Fine della sanità pubblica

4 Ottobre 2023

Il Servizio Sanitario Nazionale potrà continuare a garantire cure gratuite a tutti? Il nostro sistema universalistico, basato sull’articolo 32 della Costituzione («La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»), regge ancora e potrà essere sostenibile nel prossimo futuro? Sotto finanziato, minato dalla crisi degli organici medici e infermieristici, alle prese con mille difficoltà malgrado la prova straordinaria che ha dato durante le fasi più acute della pandemia, il SSN è a rischio implosione. Aumentano le liste di attesa, anche per interventi importanti, i Pronto Soccorso esplodono, il territorio non risponde mentre i medici di famiglia sono sempre meno, così il ricorso al privato diventa una via spesso obbligata.

Salviamo il SSN è il grido che viene dalla sinistra, ma il sistema sanitario è già annegato nei debiti di chi ha deciso di affrontare il mare aperto senza strumenti adeguati; è vero, mancano i finanziamenti per elargire giusti salari e ogni avanzamento tecnologico, ogni nuova cura fa saltare il banco. Ma non è tutto qui: sarebbe troppo facile imputare a chi ci governa tutte le colpe del fallimento. Ci sono molte variabili impazzite: ci siamo trovati a costruire un modello di sistema delle cure non potendo, per una volta, copiarlo da quello americano che ha fallito fin dall'inizio come sistema universale; anzi gli Stati Uniti non hanno neppure un articolo nella loro costituzione che garantisce il diritto alla salute (mentre il diritto alla felicità sì!). Eravamo riusciti, negli anni ‘70, a costruire un buon modello, tanto da farcelo invidiare da altri Paesi. Ma il modello non era basato solo sulle leggi, certamente buone, ma soprattutto sulla professionalità e senso del dovere di tutti coloro che vi partecipavano. Le nuove medicine oltre alle nuove tecnologie penalizzano i bilanci: una iniezione endo-oculare per una cura della maculopatìa (non sempre efficace) costa più di 1000 € e quanti anziani (cioè le categorie più colpite da questa malattia) possono permetterselo? Quanto costano le cure? E quali riusciamo a garantire? Certamente tutte quelle costosissime legate alla cura dei tumori e qui è già un punto a favore del nostro SSN. Allora dobbiamo forse costruire un progetto partendo dal fine vita, dalla cura dei tumori, dalla cura delle malattie croniche? 

Alcuni punti da toccare per una nuova visione volta a salvare il salvabile del SSN sono: la governance e le tecnologie sanitarie; come si riducono gli sprechi in sanità; come misurare l’appropriatezza; dalla gestione del rischio alla sicurezza dei pazienti. Bisogna inoltre trovare strategie per modificare i comportamenti dei professionisti, mantenere alta la loro motivazione, acquisire modelli, teorie, metodi e strumenti per promuovere e mantenere il cambiamento professionale nelle organizzazioni sanitarie. Bisogna lavorare di più sul team working e sul team training.

Questi sono solo alcuni suggerimenti concreti.

Invece che fa la stampa (soprattutto quella dichiaratamente schierata a sinistra)? Pubblica settimanalmente articoli volti a individuare i responsabili di questo annunciato fallimento del SSN e il più delle volte questi sono i medici, ritenuti responsabili delle lunghe liste d'attesa, della mancanza di personale idoneo, della programmazione inefficiente. A titolo di esempio, sul quotidiano “la Repubblica”, agosto 2023, appare un articolo con questo titolo: “Io, dottore a gettone, guadagno più di un primario”. Pochi giorni dopo appare un altro articolo su una inchiesta dei NAS e il titolo è: “Liste di attesa congelate ma visita nel privato, denunciati 26 medici.” Come è noto, pochi hanno la pazienza di leggere con attenzione il testo e dal titolo si evince la responsabilità dei medici nel fallimento del SSN alla ricerca di facili guadagni

In realtà è la storia di chi si è stancato di lavorare nel Pronto Soccorso di un Ospedale pubblico, stipendio fermo al contratto del ’93 (dunque congelato da quasi trent’anni), molte ore di straordinario mai pagate, turni incompatibili con una serena vita sociale, frustrazioni continue. Ha fatto una scelta di vita che la Legge permette. Paga regolarmente le tasse. Soltanto guadagna molto di più e ha tanto tempo libero.

Ma dov’è il problema? Chi ha permesso che tutto ciò potesse accadere?

Queste sarebbero le domande da fare! Chi è responsabile di una mancata programmazione, della prevedibile carenza di medici e infermieri?

Questo vale per il medico ospedaliero, per l'infermiere professionale così come per tutte le altre figure ospedaliere; non c'è scritto il numero di ore di straordinario che sono state fatte soprattutto nel periodo del covid e che non sono mai state né mai verranno pagate perché “mancano i finanziamenti”. La progressione di carriera è sistematicamente bloccata da contratti nazionali di stampo vetero-ideologico e da sindacati che trasmettono messaggi del tipo “siamo tutti uguali e tutti devono sapere fare tutto, importante è garantire la presenza e la turnazione…” Sarebbe un discorso troppo lungo, ma da lì bisogna partire: capire perché i professionisti se ne vogliono andare via. Non era mai successo prima, non con questi numeri. Vediamo qualche numero del disastro annunciato: mancano 12000 laureati all’anno nel campo medico-sanitario e contemporaneamente, secondo l’OCSE, negli ultimi tre anni sono andati a lavorare all’estero 21397 medici e 15109 infermieri. In Italia gli infermieri sono 5,7 ogni mille abitanti contro la media europea di 9,4 e i loro stipendi sono mediamente inferiori del 23% rispetto agli altri Paesi.

La Classe Politica ha grandi responsabilità: da anni interviene con parole di sostegno ma con tagli sensibili alla spesa pubblica. La spesa sanitaria pubblica del nostro Paese nel 2022 si attesta al 6,8% del PIL, sotto di 0,3 punti percentuali sia rispetto alla media OCSE del 7,1% che alla media europea del 7,1% e le previsioni sono di una ulteriore riduzione. I governi di sinistra hanno illuso e deluso: abbiamo persino avuto un super commissario alla spending review che ventilava 10 miliardi di tagli possibili alla sanità, senza più intervenire per smentire o confermare. Il patto di salute che doveva essere alla base di un rinnovato rapporto tra Stato e Regioni non è mai stato firmato. Le dichiarazioni dei protagonisti oltre delegittimare le istituzioni fomentano un conflitto fra poli indeboliti con compromessi sempre più al ribasso e inevitabilmente scaricano le conseguenze del conflitto tra Governo e Regioni su Aziende Sanitarie e professionisti, ma soprattutto su pazienti e famiglie delle fasce economiche più deboli; in altri termini, mentre la Politica continua a sbandierare un sistema sanitario tra i migliori al mondo, la realtà della sanità pubblica italiana è ben diversa e necessita di un riallineamento degli obiettivi politici economici e sociali di Governo, Parlamento e Regioni per fornire certezze sulle risorse e attuare un'adeguata riprogrammazione sanitaria in grado di disinvestire realmente da sprechi e deficienze e riallocare i servizi essenziali e le necessarie innovazioni.

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E quando si tratta di ottenere elaborare e capire informazioni sanitarie e accedere ai servizi di salute in modo da effettuare scelte consapevoli, come dice l'Organizzazione Mondiale della Sanità, ci perdiamo facilmente; sappiamo poco sulla nostra salute, sul SSN, sul sistema di cure. Questo problema rende ancora più fragile il SSN perché non abbiamo sufficienti strumenti per capire dove ci portano certe campagne sulla salute e soprattutto certe scelte politiche che sembrano voler affossare il nostro SSN. Nel 2019 l'assistenza ospedaliera in Italia si è avvalsa di 1054 istituti di cura di cui 48, 8% pubblici e del rimanente 51,2% privati accreditati. Il 63,9% delle strutture pubbliche è costituita da ospedali direttamente gestiti dalle Aziende Sanitarie Locali, circa 10% da Aziende Ospedaliere e il rimanente 26% da altre tipologie (Istituti di ricerca, fondazioni etc). Dunque si capisce che pubblico e privato si equivalgono, ma non si capisce perché lo Stato debba accreditare e quindi finanziare una così alta percentuale di strutture private, non si sa e non è chiaro quanto costano in più allo Stato rispetto a quelle pubbliche. Pur senza voler dare risposte a questi quesiti, che richiedono ben altre competenze, viene facile citare Umberto Galimberti: “prima c'era lo stato sociale, poi è subentrata una mentalità aziendale in tutte le espressioni pubbliche italiane. Al centro dell'Ospedale non è più la salute ma il profitto o il costo: tale processo ha determinato una sorta di privatizzazione della sanità, una privatizzazione molto strana, perché i profitti sono nel privato e i costi sono nel pubblico. Questo scenario è aberrante! La salute è diventata un business e siccome la salute è carica di ansia perché evoca lo spettro della morte, è tra i business più immorali”.

Le responsabilità delle Aziende Sanitarie sono molteplici e vengono raramente messe al centro di una seria discussione (sia nella gestione economica che in quella organizzativa); per fare solo un esempio, il sotto utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie efficaci e appropriate che ritarda la diagnosi e forse la buona cura dei pazienti rischiando di aumentare le complicanze. Il sovraccarico di obblighi burocratici (che sottraggono tempo prezioso ai professionisti sanitari) in un contesto dove paradossalmente i costi del personale amministrativo rappresentano una consistente voce di spesa del SSN non si traduce in una buona collaborazione tra chi fornisce salute e chi dovrebbe supportare medici e infermieri nelle pratiche burocratiche. Spesso avviene l’opposto e la macchina amministrativa si protegge aumentando la burocrazia.

Gli sprechi sono ancor più evidenti nei setting ospedalieri e territoriali per i pazienti che hanno malattie croniche nei quali l’assistenza a livello di cure primarie va integrata con interventi specialistici e ricoveri ospedalieri. Semmai su queste teorie sono tutti d’accordo, ma in pratica queste dinamiche sono peggiorate.

Da ultimo le responsabilità dell’Università. Qui riprendo concetti cari a Sandro Spinsanti, psicologo, esperto in bio-etica: la Facoltà di Medicina da anni continua a fornire prestazioni formative inadeguate rispetto ai cambiamenti necessari e ai bisogni; prepara medici che non sanno lavorare insieme, non favorisce la costruzione di Team multi professionali e spesso non insegna un principio fondamentale della bioetica e cioè che la buona medicina non si può realizzare senza il coinvolgimento del malato nelle scelte che lo riguardano.

La variabilità personale complica molto le decisioni del medico e le regole deontologiche autorizzano il medico a rifiutare prestazioni professionali in contrasto con la propria coscienza; ciò implica però una complessa negoziazione sia con il malato stesso che con i suoi familiari. Qui entrano in gioco le cure palliative che dovrebbero essere il fondamento per una formazione umanistica della classe medica. L’Università, Facoltà di Medicina, invece continua a preparare medici spesso capaci dal punto di vista tecnico, ma che continuano ad essere carenti sul piano umanistico. Prendere ad esempio la medicina palliativa per rilanciare quel po' che rimane del nostro SSN non è un assurdo ma è una provocazione. Il rapporto medico paziente è profondamente cambiato, ma sembra che l'Università non se ne sia ancora accorta. Se il Sistema Sanitario muore ha bisogno di cure palliative!

Lascio la porta aperta alla speranza anche se vedo il Galata Morente e cito le parole di un’amica, Denise Vacca, medico palliativista che lavora in Sardegna: “Prendersela con ciò che non si può cambiare immediatamente ed in prima persona risolve solo uno sfogo, che sicuramente può servire alla consolazione del momento, ma non alla risoluzione dei problemi.

Salviamo ciò che dovrebbe essere intoccabile: nei diritti alla salute o all'assistenza che spesso sono oltraggiati da mancanza di risorse economiche e umane, da orari infiniti e vuoti di materiali e farmaci incolmabili, salviamo il rispetto alla dignità dell'altro, il privilegio di avere tra le mani un altro essere umano che dobbiamo/possiamo aiutare a stare meno peggio di come ci è stato affidato.

Curiamo le parole, gli sguardi, i tempi e i modi. Non mortifichiamo la fragilità di chi suo malgrado si ammala. Non diamo per scontato l'ovvio. […] Da operatori ragioniamo sul fatto che se un giorno siamo nervosi [per qualsiasi problema personale o] sei sotto stress per una personale situazione di salute o mille altre insondabili e ingiudicabili cose, non è comunque giustificabile una ripercussione negativa più o meno esplicita su coloro che abbiamo in cura.

Da operatori ragioniamo un secondo sul fatto che chi si ammala è lì, zavorrato dai nuovi problemi di salute ma con la sua storia personale.

Bisogna correre ai ripari dai fallimenti di assistenza e cura dove la sconfitta non è la non guaribilità, ma l'assenza di cura.” 

In copertina, fotografia di Brandon Holmes.

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