Conversazione con Daniel Blaufuks / Il presente non esiste
Laura Gasparini - Quasi tutto il tuo lavoro si basa sulla memoria e sulle diverse forme che la racchiude e la rappresenta. Pensi che la fotografia sia il linguaggio più idoneo per lavorare sul concetto di memoria?
Daniel Blaufuks - Non proprio, penso che la letteratura e in parte anche il cinema siano più adatti, in quanto richiedono allo spettatore un vasto spettro di attenzione e di conseguenza di immersione. Tuttavia, la fotografia è già memoria per sua essenza, quindi la memoria è inerente al processo fotografico.
LG - In This Business of Living fai chiaro riferimento alla letteratura, in particolare ai diari di Cesare Pavese pubblicati con il titolo Il mestiere di vivere. Cosa ti ha colpito di quell'opera?
DB - Beh, Pavese è uno scrittore meraviglioso e i suoi diari sono bellissimi, in particolare i suoi pensieri della vita quotidiana, a cui sono molto interessato. La parola mestiere, che non si traduce in inglese, parla di questa necessità di vivere, di reinventare la vita su base giornaliera. Questo può essere un compito difficile a volte e per Pavese si è concluso tragicamente con il suo suicidio. Le ultime annotazioni del suo diario sono puntuali, anche in un giorno in cui scrive semplicemente: "oggi, niente". Così, in un periodo in cui avevo un momento di crisi, ho lavorato su una serie di fotografie relative a questa idea di tempo, giorno dopo giorno. In seguito è stata una mostra e poi un libro. Pavese e, in una certa misura e insieme allo scrittore Georges Perec, sono la base di un altro mio lavoro dal titolo: Tentare l'esaurimento.
LG - Alcune immagini di questo progetto sono delle vere e proprie nature morte che hanno il fascino di quelle del Seicento, che dietro l'aspetto formale nascondono profondi significati e simbologie. È così anche per le tue immagini?
DB - Sì, sono interessato a una fotografia che abbia una certa profondità e significato al di là della sua superficie. Certamente non sono interessato alle fotografie che sono solo quello che sembrano essere.
LG – La letteratura, la parola è per te molto importante. A volte è una forte mediazione con la realtà. Mi riferisco al tuo progetto su Terezín, partito da un libro dello scrittore W.G. Sebald per andare poi a indagare quei luoghi carichi di memoria.
DB – I meandri della letteratura sono piattaforme da cui è possibile proiettare pensieri e immagini. Quando uno scrittore, come Sebald, utilizza anche fotografie, nascono molte altre possibilità di immagini. A Terezín ho seguito uno dei molti percorsi possibili a partire da una fotografia pubblicata nel suo libro Austerlitz. L'immagine è stata fatta da un fotografo tedesco Dirk Reinatz nell'ex campo di concentramento di Theresienstadt nella Repubblica Ceca e quel percorso mi ha portato alla fine a fare il mio libro su di esso.
LG – Nel tuo lavoro fai ricorso anche ad altre forme di memoria come fotografie storiche, di autori anonimi che hai estrapolato dalla vita dell'archivio per assegnare altri significati, altre modalità di lettura.
DB – Ogni immagine può avere molte letture possibili, in base a dove, quando e da chi viene vista e da chi è distribuita. Questo è il pericolo della fotografia, che la stessa immagine può essere utilizzata per diversi tipi di informazioni, a volte può essere utilizzata in modo improprio, alterata, profondamente rivisitata, ecc. Le immagini fotografiche sono materiali fragili e di conseguenza devono essere trattate con cura e questo è quello che cerco di fare.
LG – Hai realizzato molte mostre utilizzando materiali diversi: parole, manifesti, fotografie storiche, oggetti e naturalmente tue fotografie. Mi riferisco in particolare alla mostra Toda a Memória do Mundo. Part One (Tutta la memoria del mondo. Part One). Tuttavia mi pare che tu privilegi la forma del libro, del quaderno, del diario, di un oggetto che si tiene in mano e si sfoglia con i propri tempi di percezione e di lettura.
DB – Una mostra è qualcosa di molto temporaneo e geograficamente molto limitata, mentre un libro può durare e viaggiare. Un libro è democratico perché può essere più facilmente accessibile di un'opera d'arte. Il libro è la più grande invenzione dell'umanità. È una cosa pubblica e allo stesso tempo privata, può essere visto in una caffetteria o in una biblioteca. Può essere dato come un regalo. È una memoria in sé: dove ho trovato questo libro, dove l'ho letto prima, cos’è questo pezzo di carta che ho conservato tra le pagine?
LG – Ritornare sui luoghi, guardare il passato, come afferma Gaston Bachelard in La poetica dello spazio (La poétique de l'espace), permette di ricreare un'immagine poetica che non è l'eco del passato, ma una proiezione nel futuro. Ti ritrovi in questa affermazione?
DB – Non c'è nient'altro che passato e futuro. È il presente, infatti, che non esiste.
LG – Hai spesso affermato, e dimostrato, che la fotografia è fortemente soggettiva e per questo aspetto ne apprezzi l'unicità e l'aspetto poetico. Sei anche collezionista?
DB – Sono stato collezionista e sto diventando sempre di più un collezionista di cose immateriali, ma, sì, sono attratto da molti oggetti, a causa del loro uso nel passato, della loro forma e della loro bellezza. Ma mi astengo dal raccogliere, dato che non ho lo spazio necessario per il tipo di raggruppamento richiesto da questi oggetti.
LG – Hai di recente esposto a Fotografia Europea di Reggio Emilia parte del tuo lavoro dal titolo Attempting Exhaustion che prende ispirazione dal libro di George Perec, Tentativo di esaurire un luogo parigino dove lo scrittore osserva, di Place Saint-Sulpice, gli aspetti marginali della realtà, l'infraordinario. Anche Cesare Zavattini, attraverso la poetica della qualsiasità sostiene la possibilità di trovare cose interessanti in qualsiasi luogo ci si trovi, in qualsiasi oggetto. Poetica che ha trovato un campo fertile anche nel lavoro di Paul Strand di Un paese a Luzzara e in seguito in Luigi Ghirri. Una coincidenza davvero singolare.
DB – La coincidenza sta nel fatto che stiamo cercando la stessa cosa: una ragione per vivere la nostra intimità interiore senza essere sopraffatti dalla velocità delle cose che ci circondano. Questa è la poesia, fermarsi per un attimo e respirare, uscire….
LG – La capacità narrativa della fotografia è per te importante. Ti sei avvicinato anche al linguaggio del film e del video?
DB – Sì, ho fatto qualche film e ricerche in video. Anche il progetto Terezín ha due opere con immagini in movimento: Theresienstadt (2007) e As if, (2014-2016), che è un film che dura quasi cinque ore. Lo spettatore deve armarsi di pazienza ...