Interesse pubblico

29 Luglio 2011

Con una rara dimostrazione di volontà bipartisan, il Parlamento ha approvato qualche giorno fa una nuova legge che stabilisce il tetto massimo del 15% per lo sconto che le librerie possono praticare sul prezzo di copertina dei libri e permette ai soli editori di lanciare promozioni speciali con ribassi fino al 20%. In un paese in cui si è rinunciato a regolare prezzi essenziali come quelli dei carburanti, un intervento così invasivo dello Stato in un mercato tutto sommato piccolo come quello del libro è stato sin dall'inizio presentato come un provvedimento “dovuto” per salvare le piccole librerie e gli editori indipendenti dalle aggressive campagne di sconti tipiche delle grandi catene librarie ma soprattutto, e qui sta il vero punto critico, delle librerie on line, ovvero in particolare di Amazon, che appena sbarcata in Italia ha subito inaugurato una campagna di forti sconti e promozioni.

           

Insomma una vittoria dei “piccoli” e dei buoni contro i grandi gruppi e i giganti cattivi di internet come sostiene, pur con alcuni distinguo, l'associazione Mulini a Vento? Le cose non stanno del tutto così: alla sfida rappresentata dalle nuove modalità di vendita on line (non dimentichiamo, oltre ai libri, anche musica e film, i nuovi supporti digitali e lo streaming) e alle trasformazioni irreversibili che queste hanno prodotto nelle abitudini dei lettori, si risponde rispolverando alla fine una logica difensiva e  protezionistica, in superficie opposta al pensiero neoliberista dominante (quello che intona il mantra: meno Stato più mercato) ma in realtà tendenzialmente complice dell’immobilismo e della conservazione dello statu quo. In effetti, chi detiene oggi in Italia il vero potere nel mondo dei libri? E chi minaccia quella auspicabile bibliodiversità in cui ci dovrebbe essere spazio per le piccole produzioni indipendenti e le librerie di qualità e non solo per i blockbuster, la letteratura (e la saggistica) industriale e i megastore? Non c’è dubbio che siano le grandi concentrazioni editoriali e distributive a trovarsi in posizione dominante e a orientare con le loro politiche, ormai anche attraverso internet, le (s)fortune del mercato librario. E in assenza di competizione e di stimoli al cambiamento (e di una una seria iniziativa legislativa anti monopoli), a perpetuare il paradosso che vede sempre meno lettori e sempre più titoli pubblicati, enfasi sui “numeri” e scarsa o nulla attenzione ai fenomeni nuovi, alle ricerche coraggiose, alle figure controcorrente. E tutto in nome di una logica economica miope e alla lunga svantaggiosa per tutti.

 

doppiozero condivide e sostiene la lotta dei piccoli editori e delle librerie indipendenti a favore dei libri di qualità e non è certo tenero con le mire espansioniste delle multinazionali del web. Ma non può per questo applaudire una norma che di fatto, e surrettiziamente, mantiene ancora più saldo nelle mani dei grandi gruppi editoriali il controllo del mercato e dunque, in ultima analisi, come sostiene ad esempio l’ADUC e ha efficacemente riassunto “il Post” (ma si veda anche l’articolo non a caso giubilante del “Corriere della Sera”), la possibilità di ridurre il prezzo dei libri, di individuare forme alternative di distribuzione, e dunque dare una chance in più alla lettura in un paese e in una congiuntura economica, vale la pena ricordarlo, in cui disoccupazione e sottooccupazione hanno raggiunto percentuali record e i redditi sono in declino da anni. La materia è certamente complessa e controversa (come la recente vicenda della delibera AGCOM che sotto le mentite spoglie della difesa del diritto d’autore si accingeva a varare un dispositivo di censura in perfetto stile cinese o nordcoreano), ma strumentalizzare le ragioni dei “piccoli”, come hanno fatto alcuni esponenti del Pd e gli stessi editori, per far passare una legge dirigista che favorisce di fatto i soli monopolisti (cui di fatto la legge lascia il potere di lanciare comunque campagne promozionali a prezzi scontati), è una prova in più della confusione che regna nella sinistra italiana.

 

I libri si difendono facendoli conoscere e circolare di più e meglio, e la difesa a oltranza di un modello che oltretutto vede i margini per editori e librai divorati dai costi di promozione e distribuzione e non certo dai soli sconti, non serve ad altro che a rinviare una crisi di fatto già in corso. Amazon non è certamente un modello di impresa sociale, ma ha determinato una trasformazione epocale nel modo con cui i libri si acquistano e si leggono, ha forzato il monopolio della distribuzione e in America, col suo Kindle, ha creato quasi da sola un vero mercato per gli e-book. Ha insomma allargato le possibilità di lettura e ha creato nuovi lettori. Accoglierne l’arrivo in Italia con una bordata protezionistica avrà solo l’effetto di ritardare l'inevitabile transizione del libro a un modello misto carta/digitale e a mantenere in piedi ancora per qualche anno chi sfrutta (leggi i grandi gruppi) la sua comoda rendita di posizione. A rimetterci sono gli editori coraggiosi e gli acquirenti dei libri e dunque in ultima analisi tutti noi.

 

 

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