politico in Frost Nixon fa da contraltare appunto il potere dei media che può tenere alta l’attenzione su un fatto e, di conseguenza, esercitare una certa influenza sul cittadino. Sono dinamiche di ieri come di oggi che, raccontate così limpidamente in questo spettacolo, contribuiscono a tenere sveglie le coscienze nel pubblico. Quello di Bruni e De Capitani è una profonda forma di teatro civile frutto del nostro tempo, inserita nel nostro tempo e in grado di aiutarci nella creazione di nuove forme di lettura dell’oggi.
(i.c.)
Il cantiere Elfo-Puccini a Milano
A chiudere la stagione del Teatro Argentina di Roma è Frost/Nixon del Teatro dell’Elfo, ultimo appuntamento di lunga tenitura prima di un importante cambio della guardia alla direzione.
Politico, accessibile, cinematografico: lo spettacolo, firmato congiuntamente da Ferdinando Bruni e Elio de Capitani, incarna perfettamente il percorso intrapreso della compagnia e portato avanti con determinazione a Milano. Per comprendere a fondo il significativo lavoro dell’Elfo, che ha da poco festeggiato i quarant’anni di attività, bisogna saper accostare poetica teatrale e lavoro sul territorio, due linee di attività che convergono a un unico obiettivo: il pubblico.
L’Elfo Puccini – un multisala in centro città, casa della compagnia dal 2010 – ha mutato la geografia teatrale milanese e ha lasciato in mano alla storica compagnia tutte le responsabilità connesse a uno tra i più importanti centri della città. È emersa chiara, fin da subito, la volontà di intercettare ampie fasce di pubblico per una vera e propria formazione al teatro di qualità; una sfida che sembra vinta, a guardare i numeri e la fedeltà degli spettatori.
Si tratta quindi di un percorso sviluppato parallelamente su due binari: da un lato la programmazione, che accosta sapientemente classici e novità, nomi di successo ed emergenti; dall’altro le proposte della compagnia, che non perdono mai di vista l’obiettivo.
ph. Luca del Pia
Le produzioni degli ultimi anni sembrano quindi muoversi tra la valorizzazione della drammaturgia contemporanea anglosassone, l’utilizzo di linguaggi immediati e accessibili e l’ottima direzione di attori. Di queste tendenze Frost/Nixon sembra in qualche modo rappresentare la quintessenza. Il testo dell’inglese Peter Morgan è stato rappresentato alla Donmar Warehouse di Londra nel 2006; e dalla programmazione della sala di Covent Garden Bruni e De Capitani attingono non di rado per la scelta dei copioni (è accaduto così anche per Rosso di John Logan). La preferenza per la drammaturgia anglosassone è, per l’Elfo, diretta conseguenza della volontà di parlare una lingua il più vicina possibile al pubblico, e di toccare temi fortemente legati al contemporaneo.
Nella stessa direzione va interpretato l’evidente debito al linguaggio cinematografico che connota, ormai da anni, quasi ogni produzione targata Elfo. La compagnia non ha paura di confrontarsi con l’immaginario della pellicola: per il fortunatissimo Angels in America di Tony Kushner (2007), Bruni e De Capitani non esitarono a riprendere un famoso film tv interpretato, tra gli altri, da Al Pacino, Meryl Streep ed Emma Thompson. Ma se in quel caso la distribuzione del film era rimasta soprattutto americana, e gli spettatori italiani guardavano il palcoscenico a mente sgombra, con Frost/Nixon i due registi raddoppiano il rischio: il film di Ron Howard, uscito nel 2008, ha avuto diffusione ben maggiore e non è mancato chi, tra gli spettatori milanesi, ha riscontrato un’eccessiva vicinanza tra il film e lo spettacolo. Ma la scelta fatta è, dopo tutto, una dichiarazione di fiducia nelle possibilità del teatro di suscitare un immaginario inedito, e di proporre una insuperata tensione all’universale. I tempi di fruizione cambiano, ed è forse responsabilità del teatro contaminarsi e mettersi in relazione ai ritmi di un pubblico in cambiamento.
(m.g.)