La salute non è una patente a punti
In Io sono salute (Aboca, 2023), come specifica il sottotitolo “Quando la letteratura incontra la medicina”, Nicola Gardini, scrittore e pittore che insegna ad Oxford, si inoltra nella selva oscura della malattia in compagnia di amici che vivono esperienze di vita complesse, cercando di esplorare l'intima connessione tra letteratura e sofferenza. Da Lucrezio, Virgilio e Tucidide, a Baudelaire e Nietzsche, Gardini cerca di illuminare il nostro pensiero sul male con la luce esperienziale che la malattia getta sulla vita perché essa stessa è vita. Io sono salute afferma che l'arte e la letteratura parlano sempre di salute, perché si preoccupano di spiegare la forza e la debolezza degli esseri umani. Tutto il libro è una ricerca continua di armonia nel conflitto quotidiano tra la morte e la vita.
"La salute: il ritmo della vita, un processo incessante in cui l'equilibrio si ristabilizza sempre", di Hans-George Gadamer, è una delle tante citazioni che l'autore utilizza per stabilire la rotta. Il testo è scorrevole, facile da leggere, a tratti anche appassionante. Gardini riesce a parlare di storie vere che lo riguardano direttamente rendendole universali, laddove si percepisce chiaramente la sofferenza, ma c'è sempre un “altro” che non soltanto riesce a lenire le ferite, ma indirizza nuovamente la vita delle persone descritte verso un altrove nuovo, poetico e stimolante.
C'è dunque sempre una nuova possibilità, indipendentemente dalla forza del male. E la letteratura è la linea guida essenziale per gettare una luce nuova sulla disperazione umana.
Racconta l’autore: "leggevo in greco e in latino delle pesti di Tucidide, di Lucrezio e di Virgilio e imparavo a riflettere sulla malattia in termini linguistici e poetici, secondo il lessico e le metafore di quegli autori. Leggevo il Decameron e apprendevo, attraverso i casi dei 10 giovani novellatori, che la letteratura è ricerca della salute e studiando le biografie di Baudelaire, di Nietzsche e di altri ritenevo la loro sifilide tanto degna di attenzione quanto le loro opere, perché capivo che la malattia non impedisce agli esseri umani di essere grandi, che appartiene alla loro vita che è vita a sua volta ". Scrive l'autore: "potrebbe essere chiamato un libro autobiografico, un libro dove proclamando le mie idee sulla salute, proclamo anche che la letteratura stessa è salute per me scrittore e per voi lettori”
La letteratura parla sempre di salute perché si preoccupa di spiegare la forza e la debolezza dell'essere umano e in certi casi lo fa con l'obiettivo di proporre rappresentazioni che la scienza medica da sola si dimostra incapace di fornire, per disinteresse o per mancanza di linguaggio più opportuno. Ricerca medica e letteratura sono arti sorelle fin dall’antichità: medici e scrittori sono impegnati a costruire narrazioni, raccogliere storie, sintomi, tracce, ricordi o frammenti di storie, impressioni, segreti, lacune e a tirarne fuori un disegno. La diagnosi di una malattia non è meno che la creazione di una trama trattenuta. Bisogna però tener presente che né una cartella clinica né una narrazione letteraria sono esperienza vissuta, perché la persona è unica e complessa e niente potrà mai coglierla in tutta la sua pienezza vitale, riducendola a schema.
La vita è un fenomeno complesso e nella malattia occorre utilizzare tutte e due le arti per cercare di capire.
Gardini riesce a connettere il concetto di salute all'idea di fatto collettivo, come se la salute si collocasse sempre in una nuova “Polis”: aldilà quindi delle definizioni dell'OMS la salute non è una patente a punti dove ogni giorno se ne perde un po’; non è uno stato originario, una condizione universale ideale e va ricercata nei diversi momenti storici e nelle fasi della vita individuale, con contesti socio economici e culturali diversi, sempre provvisori, sempre rinnovabili. Va cercata e lei si lascia trovare.
Gardini fonda il suo lavoro sul desiderio di capire come gli esseri umani si diano una vita attraverso le parole; cerca di scoprire le metafore nascoste e le narrazioni implicite che decidono della nostra vita e della nostra morte; vuole incoraggiare i lettori ad uscire dalla dittatura di modelli interpretativi e rappresentazioni precostituite, perché ognuno può essere padrone della sua vita e ognuno può avere una salute diversa. “Un medico può dirci che stiamo morendo, ma noi abbiamo abbastanza autorità per dire che stiamo vivendo” anche se qui la letteratura, e cita Petrarca, dice "Continuamente moriamo, io mentre scrivo queste cose, tu mentre le leggi, altri mentre le ascolteranno e mentre non le ascolteranno" e così via. Petrarca riecheggia un passo di Seneca ma aggiunge i motivi della scrittura e della lettura perché, dice l’autore, “scrivere è darsi salute, leggere è darsi salute.” “Salute è cercare discorsi e pensieri e condividerli con gli altri.”
Nel grande capitolo dedicato all'AIDS, Gardini esplora la reazione della letteratura all'epidemia e scopre che fin dall'inizio si è assunta il compito di registrare e commentare le conseguenze socio culturali dell’infezione, fornendo un complemento essenziale al discorso medico e un necessario antidoto alla propaganda antigay e alle rappresentazioni faziose dei media; è stato un lungo percorso quello di dire le cose più private, meno codificate, mai formulate prima, perché la letteratura sull’AIDS ha introdotto l'ossimoro del cadavere vivente.
All'inizio dunque gli scritti sull'AIDS sono prevalentemente testimonianza e lamento ma è indubbio che, al di là della informazione, hanno creato una lingua del dolore e della perdita, stimolando l'insorgere di una coscienza civile e politica, e hanno descritto pratiche amorose con grande libertà rafforzando l'identità gay ma soprattutto dando voce a migliaia di malati che non avevano alcuna possibilità di farsi sentire.
Nella ricerca del rapporto tra epica e narrazione Gardini arriva a concludere che poesia significa atto linguistico fondativo, primario, creazione; l'infezione come qualsiasi malattia è proprio questo: uno stimolo alla riscoperta del linguaggio ed un’estensione della potenza di significare e rivitalizzare la capacità di rappresentarsi nel mondo e di stabilire relazioni nuove. Attraverso la creatività espressiva e la formazione di metafore salvifiche il malato estende la conoscenza di sé.
Una storia è il racconto di qualcosa con cui identifichiamo la vita vissuta che noi possiamo trasformare: il racconto è così trasformare in meglio la vita della persona malata; la salute è un racconto perennemente rinnovato. Allora la cura è uno dei compiti della letteratura, un racconto che si offre all’umanità sofferente, una salute che sorge dal male.
La letteratura fa sì che un essere umano che abbia perduto la persona più cara possa rappresentarla e in tal modo mantenerla nel mondo, e lo fa con la parola, che è l'opposto del silenzio, della sparizione. Anche la lettura inventa la vita dei personaggi e mentre l'autore prova con la sua arte a fare vedere e capire certe cose, il lettore ne vedrà e capirà anche altre, che magari l'autore neppure aveva visto e capito.
Gardini sostiene che i libri siamo noi, tutti siamo libri da vivi e da morti e siamo frutto di continue fecondazioni, la sovrapposizione di continue letture che avvengono nello stesso momento o sono già avvenute e si sono depositate l'una sull'altra formando un palinsesto.
Forse l'umanità ha inventato la letteratura proprio per stare con i morti e anche l'amore, quello che nutre la nostalgia e produce la fantasia, è volere la vita dell'altro anche quando, anzi, soprattutto quando, gli è stata tolta.
Il seguito del libro che non racconterò nei dettagli per lasciare al lettore il desiderio di scoprirlo da sé, è costruito su tre racconti fondamentali: il primo è la storia di Pia Pera, amica dell'autore che affronta una malattia mortale con gli strumenti dell'intelligenza di cui è dotata e inventa metafore come quella del giardino come promessa di vita, come ciclo di nascita e rigenerazione. Oppure come quella di Jacopo, protagonista del romanzo mai pubblicato “La parte di Christopher”, medico che assiste a domicilio i malati terminali raccogliendo i loro racconti. Rivela l'insufficienza della lingua dei dottori formando nuove metafore, confrontandosi con la necessità di dire in altro modo, primamente riportando le riduzioni del vocabolario tecnico alla ricchezza semantica della storia unica e irripetibile della persona. Cita Kavafis, il grande poeta greco, per dire che la funzione del medico non dovrebbe essere solo quella diagnostica e, nel caso migliore, di favorire cura e guarigione, ma che il medico dovrebbe aiutare il malato a costruire il suo romanzo, a guadagnarsi il premio dell'autenticità, scrivendo la sua sofferenza nella trama più adatta al personaggio.
il confronto tra medico e malato è un confronto tra linguaggi: quello pubblico della scienza e quello privato della coscienza.
Non manca in questa parte del libro un suggestivo incontro con Rita Charon a New York, con una inedita intervista alla madre della Medicina Narrativa.
L'ultima parte è un racconto toccante sulla compassione cioè la “sofferenza condivisa “nel raccontare la storia di Nicolas, compagno e poi coniuge dello scrittore, alle prese con un male incurabile. “Multum autem mihi contulerunt ad bonam valetudinem et amici” scrisse Seneca "molto mi aiutarono a trovare una salute anche gli amici”, perché niente conforta e sostiene un malato tanto quanto l'affetto degli amici, niente toglie altrettanto l'attesa e la paura della morte.
La storia di Nicolas ricorda un’affermazione di Charon: “nutrire l’interiorità". Lui, durante la malattia questo ha fatto. Molti nutrono la loro interiorità attraverso la fede religiosa, lui, che non aveva Dei metafisici, contava sull’amore, sulla musica, sui libri, sugli amici, sulla verità; contava su se stesso. Fedele ai propri principi fino all'ultimo, deciso ad andarsene quando più occorreva, Nicolas insegna che la salute è libertà. La vita vissuta da chi affronta l'ultima curva, eliminato il dolore, deve essere senza rimpianti.