Andreas Gursky al MAST di Bologna

9 Agosto 2023

La mostra di Andreas Gursky al MAST di Bologna si apre con un’immagine apparentemente semplice nella composizione, nella scelta del soggetto e nel formato. Il titolo è Dunkelkammer, tradotto significa Camera oscura, ed è stata realizzata nel 2016. Può apparire una scelta ovvia se non banale, per l’autore, uno dei fotografi e artisti più significativi dell’arte contemporanea, sennonché questa immagine è legata a ricordi della sua infanzia quando frequentava lo studio fotografico del padre dove Andreas bambino era affascinato dalle scatole rosso vivo dell’Agfa e da quelle giallo arancio della Kodak dei prodotti fotosensibili. La camera oscura del fotografo, là dove si sviluppavano e si stampavano i negativi, è paragonabile allo studio d’artista: un crogiolo di creatività e sperimentazione dei materiali (Hall, 2022).

Così come per gli atelier dei pittori e scultori, ma potremmo pensare anche ai tavoli degli scrittori, la camera oscura ha intrinseco un rapporto simbiotico con l’autore. La magia di questi luoghi è legata all’enunciazione di una novità creativa insita nella realizzazione dell’opera, al suo formarsi, ma senza mai svelarla. Le restrizioni della pandemia dovute al Covid hanno inchiodato gli artisti nei luoghi della propria abitazione trasformandoli in luoghi per la creazione. Un’indagine interessante è stata la mostra Studio Visit. Thoughts and practices surrounding ten artist's studios alla Collezione Maramotti (2022). Ma anche l’avvento della digitalizzazione e la sofisticata operazione di controllo e di post produzione dello scatto fotografico ha aperto suggestivi e inaspettati percorsi di ricerca.

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Andrea Gursky è tra gli autori che hanno studiato la fotografia analogica alla scuola di Otto Steinert e in seguito alla “Becher Schule”, la “Scuola dei Becher” (1976-) all’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf sotto la direzione di Bernd e Hilla Becher che ha concluso con Thomas Ruff, Axel Hütte, Thomas Struth e Candida Höfer. La lezione dei Becher era incentrata sul mondo industriale che nel dopoguerra stava mutando le periferie e i paesaggi urbani. Erano interessati ad una “nuova oggettività” attenta alla costruzione dell’immagine, alla luce, alla composizione per conferire al soggetto una nuova identità senza delegare nulla alla materia fotografica e all’approccio soggettivo.

Andreas Gursky guarda oltreoceano, in particolare alle ricerche di Jeff Wall che realizza grandi lightbox che hanno come soggetto anonimi scenari urbani. Negli anni Novanta l’aspetto di presentazione e di montaggio delle opere fotografiche ha assunto un ruolo determinante nell’elaborare un nuovo linguaggio fotografico, in particolare lo studio dei grandi formati. La progettazione di lightbox, che consistono in una diapositiva a colori di grande formato retro illuminata e il Diasec che utilizza un sottile strato di resina acrilica sull’immagine esaltandone i colori e i dettagli.

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Il grande formato, scrive Urs Sthael curatore della mostra e autore del saggio in catalogo, è per l’autore “una presa di posizione, una dichiarazione d’intenti architettonica, visiva e contenutistica e una sfida all’osservatore. […] I grandi formati, infatti, modificano lo spazio, lo trasformano, lo articolano, lo ripartiscono in maniera inedita, vengono incontro a noi osservatori con dolcezza, con forza o con violenza, aprendo lo sguardo o dominandolo.” Come non rimanere colpiti e coinvolti dalle sue opere? A Gursky interessa la materialità e la presenza dell’immagine fotografica non solo attraverso il formato ma anche con l’utilizzo della composizione e del colore per metterli in dialogo tra loro negli spazi espositivi, chiedendo quindi al visitatore l’impegno a seguirlo nelle sue riflessioni attraverso il linguaggio delle immagini stesse.

L’autore cambia il punto di ripresa del soggetto obbligando il visitatore a soffermarsi più del previsto davanti all’immagine, risultato dei montaggi e delle elaborazioni digitali in fase di post produzione per rendere le opere più intriganti, ricche di dettagli. Gursky utilizza il dettaglio come hanno fatto i pittori fiamminghi. Daniel Arasse (Il dettaglio. La pittura vista da vicino, 2007) ci ha spiegato che dentro la composizione di un dipinto del Rinascimento, ad esempio, sono stati inseriti dei particolari, dei dettagli che sfuggono alla composizione dell’insieme e che si percepiscono solo se si guardano da una distanza ravvicinata.

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Nella pittura del passato questi dettagli nascondevano messaggi religiosi, politici, ideologici in modo da sfuggire alla cultura ufficiale, ma a volte il pittore proprio attraverso la realizzazione del dettaglio rivelava le sue più autentiche scelte stilistiche e la sua idea della pittura. È così anche per Andreas Gursky? È molto probabile. In un’intervista l’autore afferma: “Le mie opere sono molto reali e allo stesso tempo sono una composizione, ma non sono mai del tutto immaginarie. […] Sono immagini dettate dalla realtà e allo stesso tempo apporto delle modifiche a fini compositivi.” (2013) La manipolazione delle immagini non è quindi in termini astratti, ma soggettivi. “Il compito degli artisti è quello di liberare le immagini dall’esistente, dai canoni estetici accademici.

Ho scoperto quanto fosse difficile farlo quando ho iniziato a lavorare con il digitale [inizio degli anni ‘90] che mi ha permesso di costruire le mie immagini. Per questo motivo ho necessità di molto tempo per TROVARE un’immagine”, afferma Gursky in una conversazione con Jeff Wall del 2018. È l’intuizione a guidare la percezione dell’autore; essa è la capacità di riconoscere gli aspetti artistici nella quotidianità, nel banale che riorganizzati attraverso la composizione, le forme e i colori creano l’opera finale. È in questa fase che Gursky si avvicina al processo creativo artistico, pittorico, utilizza la fotografia come il pittore si serve dei colori in tubetto e con il marmo lo scultore. Il soggetto viene modificato, alienato in nome della composizione.

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La fonte di ispirazione è la pittura degli anni Venti quando, secondo l’autore, gli artisti abbandonano il tema della raffigurazione oggettiva abbracciando l’arte astratta e geometrica, facendo passare in secondo piano la narrazione del contenuto a favore della percezione della forma e dei colori (Ackermann, 2016), ma in un costante dialogo con la realtà. Le opere esposte al MAST ne sono una testimonianza. Esse sono 40 e abbracciano un arco di tempo che va dai primi lavori (Krefeld, Hühner, 1989) alle opere più recenti (V&R II e V&R III, 2022) e sono incentrate sul tema dei luoghi industriali, dei processi di produzione agricola e industriale, di distribuzione (Amazon, 2016). 

La mostra, la prima grande antologica in Italia dell’artista, segna l’inizio della celebrazione di due ricorrenze: i 100 anni dell’impresa G.D e i 10 anni di Fondazione MAST-Manifattura di Arti, Sperimentazione e Teconologia di Bologna. “Fare del lavoro una cultura e della cultura un lavoro” sono concetti che legano insieme queste due realtà. La ricerca e la promozione del linguaggio fotografico del MAST è incentrata al tema dell’industria e del lavoro. Non solo l’attività espositiva ne è una testimonianza, ma anche la ricca Collezione storica e contemporanea.

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Le potenti immagini di Gursky selezionate in collaborazione con Urs Stahel riflettono questi mondi tematici. Esse rivelano nuove modalità di concepire il lavoro, l’economia e la globalizzazione, svelano visioni concrete di siti produttivi, centri di movimentazione delle merci, luoghi di consumo, nodi di trasporto, luoghi di ricerca e di produzione energetica e alimentare, sedi delle società finanziarie.

Andrea Gursky. Visual Spaces of Today

A cura di Urs Stahel e Andreas Gursky
15 maggio 2023 – 7 gennaio 2024

Fondazione MAST

Via Speranza, 42 – Bologna
www.mast.org 

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