Il drago e la fenice / I cinque colori della Cina

5 Maggio 2020

Il numero cinque per i colori principali della cultura cinese ha origini antichissime, si radica nei miti cosmologici delle origini, compare nelle leggende dei draghi che, in base al loro diverso colore, rappresentano gli elementi della natura, e della fenice, l’uccello misterioso che appare di tutti i colori; i cinque colori hanno poi accompagnato per secoli l’apprendimento dei primi rudimenti della scrittura da parte dei bambini cinesi. Lo afferma Lia Luzzatto nel suo nuovo libro Cina: cronaca dei cinque colori, appena pubblicato da Franco Angeli. Luzzatto si occupa da lungo tempo del tema del colore a cui ha dedicato numerose pubblicazioni, alcune in collaborazione con Renata Pompas, tra cui Il significato dei colori nelle civiltà antiche (Bompiani 2010) e Colori e moda (Bompiani 2018). Il sito illustra l’attività didattica e la produzione teorica delle due studiose nell’ambito della storia del colore e nei campi della moda e del design.

 

 

Il libro sulla Cina si presenta come un testo divulgativo che tenta una sintesi, davvero molto difficile, del significato e della funzione simbolica dei cinque colori fondamentali nei vari ambiti della cultura, dalla religione alla magia, dalla politica all’arte; dopo i cinque capitoli su ciascun colore troviamo alcune interviste a esperti di colore e consulenti industriali. Il tema del colore, in certo modo, rende possibile questo excursus nella storia millenaria del Paese di Mezzo, ma la sua presenza in tutte le sfere dell’attività umana amplia a dismisura i settori della ricerca, obbligando talora l’autrice a cenni veloci su argomenti che richiederebbero un ulteriore approfondimento.

 

Un primo problema teorico consiste nella possibilità di isolare, nella molteplicità dei colori percepiti, i colori base, che diventano, per così dire, i gradini della scala cromatica e che possono fungere come le categorie principali della grammatica del colore. Su questo punto l’analisi di Lia Luzzatto procede naturalmente con cautela, ammettendo la difficoltà di comprendere il lessico cromatico cinese attraverso testi in traduzione italiana o inglese. Rimane però possibile, sulla base delle ricerche dei più importanti sinologi, la ricerca sull’origine, nella storia della Cina, delle tracce antiche che riconducono i colori al numero di cinque.

 

Lia Luzzatto cita a questo proposito il testo più rilevante dei classici cinesi, Il libro delle mutazioni (Yi Ching), libro sapienziale e oracolare, terminato nei primi decenni della dinastia Han, nel II secolo a.C. (secondo alcuni autori, addirittura molto più tardi, nel I sec. d.C.), ma il cui nucleo più antico viene fatto risalire al VII o VI sec. a.C., quindi a un’epoca pre-confuciana. L’idea fondamentale della trasmutazione fu poi alla base dell’elaborazione filosofica delle correlazioni tra i cinque elementi (legno, fuoco, terra, metallo, acqua) e i cinque punti cardinali (est, sud, centro, ovest, nord), le cinque stagioni (primavera, estate, tarda estate, autunno, inverno), i cinque organi (bile, lingua, cuore, reni, fegato), e appunto i cinque colori: verde-blu, rosso, giallo, bianco, nero.

 

Prima però di entrare nel merito dei singoli colori, l’autrice si sofferma brevemente sul pensiero di Confucio e sul Daoismo di Lăozǐ. Mentre la tradizione confuciana accetta la policromia e il contrasto fra colori accesi, l'ascetismo daoista punta sull'attenuazione cromatica fino a giungere all'estrema declinazione della scala dei grigi e alla ricerca raffinata di colori delicati o particolari nell’uso degli smalti e delle lacche. «L’estetica del bello in Cina passa così sia attraverso l’amore per il colore pieno contrastato e gioioso, sia per il concetto di oscuro, melanconico, indefinito: nell’uso o nel non uso del colore si manifesta lo sforzo di cogliere la profondità inesauribile del reale» (p. 18). Forse è eccessivo parlare di “non colore” per la tradizione daoista, ma certo nella contrapposizione fra Confucianesimo e Daoismo si colgono due diversi atteggiamenti, riconducibili, da un lato, alle corti e ai potentati regali dell’antica Cina settentrionale, dall’altro alla tradizione mistica degli eremiti daoisti del Meridione.

 

Autoritratto di Shitao (1642-1707), il pittore e poeta del bianco e del vuoto (National Palace Museum, Tapei).


Il primo colore esaminato è il quīng, un termine – scrive l'autrice – che non si usa più per definire un colore, ma che mantiene una funzione simbolica per indicare qualcosa di acerbo, di non compiuto, della primavera, della crescita, in breve un elemento di gioventù; in alchimia e medicina il soffio verde del respiro e della vita. Come per l’accezione dei termini di colore nel mondo antico in Occidente, l’ambito semantico di quīng rimandava a una scala cromatica molto diversa dalla nostra attuale e poteva indicare l’azzurro, le varie tonalità di blu, ma anche il nero e il grigio; poteva descrivere il cielo e il mare, ma anche il colore degli occhi e dei capelli; poteva indicare un alto rango sociale, ma anche assumere un valore negativo: l’espressione “portare un cappello verde” allude all’adulterio e significa cornuto.

 

Per l’analisi del rosso Luzzatto preferisce partire dal procedimento di preparazione del pigmento, tratto dal cinabro, nella forma di una polvere finissima che veniva usata in pittura, nelle pitture murali, negli inchiostri. L’uso in alchimia e medicina del cinabro ne conferma la positività, che si riverbera nei suoi vari significati simbolici: rosso è il colore dello yang, il principio maschile, caldo, chiaro, secco e in movimento; rappresenta il giorno, il sole, la forza, l’energia vivificante, il potere. Non manca la relazione con i temi erotici dell’amore nel filo rosso invisibile che lega per sempre i piedi degli innamorati. Infine, congiungendosi con la tradizione comunista, diventerà il colore delle scritte a sostegno dello Stato e dei bracciali delle Guardie rosse di Mao, unico colore nel grigio predominante.

 

Il giallo è il colore della terra, del limo dell’altopiano del Loess, del Fiume Giallo che lo attraversa, è il simbolo della fertilità e della prosperità, è il simbolo della Cina. L’Imperatore giallo è il mitico sovrano fondatore della dinastia Han (202 a.C.-220 d.C.), esperto di magia e di medicina; con lui inizia il legame dell’impero con il giallo, che verrà riservato, in epoca Tang (618-907), al solo imperatore e proibito a chiunque altro. Anche il giallo, come accade in genere per tutti i colori fondamentali, può però assumere, accanto al significato positivo, un valore ambiguo e può indicare un erotismo che sconfina nella pornografia.

 

Gli ultimi capitoli trattano del bianco e del nero che simboleggiano i principi opposti, ma complementari, dello yin (nero) e dello yang (bianco), rappresentati nel T’ai Chi T’u, il simbolo della cultura cinese. Il bianco è il colore della giada (nefriti e giadeiti), pietra sacra, oggetto di venerazione che ricompare in moltissimi simboli di purezza e fortuna. Riappare come ideale estetico delle nuove generazioni, attentissime al colore della pelle, che deve essere sana, luminosa e liscia. Il nero è il colore dell’inchiostro di china, la cui scoperta risale al terzo millennio a.C. e che ha accompagnato la calligrafia, la pittura e la poesia nella storia di questo paese. Anche il nero è legato a una simbologia positiva a partire dal mito daoista della creazione fino alla moda attuale che privilegia questo colore elegante. Ambedue i colori, il bianco e il nero, possono però diventare anche colori del lutto.

L’introduzione di Lia Luzzatto ai cinque colori della Cina, rappresenta senz’altro lo stimolo per addentrarci nei meandri della Cina colorata, consapevoli che i valori simbolici dell’Oriente talvolta sono molto simili a quelli occidentali, talora appaiono molto lontani, e ci possono incuriosire proprio per le radicali differenze.

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