Giovanni Lindo Ferretti

13 Giugno 2013

Giovanni Lindo Ferretti appare e scompare dalla scena, viene avvistato sporadicamente mentre passa a cavallo attraverso il suo tempo. 
L'ho incrociato la prima volta nell'ottantacinque a Monza, dove con un entusiasmo sconsiderato organizzai un concerto all'ISA, l’Istituto Sperimentale d'Arte che frequentavo.

 

Quell'happening mescolava almeno cinque bande giovanili: skinheads, rockabilly, metallari e punk e new wavers. La miscela era esplosiva, gli head liner erano i CCCP. In molti subivano il fascino della loro iconografia, senza comprendere realmente la lettura critica e dissacratoria che il gruppo di Giovanni dava sia alla socialdemocrazia in cui era immerso nella realtà emiliana, sia a certe espressioni del punk. La loro forma di concerto teatrale, mitteleuropeo, krautrock orientato, era veramente una manifestazione concreta e reale dell'esclamazione "I'm so bored with the USA". 
Io ero Clashiano sino al midollo, affascinato da un'iconografia anglo-americana-caraibica, ma tutto il segno grafico architettonico russo dal costruttivismo in poi mi affascinava, e quel gruppo si chiamava CCCP e si orientava decisamente ad est.

 

 


Marco Belpoliti mi presentò a Giovanni e lui subito ascoltò con estrema pazienza e comprensione quel quindicenne entusiasta, che, come spesso accade in Italia, dava un'interpretazione personale ed errata del lavoro dell'artista di cui era infatuato.

 Giovanni ascoltava, domandava, pilotava la discussione facendomi riflettere e inducendomi con il sorriso a capire le contraddizioni evidenti nel mio ragionamento; poi mi regalò un vinile rosso e una spilletta russa con una torre costruttivista ed una stella rossa.

 

Tutto finì con una sorta di catena di performance provocatorie come gli atti da cui erano seguite. I CCCP che performavano sul palco mentre sotto un branco di skinhead faceva il saluto romano: tensione altissima, ma senza morti e feriti. 

Io divenni più grandicello, nell'ottantasette cominciai a suonare e dopo due dischi da indipendente incontrai Giovanni in Poligram, la major per cui avevamo firmato. Lui aveva già sciolto i CCCP che, sorprendentemente e in modo irriverente per il fantomatico movimento, avevano già firmato in precedenza con la Virgin. Era sorridente. Poi me lo trovai a Bari a un nostro concerto: io ero sempre meno aspirante comunista, ma sicuramente deciso a combattere la mia battaglia per salvaguardare la totale l'indipendenza  artistica delle band che firmavano con le major. 


 

 

In quell'incontro il flusso era lo stesso della prima volta che ci eravamo conosciuti, eravamo felici di rivederci lì, io non ero più un quindicenne ma mantenevo lo stesso entusiasmo e lui era percepito e considerato dalla critica e dagli addetti ai lavori un artista con un'aura paragonabile a quella che in Italia poteva avere solo Franco Battiato: "Quando parla il Maestro giù il cappello". 

Gli chiesi se potevamo fare come Casino Royale un remix di un brano dei CSI e lui me lo concesse, ma quando gli dissi che avremmo scelto il brano che più ci piaceva, lui mi rispose: "Per la scelta del brano devi parlare con il discografico, io non mi occupo di queste cose". Io ci rimasi malissimo, la mia battaglia era mia, forse troppo terrena e materialista per qualcuno che aveva già spostato il piano di azione e riflessione altrove.

 



La parola, la narrazione, la cantilena mantrica, la teatralità, il distacco da certi canoni estetici dominanti, tutto ciò investiva con una certa luce ed energia il pubblico che abbraccia Giovanni e i suoi gruppi; la critica aveva ciò che spesso cerca in Italia e che difficilmente trova, ciò di cui ha bisogno: una figura forte, controversa, distaccata e decisamente legata alle origini della canzone popolare italiana. 

Quando sento di nuovo parlare di Giovanni, nella prima metà dei duemila, vengo a sapere che non vive in città, che ha a che fare con i cavalli e ha volontariamente preso le distanze con la giostra della discografia. La mia sensazione è che l'asceta abbia messo in pratica la dichiarazione d'intenti che era stampata sulla tshirt di un gruppo punk cristiano degli anni ottanta: "Renounce the World", rinuncia al mondo. 

Chi lo incontra mi assicura che l'aura è ancora forte e quando scoppia il caso legato alle sue dichiarazioni in favore di una posizione cattolico-tradizionalista, mentre la gente si incazza e si danna per la fiducia e la stima riposta nel personaggio, io mi ripeto che una chiacchierata con lui mi avrebbe dato sicuramente la possibilità di essere meno assolutista nella condanna della sua mutazione.

 

 

Ma in Italia la gente ti adora sino a quando non sei pronto per essere odiato. 

Rinunciare al mondo, scegliersi un punto di vista altro, alto, da cui scrutare una civiltà che cambia troppo velocemente e che implode, rivivendo ad occhi aperti il passaggio della storia e degli uomini nei luoghi, l'epica conquista del tempo e della terra… Ora un impero sta crollando; ora i barbari, i diversi, si accalcano ai confini; la pressione è tanta, moltitudini con un credo diverso dal nostro e molto più determinate di noi mettono radici sulla nostra terra e cumuli di detriti umani di plastica ci levano l'aria.

L'asceta rinuncia al mondo, l'artista fa ciò che fa in primis per se stesso, più si procede in avanti sulla linea retta del tempo più ci si riavvicina alle proprie origini, origini da cui spesso siamo fuggiti in passato. 


 

Scegliamo la nostra colonna sonora: quella di Giovanni è cinematica, complessa, drammatica, come lo è l'eterna battaglia emotiva dell'individuo verso se stesso; è un requiem all'aspettativa, una manifestazione di fede senza raggi di sole, perfetta per la sua persona in questa visione neo medioevale dell'oggi.
Montano, Italico, Cattolico Romano e amante del cavallo. Ma il cavallo non è forse l'equivalente della moticletta o della macchina di oggi? E l'italiano maschio non va pazzo per i motori, per la potenza e per la forma?
Una chiacchierata, magari a cavallo al passo, me la farei volentieri con Giovanni per capire se dietro le nuvole scure delle sue inquietudini c'è un paesaggio con una bella giornata di sole.

Alioscia Bisceglia - Casino Royale

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