Cuori e sincopi
Il dottor Bronzetti, autore di Nel cuore degli altri (Aboca, 2024) non è l’ennesimo medico che inizia a scrivere: ha una storia tutta particolare e unica che lo porta a un percorso dove riesce a ricomporre narrazione e medicina, letteratura e cinema in modo così mirabile da far pensare che finalmente qualcuno è riuscito a riscoprire le radici della medicina, quando cioè le grandi scuole di pensiero erano fortemente connesse alla filosofia e alla letteratura e non si erano isolate alla ricerca di un percorso puramente scientifico da cui non si riesce più a tornare indietro. L'autore non ha fatto studi classici, non è figlio di letterati né di medici. La sua è inizialmente una scuola di agraria; ha pensato che avrebbe potuto fare il perito (sempre molto interessato alla biologia e alla genetica), arrotondava lo stipendio come barman in un hotel della riviera romagnola. Come molti romagnoli, però, l'intelligenza, la pervicacia e la continua ricerca del senso della vita lo ha portato ad ascoltare consigli di chi diceva di vederlo infelice e, quando il padre si è ammalato di una seria malattia cardiaca e lui lo ha dovuto ripetutamente accompagnare in un centro specialistico a Bologna per i controlli (e, racconta lui stesso, nelle ore di attesa leggeva le riviste mediche e raccoglieva i bugiardini), ha avuto l'illuminazione, come San Paolo, e ha deciso che doveva provarci. Ha chiesto un’aspettativa di sei mesi e ha tentato di entrare nella scuola di medicina: “allora non c'erano i test d'ingresso, altrimenti non ce l'avrei potuta fare!”. Inizia così, dopo un percorso più tortuoso dei suoi coetanei, la sua lunga strada verso l'arte medica, chiamiamola pure così, che lo porterà a diventare un noto cardiologo pediatra che opera nella più famosa struttura sanitaria pubblica di Bologna.
Uno potrebbe obiettare: va bene ma cosa c'entra la letteratura? Gabriele non ha mai smesso di coltivare le sue vere passioni, quelle che probabilmente lo mantenevano vivo e motivato anche mentre faceva il perito o il barista, e cioè l'amore per la musica, il cinema, la letteratura. Non ha mai tagliato questi rami e questo giro di connessioni lo ha portato a scrivere un racconto che non è un romanzo e non è un testo scientifico ma è, come lo definisce lui, una trama di connessioni che ha come centro il cuore, organo al quale ha dedicato, fin qui, tutta la sua vita professionale. Ha usato strumenti di narrazione capaci di trasfigurare la realtà e di renderla meno difficile da accettare laddove l'incontro è con un paziente che soffre di una malattia cardiaca, propone uno strumento per instaurare un dialogo più empatico con i pazienti e per guidarli attraverso un percorso allegorico che forse più facilmente li aiuta a sopportare il dolore e il trauma di una diagnosi molte volte senza speranza.
L’editore racconta che quando ha ricevuto “il manoscritto” ha cominciato a leggerlo in modo professionale, pensando già, come spesso accade, a una forma gentile per esprimere un rifiuto; poi, man mano che si immergeva nel racconto, si è accorto di essere diventato un vero lettore. Ha deciso di pubblicarlo perché l’autore parlava di “Questioni di cuore”, di gravi patologie cardiache, di cose drammatiche, ma lo ha fatto usando porte di accesso (un libro, un film, un’opera d’arte) e questa cosa si inseriva perfettamente nel filone della Narrative Medicine. Stranamente poi trova percorsi di cabala numerica e riconosce ad esempio che il Dr Bronzetti usa i numeri per portarci da qualche altra parte.
Il numero 21 è pieno di significati: il peso di 21 grammi che corrisponde al risultato di un esperimento scientifico di molti anni fa dove 21grammi era la differenza del peso prima e dopo la morte, per cui veniva definito il “peso dell’anima”; il cuore di un neonato mediamente pesa 21 grammi, cioè il peso del cuore di una persona appena nata è uguale a quello perso da una persona appena morta, come se ci fosse uno scambio, una grande suggestione e in più, aggiunge l’autore” il cuore comincia a battere 21 giorni dopo il concepimento”. Tanti altri numeri sono svelati all’interno dei, guarda caso, 21 capitoli del libro.
L'autore ha bisogno di numeri e di continui riferimenti per entrare nel labirinto delle malattie cardiache e lasciare un filo per recuperare una qualche via d'uscita e per fare questo usa il suo patrimonio letterario in senso lato perché, come dice lui, non è di cultura classica. Allora usa James Bond, Gianni Rodari, una cultura cinematografica diffusa e popolare, Dante e Wim Wenders, Mahler e Kubrick per parlare di infarto e scompenso, Nabokov e Fitzgerald per raccontare di storie vere, di anomalie delle valvole cardiache, i Pink Floyd e Valerio Zurlini per accompagnare un giovane malato fino alla Prima notte di quiete.
Un modo unico e brillante per parlare di patologie cardiovascolari sono le storie dei suoi pazienti, perché non esistono le malattie, tutte uguali, ma esistono le storie dei pazienti, tutte diverse. Così racconta la sincope di Riccardo Muti che si è accasciato mentre dirigeva l’orchestra a Chicago e da allora, a sua volta, è condotto da un pacemaker che gli dà il tempo: trasforma in mito la morte per infarto di Zanza, noto come il re dei Playboy della riviera romagnola, mentre era in compagnia di una giovane donna nell'abitacolo di un fuoristrada giapponese nella periferia di Rimini. Coinvolge James Bond per narrare di un avvelenamento da digitale e la partita a poker che sta per trasformarsi in un atto finale: Jan Fleming, gran fumatore, morto giovane per infarto, salva 007 per l’intervento di una donna che usa il defibrillatore. Una donna ti salva quasi sempre, dice l’autore, ma non è una coincidenza. Dipende dalle circostanze e dalle connessioni: i defibrillatori sono ormai diffusi, arriverà un giorno che saranno in tutte le auto al posto del cric e presto voleranno sui droni. Racconta di La Montagna incantata di Thomas Mann e dell'incontro del giovane ingegnere Giovanni Castorp con la misteriosa paziente russa: doveva fermarsi due giorni e invece si ferma sette anni nel sanatorio svizzero di Davos; mescola storie di cuore con la nitroglicerina mentre spiega alla paziente stupita che sì, è vero che si usa anche per scavare le montagne ma a dosi piccolissime apre le coronarie, perché è la dose che fa il veleno, non la medicina. Mentre cita il libro di Agata Kristof Trilogia della città di K, quando a uno dei gemelli verrà detto: “E quando avrai troppa pena, troppo dolore, se non ne vorrai parlare con nessuno, scrivi. Ti aiuterà”, involontariamente o no Bronzetti entra nel campo della medicina narrativa, mentre descrive il senso di un elettrocardiogramma, che è il diario di un cuore che si racconta, per pochi secondi, in una pagina.
In questo continuo passaggio tra la vita e le storie dei suoi pazienti l’autore entra ed esce nel mondo dell'arte in modo mirabile. Il capitolo sulle cardiomiopatie è un esempio straordinario: mentre racconta la storia di Nicholas appena uscito da scuola che aspetta l'autobus e cade a terra per una sincope dovuta a una cardiomiopatia sconosciuta e salvato dal 118 chiamato dal cellulare dei suoi compagni di classe, l'immagine dell'autobus diventa riferimento storico e letterario. Ed ecco qua allora l'autobus che ha segnato il destino di Frida Kahlo a Città del Messico: lei ha 18 anni, è innamorata di un ragazzo che probabilmente avrebbe finito per sposare e si ritrova invece travolta in un incidente che la costringe a letto per il resto della sua vita; la sua vita cambierà, conoscerà e sposerà Diego Rivera, diventerà lei stessa una pittrice, il mondo imparerà a conoscerla a causa di questo incidente. Siamo a Città del Messico che è stata la capitale della cardiologia per tantissimi anni, dove c'è un murales dipinto da Diego Rivera che raffigura tutti i grandi cardiologi del mondo: c’è quello che ha scoperto la digitale, ci sono i grandi cardiologi italiani e in un angolo c'è persino Ernesto Che Guevara: l’unica donna presente è la dottoressa Abbot, pioniera delle cardiopatie congenite come quella del giovane Nicholas che è il paziente di cui si racconta all’inizio. La storia di Frida Kahlo si intreccia con quella di Yuri Zivago che vedrà per l'ultima volta Lara da un autobus e lì morirà per infarto. La scarica che salverà Nicholas lo porterà all'impianto del defibrillatore cardiaco sottocutaneo che, dice l’autore, è grande come un vecchio accendino Ronson, sente il battito anomalo e aggiusta il ritmo con una scarica elettrica e Nicholas potrà continuare ad andare a scuola in autobus con un segreto sotto la pelle. Nel capitolo ci sono poi numerosi riferimenti alla pittura e a tutti coloro che hanno rappresentato l'immagine di un cuore rosso in famosi dipinti, da Piero della Francesca ad Antonello da Messina. Interconnessioni.
Tutte le storie di donazioni di organi si somigliano: sono storie di connessioni, cani, anime, sabati sera, auto capovolte, alcol e sangue. Siamo arrivati al capitolo 21, ultimo del libro e ancora più denso di connessioni. Il capitolo è una specie di antologia di Spoon River, perché tanti personaggi veri si intersecano con personaggi letterari. Il primo trapianto di cuore: Città del Capo, Sudafrica, le 15:30 del 2 dicembre 1967. Una ragazza sudafricana di 25 anni, Denise Darvall è appena sbucata da una pasticceria del centro cittadino a braccetto della madre Myrtle; mezz’ora prima stava col fratello e fischiettava il tema musicale del Dottor Zivago, “Lara’s theme”, che aveva appena finito di suonare al pianoforte. Adesso tiene in mano una torta al caramello da portare al tea party a cui la famiglia è stata invitata. Un’auto passa col rosso: è guidata da Frederick Prims, probabilmente ubriaco. Nello stesso istante transita anche l’auto della signora Washkansky di ritorno dall’ospedale dove è ricoverato il marito Louis. È di nuovo una connessione, non una coincidenza. La madre di Denise muore sul colpo, Denise batte violentemente il capo contro una ruota dell'auto e viene portata all'ospedale Groote Schuur in stato di coma irreversibile; le connessioni fanno sì che in quell'ospedale operi uno dei chirurghi più egocentrici e ambiziosi della storia della cardiologia: Christian Barnard.
A 45 anni Barnard ha già esperienze di trapianti di rene sull'uomo e di cuore su babbuini e cani. Il tempo di chiedere al povero signor Darvall il consenso alla donazione, di verificare la compatibilità dei gruppi sanguigni e, 12 minuti dopo la constatazione di morte cerebrale, il cuore di Denise vola dal suo petto in quello di Louis, malato di scompenso cardiaco terminale pochi metri e pochi reparti più in là. La storia di Barnard è affascinante: assetato di ricerca e di onore sembra volere rappresentare la fantasia degli scrittori che sempre precede quella degli scienziati. Il dottor Barnard impara dai dottori russi e americani e poi li batte sul tempo, contando anche su leggi sudafricane meno restrittive. Il primo trapianto cardiaco è un trapianto a km zero e avviene la notte tra il 2 e il 3 dicembre 1967; la notte del 21 dicembre Louis Washkanski muore, 18 giorni dopo aver ricevuto il cuore di Denise. Il secondo trapianto di Barnard verrà effettuato un mese dopo e il paziente sopravvisse più di 18 mesi. Al giorno d'oggi più della metà dei trapiantati di cuore va oltre 18 anni di sopravvivenza, grazie a un insieme di cure antirigetto. Si avvera ciò che forse abbiamo detto a qualcuno “Ti porto nel cuore!”. Il petto si risveglia con il cuore di un altro, un cuore diverso da quello con cui ci si è addormentati. Tutto il capitolo ha una grande forza narrativa, per esempio sull’importanza di conoscere i nomi e ripeterli spesso; anche Gianni Rodari viene chiamato in causa perché ha scritto una novella sulla forza creatrice dei nomi ripetuti. Rodari racconta il valore della ripetizione, la grammatica della fantasia, parole e nomi che agiscono solo quando ne incontrano altri.
Ma nella grammatica della creazione non c'è vita senza lotta, normalmente drammatica. In tutto questo c’entra la memoria, perché la ripetizione del nome è una forma di immortalità riservata agli uomini, come un rosario recitato in chiesa da una donna inginocchiata. E, a proposito di favole eterne, un cuore addormentato dentro un frigobar da picnic, pronto a ripartire alla scossa elettrica del chirurgo, rappresenta la versione moderna del principe azzurro e del suo bacio. Cos’è infatti un incantesimo se non la presenza di un essere spirituale dentro un involucro corporeo? Non c'è un atto medico più simile a una fiaba del trapianto di cuore. E allora la letteratura diventa una rivincita: se non possiamo sceglierci la vita possiamo però cambiare il modo di raccontarla, di reinventarla, di costruire i ricordi. Legami invisibili o, come le chiamano i fisici, le connessioni quantistiche per cui un incidente mortale diventa una nuova vita.
21 anni dopo la prima diagnosi fatta a Francesco con l'ecografia fetale il dottor Bronzetti è di guardia in reparto. Francesco viene ricoverato nello stesso ospedale dove è nato e dove è stato operato più volte al cuore. Sembra troppo tardi per un trapianto: il fegato i reni e i polmoni sono deteriorati dalla cardiopatia. È notte fonda e Francesco vuole chiedergli una cosa ma non a voce, anche se può parlare: la scrive sul cellulare, chiudendo gli occhi grandi e liquidi, mentre la madre è seduta ai piedi del letto. Da giorni il cuore non emette che l'ombra delle onde dopo più di 30 ricoveri e una dozzina di interventi di cui due al cervello. Scrive l’autore: “Francesco sente che neanche lo schianto d'auto più generoso può salvarlo. Francesco mi chiede di spingere l'acceleratore come Alain Delon sulla statale di Rimini. Francesco vuole entrare a occhi aperti nella sua prima notte di quiete”.