Medici sotto tiro
Non si capisce dove nasce questo libro di Ivan Cavicchi, Medici vs cittadini (Castelvecchi, 2024) e soprattutto non si capisce il perché di questo titolo che certamente non aiuta una eventuale necessità di ricomposizione sociale nel presunto evento di rottura contrattuale tra la posizione dei medici e quella dei cittadini, soprattutto se ammalati. Dunque un contenuto che sembra essere il frutto di una riflessione un po’ vetero-sindacale espressa in un convegno organizzato da un sindacato interessato alla evoluzione del mondo della sanità. Oppure il docente Ivan Cavicchi sostiene queste tesi durante le lezioni nei corsi di laurea in cui è direttamente coinvolto e viene spontaneo domandarsi se queste tesi hanno generato discussioni produttive con gli studenti.
Detto ciò, leggendo il libro si deduce che effettivamente il testo nasce da un convegno e parte con queste premesse: “Ma se i medici, anziché adeguarsi, intimoriscono i cittadini con delle leggi chiedendo loro di fare i bravi, cioè di tornare ad essere i pazienti di sempre, quindi di rinunciare ai loro diritti, che fine farà il rapporto fiduciario senza il quale, almeno secondo noi, nessun medico potrà fare davvero il medico?”. Il libro è un attacco alla FNOMCEO, la federazione dei medici, che molto spesso rappresenta soltanto la quota legata ai medici di base e non la medicina ospedaliera. Nell'introduzione circolano frasi tipo "Da un bel pezzo non sono più la professione liberale che erano ma evidentemente non se ne sono accorti” o “è finito l'onore di un'antica professione che ormai schiacciata tra i diritti dei cittadini e i limiti delle aziende e le cause in tribunale non sa più a chi dare il resto”.
Il libro è un atto d'accusa contro la Commissione d’Ippolito che vorrebbe modificare un testo di legge attaccando il cosiddetto contratto sociale che esiste tra medici e cittadini; l’autore arriva a definire la faziosità di queste modifiche richieste come una “quasi guerra civile”.
Ivan Cavicchi scrive "da quello che si legge, la commissione dà l'impressione di credere alla storiella dei medici vittime delle denunce dei loro malati, mentre il problema, fidatevi, è esattamente il contrario e per questo i medici chiedono l’infallibilità.” Ho paura che un testo con queste premesse non possa aiutare la risoluzione del “presunto” conflitto sociale. Ci sono in esso sentenze da giudice supremo, ci sono posizioni radicali che a mio avviso descrivono solo parzialmente la realtà delle cose. Un testo sulle liti giudiziarie che parla di una quasi guerra civile, che apertamente divide i cittadini dello Stato in due fazioni, da una parte i medici, dall’altra dei cittadini con due autonomie e libertà contrapposte, un testo che si scaglia contro i medici con frasi tipo "i medici non hanno ancora capito che oggi i loro pazienti hanno il diritto di non essere pazienti, per cui non vogliono più fare i pazienti, non vogliono più essere trattati e riparati come delle macchine cartesiane, non vogliono più dipendere dai medici come se fossero loro benefattori, ma vogliono essere i protagonisti delle cure che li riguardano”, è un testo che getta uno sguardo molto parziale sull’intero problema. Bisognerebbe tenere presente quella che è la realtà delle cose: nella stragrande maggioranza vengono incolpati e subiscono iter giudiziari medici ospedalieri, medici di pronto soccorso, cioè coloro che fanno fronte all'emergenza, spesso in condizioni difficili. È noto a tutti che esistono i cosiddetti "caimani di corsia" cioè torpedoni di avvocati ben organizzati pronti a fare causa per tutto ciò che è andato storto nella vicenda sanitaria di un cittadino o che non è stato di gradimento da parte del cittadino stesso. Poi i fatti diranno chi aveva ragione ma nel contempo, spesso per un periodo di tempo inaccettabile, vengono sbattuti sui giornali titoloni riguardanti il medico X o il medico Y, vengono sequestrati computer e dati sensibili, vengono avviati iter giudiziari tortuosi che tante volte si concludono, ripeto, dopo anni, con un nulla di fatto, ma avendo profondamente leso la professionalità e spesso anche la vita sociale e privata di chi si è trovato coinvolto in una vicenda spesso suo malgrado; frasi come "oggi sembra incredibile ma i tribunali fanno ai malati le relazioni che i medici non sono capaci di offrire e oggi molti cittadini per avere relazioni con i medici, per avere delle spiegazioni esaurienti, sono costretti ad andare in tribunale" non aiutano a risolvere i conflitti.
È vero che molti professionisti della salute non dedicano il tempo e le attenzioni necessarie alle dovute spiegazioni e al coinvolgimento diretto del paziente nel percorso di cura: non rispettano la Legge sul Consenso informato, e questo non dovrebbe mai accadere; il rimedio a questi errori che possono diventare contenziosi non è di tipo legale ma deve utilizzare altri percorsi. Si legge nel testo una mancanza di serenità nel giudizio e non si capisce da dove tutto questo provenga se non da una posizione che definirei “sindacalismo ideologico” in un momento così delicato per la sanità pubblica. Cito ancora altre frasi come "i medici in pratica si trovano loro malgrado incastrati tra i diritti dei malati e i limiti imposti loro dalle burocrazie gestionali e l'unica cosa che pensano di fare per disincagliarsi è puntare i piedi contro i loro malati e rompere il rapporto fiduciario, cioè scelgono la strada della depenalizzazione e delle sanzioni a carico dei cittadini e della legge del taglione”. L'autore sostiene che i medici non abbiano fatto niente per rallentare il decadimento qualitativo della sanità pubblica, anzi di collaborare perché questa possa continuare a scivolare verso il privato. Non vorrei avviare alcuna polemica ma temo che l'autore non abbia mai trascorso alcune ore in un pronto soccorso, perché altrimenti non scriverebbe "ma come fa un medico che dovrebbe curare un malato disperato a infliggergli, oltre alla sua malattia, anche una pena uguale all'offesa ricevuta solo perché nella sua disperazione non considera più il medico come proprio benefattore?".
Capisco che il tema del rapporto tra medici (e tutto il personale sanitario in genere) è molto attuale e molto delicato e non sono sicuro che l’autore abbia considerato “the big picture” e scrive: "ma il punto politico strategico di fondo e quindi la domanda che i medici dovrebbero porsi, soprattutto alla luce degli evidenti fallimenti delle leggi pensate per proteggerli, dovrebbe essere la seguente: esiste innegabilmente un conflitto sociale che sbagliando viene ridotto a una lite giudiziaria; ma i medici come possono pensare di risolverlo dichiarando guerra ai diritti dei loro malati?”. Mi viene da pensare a tutte le aggressioni che ci sono state in questi ultimi anni negli ambulatori e nelle sedi di un pronto soccorso e credo che la prima tutela che i medici e gli infermieri chiedono ai politici sia proprio questa: poter lavorare senza correre il rischio di essere aggrediti verbalmente o fisicamente in una situazione disperata dove, come spesso accade nel pronto soccorso, si riversano tanti problemi sociali oltre a quelli sanitari.
Finalmente nelle pagine conclusive emergono concetti come “nella relazione di cura si confrontano in modo dialogico le verità scientifiche del medico con le verità personali del malato”, ma dopo simili affermazioni che dovrebbero portare la discussione su un altro piano, riprendono le tesi sul conflitto sociale e sulle negazioni contrattuali, sulle strategie corporative per sottrarsi a qualsiasi giudizio.
Tutto il testo si focalizza sulla depenalizzazione dei diritti. Mi sembra che davvero il libro manchi di una visione più allargata del problema e soprattutto che non aiuti ad allargare il perimetro della discussione. Devo riconoscere che alcune posizioni sono giuste, so che la salute è un diritto, ma la fragilità del nostro Sistema Sanitario attuale richiede, secondo me, una visione più serena e soprattutto molti spunti per tante soluzioni possibili. Non spariamo anche al pianista: senza un po’ di musica, senza intelligenza e senza quel poco di bellezza, sempre necessaria, senza il desiderio di lavorare insieme, non si può svolgere il proprio lavoro nel complesso mondo delle relazioni medico-paziente.