Full of numbers
Questa mattina mi arriva l’invito a una conferenza dedicata ai numeri come uno degli eventi collaterali alla mostra di Renzo Bergamo a Milano. Se ne parlerà con professori di fisica e di matematica ovviamente, ma l’approccio sarà umanistico. I tempi in cui i numeri si apprendevano insieme alla musica, all’arte e alla poesia come la più affascinante espressione dell’ingegno umano sembrano lontani, oggi si arricciano i nasi e si storcono le labbra solo nominandoli.
Alla domanda filosofica “cos’è un numero?” si rimane spiazzati, senza parole e si cerca di mettere insieme pensieri diversi che compaiono nella mente. Si cerca di dare una definizione a qualcosa dal carattere estremamente astratto, quasi autoreferenziale, come a voler inventare una nuova dimostrazione. È come quando qualcuno ti chiede di descrivere il sapore della papaya e magari insiste con un “ma a cosa assomiglia” e tu non puoi far altro che ripetere “sa di papaya”.
Il binomio numeri-arte non è istantaneo, sebbene sia decisamente centrato. Se è vero, come insegnano a scuola, che la matematica è ovunque, allora non può che essere anche nell’arte. E per continuare il sillogismo se l’arte è espressione del mondo che viviamo, allora i numeri sono in quel mondo. È allora che ricordo:“We live in a world full of numbers: on houses and shops, on buses and motor cars, on magazines and packages, on stamps and labels, in fairgrounds and markets, on boats and aeroplanes, on road signs and posters.”
La frase è di Herbert Spencer, il mondo era il suo ma è anche il nostro. Non è spontaneo farci caso, ma camminando per strada, sfogliando giornali, viaggiando su un treno o su un autobus siamo circondati da numeri. Limiti di velocità, numeri civici, insegne pubblicitarie, copertine dei settimanali, offerte in vetrina. Sono dovunque, siamo abituati e non ce ne rendiamo neanche conto.
Spencer, tipografo e grafico eccezionale, insieme alla figlia Mafalda pubblicò nel 1974 un libro meraviglioso dedicato ai numeri e alla loro silenziosa e continua presenza. The Book of Numbers è una raccolta d’immagini fotografiche, documenti che ritraggono numeri da 0 a 100 in spazi urbani ma non solo.
In realtà il libro nacque come volume scolastico per invogliare i bambini da sette a undici anni a rintracciare i numeri nell’ambiente circostante, forse per renderli meno astratti e meno ostili. Tralasciando per un attimo l’efficacia educativa, è straordinario l’intento grafico di Spencer. L’assoluta mancanza di didascalie è il legame maggiore con la realtà, rigorosamente in bianco e nero le fotografie sono poste al centro della pagina, sono quadrate e incorniciate da bordi bianchi.
Questo minimalismo potrebbe avere due letture: una come spinta verso una contemplazione estetica - principale caratteristica forse di tanti photobook di oggi -, un’altra come espediente per convogliare l’attenzione solo sulle immagini (sulla presenza neanche troppo nascosta dei numeri nella nostra vita) senza distrazioni, spiegazioni per fare un libro di sole figure, gioia d’altronde di tutti i bambini. Riconoscere la supremazia dei numeri nel mondo odierno non è una resa né una sconfitta per chi non appartiene al mondo matematico, anzi. Possono essere legami che vanno oltre la parola, soprattutto se si vedono come semplici segni grafici come faceva Herbert Spencer.