Intervista a Robert Guédiguian

27 Marzo 2013

Durante il recente Bergamo Film Meeting, il celebre regista francese Robert Guédiguian, autore di film come Le nevi del Kilimangiaro e Marius et Jeannette, noto per la militanza nelle sinistra francese e per un cinema popolare dai forti accenti sociali e dai toni sospesi tra il dramma e la commedia, ha tenuto una seguita masterclass. Doppiozero lo ha incontrato per una bella chiacchierata sul cinema italiano, il ruolo della memoria nel suo lavoro e la disgregazione sociale che ha caratterizzato gli strati più poveri della società  contemporanea.

 



 

Robert Guédiguian, lei da giovane ha seguito molto da vicino il cinema italiano…

 

Sì, a diciotto anni il cinema italiano era per me il migliore al mondo. Conosco a memoria i film di Pier Paolo Pasolini, ma anche quelli di Francesco Rosi, Marco Ferreri, perfino il cinema più popolare, Luigi Comencini, Dino Risi, Elio Petri per un cinema direttamente militante…

 

 

E Ermanno Olmi?

 

Ermanno Olmi, sì. D’altronde ha girato a Bergamo dove ci troviamo oggi…

 

 

A proposito di un cinema vicino alla scrittura, parlando di Pasolini, viene in mente quello che dice il poeta armeno Manouchian in L’armée du crime: “È la poesia che mi ha fatto ritrovare l’uso della parola”. La poesia, il cinema e l’arte in generale sono per lei parte di uno stesso linguaggio?

 

Certo, come il romanzo e il teatro… Il cinema italiano degli anni Sessanta, per restare in tema, è un cinema d’enorme potenza artistica. Non è solo un divertimento, spettacolo, è arte nel senso in cui ci fa riflettere, porta con sé talmente tanti significati, tante forme…

 

 

In quel tipo cinema, penso ad esempio al neorealismo, la presenza dei corpi, degli sguardi, dei gesti è molto forte. Allo stesso modo, i suoi film, per quanto maggiormente improntati sui dialoghi, hanno qualcosa di vitale e immediato legato appunto ai corpi…

 

Sì, e questo ha a che fare con il sud, con il fatto che con l’Italia c’è una sensualità comune. Io sono nato a Marsiglia e lì la gente vive fuori, si parla in piazza, si va a fare il bagno, si prende il sole e tutto ciò porta a delle forme artistiche tipiche, differenti da altri linguaggi.

 

Le nevi del Kilimangiaro

 

Tutto questo fa anche pensare al teatro, in cui il linguaggio dei corpi è alla base della rappresentazione. Inoltre lei ha spesso parlato del suo ruolo di capo comico, della sua tribù di attori… Sarebbe attratto da un’esperienza a teatro?

 

Non ho mai avuto un’esperienza di questo tipo anche se vado spesso a teatro e mi piacciono sia i classici che i moderni: ma nella direzione degli attori a teatro c’è qualcosa che non mi piace.

 

 

Che cosa?

 

Ripetere una scena tre giorni di fila dalle nove alle sei non lo ritengo necessario. Anche se capisco che si abbia voglia di affinare una scena, e di andare a esplorare un testo.

 

 

In teatro si dirige di più secondo lei?

 

In teatro si dirige una ricerca, il regista può farlo nel senso in cui lo intendo io, ma mi dà fastidio l’idea di ripetizione, sono troppo impaziente, al cinema mi piace cambiare scena abbastanza in fretta: una scena un giorno, un’altra il giorno dopo… Non è un giudizio di valore, ma il teatro non mi appartiene.

 

 

Come avvenne al tempo del suo primo film, Ki lo sa?, girato nel 1985 con una troupe che tra attori e tecnici non contava più di undici persone, le piacerebbe tornare a condizioni di set più modeste?

 

Sì, allora non era male. Voglio dire, andare lentamente, non guardare l’orologio e fare come il pittore che ogni tanto può dire: “Questo pomeriggio dipingo senza preoccuparmi di portare necessariamente a termine il dipinto”. Si parte per due settimane con una piccola macchina da presa, si gira, ci si ferma quando non si ha voglia di lavorare e si va a bere un bicchiere, aspettando di vedere cosa accadrà il giorno dopo.

 

Le nevi del Kilimangiaro

 

Questo offre una grande libertà…

 

Mi piace l’idea di imbastire qualcosa senza approfondirlo troppo. Fino a oggi, però, non mi è più capitato di lavorare in quelle condizioni. InKi lo sa? ero costretto a fare tutto con pochi mezzi, oggi invece sarebbe una scelta: la scelta della povertà!

 

 

Lei parla del tempo che ciascuno di noi ha a disposizione e in effetti in molti suoi film riprende scene in cui la gente è a tavola, fa il bagno o gioca a bocce. Insiste anche molto sull’idea di tenere presente la memoria, sia individuale sia collettiva, e sul tempo che si intreccia con la memoria e grazie a essa si rafforza. Cosa pensa dei ritmi frenetici del mondo di oggi?

 

Talvolta l’ossessione del tempo genera effetti paradossali. Ai giovani registi che non hanno soldi per realizzare il loro progetto solitamente dico: “Prendetevi il vostro tempo, perché girare per forza un film in due settimane? Prendetevi il tempo di girare, per quali ragioni stringere i tempi se tanto non ci sono soldi?”

 

 

Un doppio stress, la mancanza di soldi e l’obbligo a fare tutto di fretta!

 

Sì, non è molto da furbi.

 

Marius et Jeannette

 

Tornando al tema del corpo, viene da pensare che nel suo cinema un altro corpo molto importante sia anche e soprattutto quello sociale. Un corpo che tende a essere sempre più fragile, come in fondo lei mostra nel suo ultimo film Le nevi del Kilimangiaro, in cui è la gente di una stessa classe sociale a dividersi…

 

Il corpo sociale oggi si dissolve, la società odierna si frantuma. Michel, Marie-Claire e il giovane Christophe di Le nevi del Kilimangiaro non hanno nessuna ragione di opporsi, essi appartengono alla stessa classe sociale: nonostante ciò lo fanno in un mondo dove la fraternità non è più possibile, dove l’idea del successo non è che individuale.

 

 

È uno choc vedere sullo schermo la trasformazione del giovane Christophe che aggredisce, ruba e molesta persone che conosce benissimo…

 

Sì, ma perché Christophe non conosce la gente, non sa qual è stata la vita di Michel, le lotte intraprese per arrivare a strappare qualche piccolo vantaggio sociale. Basterebbe fosse cosciente di tutto questo per evitare la tragedia.

 

 

Quindi denuncia una mancanza grave di dialogo, qualcosa che non si tramanda più da generazione in generazione?

 

Il filo si è rotto, la gente non sta più insieme. Qualche anno fa esistevano pratiche militanti comuni, come ad esempio il sindacato. Giovani e anziani si ritrovavano per manifestare, per raccontare in che modo si era acquisito un diritto, per raccontarsi lotte combattute e vite passate. Oggi i giovani non hanno più cultura storica, danno tutto per scontato, anche quel poco che hanno. Penso a Michel, sindacalista apprezzato, e a Marie-Claire, che vivono insieme una vita modesta, non hanno soldi, la loro macchina è un catorcio… ma continuano a lottare. Il giovane Christophe agisce così perché vive nell’ignoranza.

 

 

Politicamente, lei chi ha sostenuto alle ultime elezioni presidenziali francesi?

 

Il partito, il fronte di sinistra. Ho sostenuto Jean-Luc Mélanchon, che alla fine ha portato a casa l’11% dei voti. Mi piacerebbe incassasse di nuovo il 25%, come successe una volta al partito comunista!

 

Marius et Jeannette

 

Può dire qualcosa del suo prossimo film?

 

Il mio prossimo film sarà ambientato a Marsiglia, e non sarà un film serio, per niente. Racconterà la storia di un personaggio che sogna e che riunisce nel suo sogno tutte le persone incontrate durante la vita, osservandole e giudicandole quindi in un altro modo. Il film è molto ludico e divertente.

 

 

Si riderà, come già si ride in molti suoi film. E possiamo immagine che si pianga anche, visto che nei suoi film spesso si piange, e non poco… A pensarci bene, il suo cinema offre sempre un tale confusione di generi e di stili. I personaggi stessi non sono blocchi monolitici, ma mostrano crepe e contraddizioni. Possono uccidere, ma poi sono presi del dubbio…

 

Bisogna mostrare la complessità delle cose e degli eventi: è questo che caratterizza il cinema, e l’arte in generale. Bisogna portare alla luce le cose in ombra, interrogare il mondo per comprenderlo meglio. Il cinema si iscrive nell’ordine della trasmissione, nell’ordine dell’insegnamento: il che significa mostrare gli eventi non come cose scontate e far veder che nulla è evidente.

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