Jean Starobinski e la medicina

15 Settembre 2023

Jean Starobinski è una figura eclettica, in ragione della sovrapposizione dei suoi studi letterari e medici all'Università di Ginevra. Ancor prima di concludere la sua formazione come medico aveva fornito convincenti prove delle sue capacità analitiche e critiche con articoli pubblicati da importanti riviste, contenenti resoconti di opere di medici, filosofi, teorici e storici della medicina, analizzati con il filtro dei suoi studi letterari e classici. Per un breve periodo si è anche confrontato con l'attività clinica come specializzando nella clinica psichiatrica di Losanna, ma in seguito ha abbandonato la pratica medica vera e propria per inaugurare la sua carriera di insegnante di letteratura, di saggista e di critico. Riesce a rappresentare ciò che in prestigiose università, come la Columbia di New York, si è mantenuto da sempre e cioè quello di rifiutarsi di erigere una barriera impermeabile tra storia e filosofia della medicina da una parte e pratica medica dall’altra. In una conferenza tenuta nel 2001 aveva dichiarato "non sono specialista di niente o piuttosto cerco di essere specialista della non specializzazione, dell'allargamento del contesto verso ambiti diversi da quello della conoscenza medica, verso il paesaggio di fondo che il passato ci offre”.

Breve storia della medicina (Cortina, 2023) non è un libro accademico nel senso comune del termine, ma è una ricerca fatta con competenza e curiosità, una specie di piccolo viaggio attraverso la storia e le credenze che hanno caratterizzato l'evoluzione della pratica medica nei secoli. Pur essendo probabilmente scritto per il grande pubblico, il libro non è sempre di facile accesso e comprensione, però interesserà certamente i curiosi, gli studiosi che vogliono saperne di più per procedere con una ricerca più approfondita, una specie di Wikipedia della storia della medicina narrata con passione e precisione. Il libro poi presenta immagini straordinarie che nascono dalle conoscenze dei tempi e che sono prodotte da vari autori e prese da libri soprattutto a sfondo anatomico/chirurgico; questa parallela ricerca iconografica ha funzione aneddotica e decorativa e sembra essere stata imposta anche dall'impaginatore iniziale.

Il piano dell'opera abbraccia un arco di tempo della medicina occidentale che va dall'antichità all'epoca contemporanea, suddiviso in capitoli corrispondenti ad una cronologia classica: la medicina arcaica, dalla Grecia al declino del medioevo, il Rinascimento in medicina, il XIX secolo, la specializzazione, e infine un bilancio provvisorio del XX secolo basato su concetti ereditati dalla storia tradizionale e cioè il progresso, il declino, la scoperta, i “passi avanti”.

Nell'introduzione l'autore definisce la medicina contemporanea come la scienza di cui ci serviamo per agire direttamente o indirettamente sui processi che hanno luogo nel corpo umano. Si tratta di un sapere trasformato in potere. L'atto medico comporta perciò due aspetti: da un lato il problema del corpo e della malattia è oggetto di una conoscenza che non è diversa da quella che abbiamo acquisito sul resto della natura e l'organismo del paziente è allora considerato come una cosa vivente, capace di reagire secondo le leggi generali della natura; dall’altro lato il rapporto terapeutico si stabilisce tra due persone e, nel contesto di una storia personale, la medicina diventa in questo caso un'arte dialogica, in cui il paziente si presenta come un interlocutore e come una coscienza in stato di allarme.

Ciò che cambia nel corso dei secoli non è solo l'arsenale dei mezzi di cui dispone il medico, ma la figura stessa del medico e la natura del legame che lo unisce al suo paziente.

Le nostre conoscenze fondate sull'osservazione e l'esperienza tendono verso il più alto grado di esattezza compatibile con le fluttuazioni dei fenomeni della vita.

La medicina che Starobinski definisce “magico religiosa” è quella che è stata praticata più a lungo nella più ampia area geografica ed è tutt'altro che estinta nel mondo: ne è prova il successo attuale dei guaritori, degli astrologi, per non parlare delle preghiere e dei pellegrinaggi. Tutto questo è un buon indizio della precarietà della fiducia nella scienza.

L’autore indaga su questi fenomeni, lo spirito della magia così strettamente legato alle culture tradizionali prive della nozione del divenire storico. Dall’altra parte le conquiste possibili sono il risultato di una lotta perpetua contro gli errori trasformati in dogmi, al prezzo di una revisione costante dei metodi e dei principi filosofici della ricerca. Se la malattia è antica quanto la vita, la medicina è una scienza giovane.

Quello che contraddistingue la medicina arcaica è la suggestione di un evidente moto terapeutico radicato nell'istinto di conservazione, ma, fin dai tempi di Aristotele, si pensava che l'uomo possedesse una ragione certamente superiore rispetto agli animali, ma un istinto più debole. La medicina nasce quando la volontà cosciente cerca di procurare ai malati la guarigione e si sforza di trovare i mezzi che permettono di raggiungere questo fine.

Le pratiche terapeutiche oscillano sempre tra magia (che agisce attraverso l'individuo e lo libera da un ospite nefasto) e terapie medicinali vere e proprie. L'ausilio squisitamente empirico di alcune erbe o addirittura di alcune sostanze tossiche non ha tardato a fornire al rituale magico un'efficacia impressionante. D’altronde, un numero incredibile di principi attivi che utilizziamo ancora oggi era già in uso presso i popoli primitivi: curaro, mescalina, chinino, reserpina, cocaina, efedrina e così via. L'origine della malattia poi viene visto da diverse prospettive: una delle concezioni arcaiche della malattia fa di questa la conseguenza del peccato e la giusta punizione del disordine introdotto per mezzo di un comportamento irregolare nel sistema cosmico. La medicina riveste in questa prospettiva una funzione sociale e il suo obiettivo non è solo quello di eliminare la sofferenza del malato, ma anche quello di ricollocare nell'ordine collettivo un individuo che ne era uscito per sua colpa o per una inavvertenza.

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Nella ricerca dell’aspetto religioso legato alla malattia, l'autore distingue la preghiera espiatoria, quasi per placare lo sdegno del Dio superiore, dalla magia: mentre la preghiera si affida alla compassione di Dio, la magia tenta di raggiungere direttamente il genio maligno responsabile della malattia e di esercitare su di lui una coercizione vittoriosa. La preghiera religiosa chiede umilmente un intervento divino, la magia invece è un intervento umano; non bisogna credere che questi due atteggiamenti non possano coesistere simultaneamente e che siano incompatibili con l'uso di un'ampia farmacopea. Gli egizi conoscevano le proprietà di un gran numero di sostanze e di piante, erano maestri dell'arte di preparare medicinali e sapevano somministrarli in vari modi (pozioni, pomate, pillole, supposte e inalazioni) non senza ricorrere, nella scelta delle preparazioni, a fattori simbolici, come per esempio l'utilizzo del sangue di animali. La medicina cioè viene considerata efficace solo attraverso una sua consacrazione rituale.

Tutto induce a credere che in Egitto vi fosse una categoria di medici distinta da quella dei sacerdoti. Presso i principi e i notabili era d’obbligo la presenza di un medico esperto, tanto per preoccuparsi della salute dei padroni quanto per mantenere una nutrita truppa di subalterni e schiavi in uno stato tale da poter prestare servizio. Lo stesso valeva per gli eserciti e le grandi comunità di lavoratori impegnati nelle opere di irrigazione e di costruzione. La frattura ossea, la lussazione, l'ascesso sono lesioni visibili o attribuibili a una causa naturale e richiedono cure somministrate da un uomo esperto. Il papiro Edwin Smith (1550 a.c.) parla essenzialmente di chirurgia ed attesta la conoscenza esatta di un ampio numero di lesioni. In questo testo si scoprono osservazioni che ci permettono di apprezzare il senso della diagnosi e della prognosi. Praticata invece con un obiettivo probabilmente più religioso e affidata a specialisti privi di curiosità scientifica, l'imbalsamazione non ha prodotto alcun progresso del sapere anatomico.

La medicina indiana fornisce un ampio contributo alle conoscenze mediche; i testi più noti mettono in risalto come la salute risulti dall'equilibrio di tre principi: l'aria (che corrisponde al vento), il calore (che corrisponde al sole e che viene assimilato alla bile), l'acqua (che corrisponde alla luna e che viene assimilato al flegma dei greci). La pratica dello yoga e in particolare gli esercizi spirituali del tantrismo aiutano ad armonizzare le funzioni corporee e a favorire l'ascesa dello spirito.

I cinesi danno una grande importanza alla medicina, nonostante il medico non godesse degli onori e dei privilegi riservati ai mandarini o ai sacerdoti. La cosmologia è dominata dal principio della complementarietà tra yin e yang e la fisica dei cinque elementi (legno, fuoco, terra, metallo e acqua) porta a una fisiologia interamente deduttiva, in cui la salute è definita come l'equilibrio fra gli elementi per garantire il libero passaggio dell'aria nei canali del corpo. La medicina europea deve alla Cina un certo numero di rimedi: il rabarbaro, la canfora, l’efedrina e altre sostanze curative. Senza menzionare l’importanza dell’agopuntura, ancora ampiamente praticata oggi.

Nel viaggio attraverso i secoli e i continenti bisogna però parlare anche di Ippocrate, l'archetipo del medico per eccellenza secondo Platone: di lui non sappiamo quasi nulla, forse era originario di un’isola dell'Asia minore e ha viaggiato attraverso il mondo greco. Non abbiamo molte certezze sui trattati a lui attribuiti, ma è certo che la medicina da lui descritta richiede una conoscenza delle cause naturali che si può acquisire soltanto attraverso l'esperienza e il ragionamento. Il medico ippocratico cerca dei segni (nasce così la semeiotica) e questa ricerca si affida all'acume e alla sicurezza del colpo d'occhio clinico del medico. Starobinski fa un'ampia analisi dei trattati chirurgici e delle occupazioni principali della figura di medico descritta da Ippocrate, fino a concezioni molto moderne, come l'importanza della prognosi oltre a quella dell’osservazione e dell'ascolto. Ancora oggi ai neo laureandi in medicina viene richiesta la conferma del giuramento ippocratico, a testimonianza di una fama immortale.

L'autore continua poi attraverso la storia, studia personaggi come Esculapio, descrive l'importanza del metodo scoperto da Galeno, la scuola di Salerno (che deve molto a Costantino l’africano, allievo dei medici tunisini) e così via.

L’insegnamento della medicina si svilupperà nell'università di Bologna (dal 1156), Montpellier (1181), Padova e Parigi. Si attraversa il Rinascimento e le scoperte che portano alla fisiologia moderna. L’inizio del XIX secolo è stato il momento in cui il medico attento, armato dell'esperienza acquisita nel suo studio o in ospedale, poteva scoprire da solo nuovi quadri clinici e rendere immortale il proprio nome associandolo a una malattia.

A partire da questo periodo i tempi di applicazione pratica delle scoperte di laboratorio si sono stabilmente accorciati, grazie alla moltiplicazione degli intermediari e in virtù dell'intervento attivo e pressante di alcuni interessi commerciali; la scoperta scientifica tende sempre più a presentarsi come il risultato di uno sforzo collettivo; il ruolo dell'informazione scientifica diffuso dalle riviste specialistiche diventa significativo e la scienza medica si svilupperà come un'impresa planetaria. Negli ultimi capitoli leggiamo una carrellata necessariamente sintetica ma non meno interessante sulle scoperte scientifiche più recenti, sulla creazione delle specialità in medicina, sull’importanza della collaborazione tra medici e altri professionisti per alimentare il progresso. Mi sia consentita una nota personale sul mondo dell’“Imaging” che ha rivoluzionato diagnostica e specialità chirurgiche. Forse ci stiamo avvicinando alla visione di Cartesio:

 “potremmo liberarci da una infinità di malattie sia del corpo che dello spirito e forse anche dalla decadenza della vecchiaia se ne conoscessimo a sufficienza le cause e tutti i rimedi di cui la natura ci ha provvisto”.

Breve storia della medicina è in definitiva un libro non facile, non aggiornato sulle ultime scoperte (ma nessun libro lo può essere, visto la velocità delle nuove acquisizioni scientifiche) ma è anche una testimonianza della fatica che la medicina ha sperimentato nei secoli per essere riconosciuta come una scienza autonoma. In questo percorso, però, forse abbiamo perso l’identità della Medicina Occidentale, che dovrebbe comprendere anche la sua dimensione intrinsecamente filosofica, nella misura in cui essa si rivolge alle condizioni stesse della nostra esistenza.

In copertina, Rembrandt van Rijn, The Anatomy Lesson of Dr Nicolaes Tulp.

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