Libertà, indipendenza, emancipazione / Giulio Giorello, la parola che infrange i tabù
È un controsenso “ricordare” Giulio Giorello. Perché per tutti quelli che, direttamente o indirettamente, lo hanno conosciuto attraverso i suoi scritti e le sue parole – e le parole erano sempre e soltanto “sue” – Giulio rimane una presenza viva.
In uno dei suoi ultimi libri (L’etica del ribelle. Intervista su scienza e rivoluzione, a cura di Pino Donghi, Laterza 2017) Giulio cita un breve passo dall’epopea mesopotamica di Gilgameš, un testo che amava e conosceva quasi a memoria “nella bella versione italiana di Giovanni Pettinato”: “Il prigioniero e il morto come si assomigliano l’un l’altro!”
Non è mai stato prigioniero, Giulio, né di convenzioni, pregiudizi o tradizioni di pensiero, né del suo ruolo di docente universitario e di intellettuale pubblico, e nemmeno di quella sua fenomenale erudizione che gli permetteva di volteggiare leggero come un acrobata nel mondo delle idee. Dire che ha vissuto la sua vita da uomo libero sarebbe tuttavia una semplificazione che non mi lascerebbe passare: inarcando le sopracciglia dietro gli occhiali, quasi stupito di tanta ingenuità, mi spiegherebbe – attraverso qualche esempio tratto dal suo inesauribile repertorio di ribelli, rivoluzionari, pensatori sovversivi, eretici, personaggi letterari ed eroi dei fumetti – quali insidie filosofiche, quali contraddizioni e quale dirompente forza concreta si nascondano nella parola “libertà”.
“Liberty, Freedom, and Enfranchisement”, ovvero – nella sua traduzione di questa citazione shakespeariana – “libertà, indipendenza, emancipazione”, ecco il nucleo costitutivo del pensiero di Giulio e, non disgiuntamente, della sua individualità: “Nel corso degli anni – così scriveva nel Prologo al saggio intitolato appunto Libertà (Bollati Boringhieri 2015) – a questi tre aspetti ho dedicato gran parte della mia riflessione fuori e dentro l’accademia. Ritengo che dimenticarne anche uno solo rappresenti un cedimento alla prepotenza di vecchi o nuovi tiranni, entro o fuori i nostri confini”.
Giulio – ci teneva a ricordarlo – aveva iniziato la sua carriera accademica come assistente di analisi matematica. Del pensiero matematico, lo interessavano non tanto le caratteristiche legate al rigore deduttivo del ragionamento (da questo punto di vita, il suo modello era piuttosto rappresentato dall’Ethica di Spinoza), quanto altri aspetti, per altro intrecciati strettamente alla sua riflessione filosofica: le connessioni con la teologia, la “logica dell’incerto” di Bruno de Finetti, la creazione apparentemente ad libitum di mondi immaginari, l’imponderabilità dell’intuizione capace di aprire orizzonti nuovi e imprevisti. Ma ad affascinare Giulio era soprattutto il potenziale anarchico della matematica, “strumento costruttivo perché indocile e distruttivo”, la sua forza rivoluzionaria: per dirla con una frase di Laurent Schwartz che spesso ricorreva nelle nostre conversazioni “la scoperta matematica, che dipende assai poco dall’autorità costituita, è sovversiva e sempre incline a infrangere i tabù”. Così anche ogni parola che Giulio ci ha lasciato.