La salute è politica

30 Settembre 2024

Scrivere un manuale oggi è un’operazione complessa, perché le cose cambiano in fretta e si rischia di presentare teorie e concetti destinati all'obsolescenza in tempi brevi. Antonio Maturo lo sa e lo dichiara esplicitamente fin dall’inizio del suo Il primo libro di sociologia della salute (Einaudi, 2024). Cita al proposito Flaiano con la sua famosa battuta "il futuro non è più quello di una volta" proprio perché l'area della salute in senso lato è fortemente influenzata dalle innovazioni digitali e dalla permanente ricerca di linee guida che possono valere per tutto e per tutti. Per contro, dice sempre l’autore, il corpo umano produce una incredibile quantità di dati giornalieri (valori della glicemia, pressione arteriosa, parametri legati all'attività fisica e così via)” e inevitabilmente ChatGPT o Metaverso modificheranno rapidamente quanto ci era sembrato scritto sulla roccia. 

Questo libro non è propriamente una lettura estiva anche se, nonostante la complessità dell’argomento, Maturo ha mantenuto l'obiettivo di renderlo intellegibile e comprensibile anche per chi si avvicini per la prima volta alla sociologia della salute. 

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La sociologia della salute è strettamente intrecciata alla medicina e deve declinare e tradurre in chiave sociale gli sviluppi di questa. Di salute si occupano la psicologia, l'antropologia, gli studi organizzativi e spesso i confini sono sfumati, ma questo non è necessariamente un male. Ci si può confondere con l'antropologia, con l'epidemiologia, con la demografia e a volte si toccano aree come quelle della semiotica e della psicologia, laddove ci si occupa di comunicazione tra medico e paziente. Questo però è un testo che racchiude in sé tutto ciò che serve, lo organizza, lo schematizza, lo espone, nel verosimile miglior modo possibile. I vari capitoli toccano i temi tipici della sociologia medica: le disuguaglianze, le narrazioni e culture di salute, le teorie, il capitale sociale e la partecipazione sociale in relazione alla salute. C'è anche un capitolo dedicato alla felicità. Ogni tanto esce una citazione di Susan Sontag come quella dove dice che “la malattia è il lato notturno della vita” e non si vede perché non esplorare la parte diurna ovvero la felicità, che fa certamente parte anch'essa della salute. Ma il testo è soprattutto la ricerca della salute come espressione di una giustizia sociale.

In particolare, il primo capitolo introduce quello che viene chiamato “i social determinant of health” e cioè le disuguaglianze sociali di salute. Sono dati noti: la salute di una persona è condizionata dal luogo in cui vive e lavora, è correlata al suo reddito e al suo livello di istruzione e anche il colore della pelle gioca un ruolo, oppure essere uomo o donna, oppure ancora essere etero o omosessuale o genderfluid. Tutti questi fattori si intrecciano e interagiscono e la correlazione tra status socioeconomico e salute è suffragata da una grande serie di evidenze. Quindi l'accesso alle cure assume una forte connotazione politica. 

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Certamente lo stile di vita, il livello di istruzione e tutti quei fattori che fissano vincoli e opportunità di scelta per gli individui come l'accesso alle cure, la coesione sociale della comunità in cui si vive, l'inquinamento della propria città, giocano un ruolo attivo nel garantire anni di salute a tutti i cittadini. Viene fatto un esame approfondito di varie teorie e degli approcci disponibili per la ricerca: per esempio, esiste una descrizione dei fenomeni che possono portare a un senso di insoddisfazione o burnout a livello professionale e, pur senza dare risposte definitive, si chiarisce che l'accumulo di fatiche emotive dovute alla necessità di adattamento agli stress ambientali causa l'erosione del sistema immunitario e quindi ci rende più vulnerabili alle malattie. 

Dunque una correlazione diretta tra tutto ciò che è fuori e il corpo umano. L'approccio alle disuguaglianze di salute viene fatto esplorando diverse teorie con grande cura.

Nel secondo capitolo Maturo affronta il problema delle narrazioni di malattia. Il taglio è quello sociologico, pur con sconfinamenti nel campo più propriamente medico e nel rapporto medico paziente. L'autore studia soprattutto l'impatto di una malattia cronica sulla vita del paziente, sulla rottura di routine e comportamenti dati per scontati; di conseguenza è spesso necessaria la riorganizzazione della propria quotidianità nel perimetro dei limiti e delle possibilità definite dalla malattia. La cronicità implica un riesame delle proprie aspettative e dei progetti futuri e, in alcuni casi, una crescente dipendenza da altri. Maturo cita testi e autori importanti come Arthur Frank e Rita Charon e esplora i mondi della narrazione con l'utilizzo della “graphic narrative”, delle metafore e altri strumenti che aiutano a entrare nel mondo della Narrative Medicine.

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Viene poi affrontata la complessità della dimensione della salute rispetto alla partecipazione dei cittadini, al capitale sociale e agli aspetti negativi come l'eccesso di medicalizzazione, tipico del nostro mondo. L’autore riprende teorie rispetto alla prevenzione, alla personalizzazione degli interventi sanitari e, come detto prima, alla ricerca della felicità. Infine affronta le varie teorie sulla sociologia della salute, a volte con linguaggio tecnico, sempre ben schematizzate e aperte a future ricerche.

Nelle pagine finali si affrontano temi stimolanti come quello definito come “salute cronica”, intesa come il mondo attorno, i diversi gradi di separazione di chi si prende cura di un familiare con malattia cronica, dell’influenza che si manifesta sul contorno famigliare e sociale. Nella società ad alto capitale sociale c’è fiducia interpersonale, fiducia generalizzata e benessere sociale. Se noi siamo connessi, la nostra malattia e la nostra salute pure sono connesse e interdipendenti. Dobbiamo pensare che molto facilmente una parte non indifferente della nostra vita sarà dedicata all’assistenza. Bisogna essere preparati a questo.

Come diceva il Dottor Virchow (evidentemente un modello per Antonio Maturo) medico e ricercatore che viveva in Alta Slesia a metà del 1800, “la medicina è una scienza sociale e la politica non è altro che medicina su larga scala”.

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