La verità, vi prego, sulla società
Ma insomma la società esiste o no? Fin dal titolo, il libro di Giorgia Serughetti (La società esiste, Laterza 2023) si pone nel solco di una critica del neoliberismo, contrapponendosi alla famosa affermazione di Margaret Thatcher (1987) che “la società non esiste” ma esiste solo l’individuo, “un arazzo vivente di uomini e donne e persone”. Solo loro esistono, individui e famiglie. Serughetti sostiene invece che la società non è mai morta, ma che si sono indeboliti i meccanisti di risanamento delle ingiustizie. Ma se la società esiste, perché non si difende dal mercato come aveva sostenuto Karl Polanyi in La Grande trasformazione (1944)? A metà strada fra scienza della politica e sociologia, fra stile giornalistico e riflessione accademica, il libro di Serughetti si propone di mostrare la presenza di segni vitali della società contemporanea nel discorso pubblico e nell’agire politico, come di un ritorno di ciò che è stato a lungo rimosso collettivamente e che riaffiora dalle fratture, dalle sofferenze e dai disagi sociali. Si tratta di “tracce che resistono”, segnali deboli da intercettare. L’obiettivo è dunque quello di identificare e di valorizzare le attività dei movimenti sociali, pur in un quadro di generale frammentazione degli interessi degli attori sociali. Il libro è organizzato in cinque capitoli.
Nel primo capitolo è contenuta un’analisi del rapporto altalenante fra società e Stato nel corso del Novecento fino ad oggi, ripercorrendo le tappe dell’avvento di un’ideologia neoliberista (fiducia nel mercato, libera concorrenza, meritocrazia, superiorità del privato rispetto al pubblico) e l’avvicinamento ad essa da parte degli eredi dei partiti di sinistra (con l’indicazione della famosa “terza via” formulata da Anthony Giddens), mentre si assisteva a una battuta di arresto dell’eguaglianza e dello Stato sociale. La crescita dei populismi illiberali avviene grazie alla capacità di intercettare lo scontento dei ceti medi, che sono (o si assume siano) contrari a politiche redistributive.
Il secondo capitolo si occupa di analizzare una serie di fratture sociali provocate dall’ordine neoliberista, fratture verticali fra la parte superiore della società, le élites, e la grande maggioranza appartenente alla parte inferiore; fra centro e periferia in senso orizzontale, fra l’io e gli altri in un contesto di depoliticizzazione della società e di individualizzazione diffusa.
Il terzo capitolo, intitolato “La politica senza società” affronta essenzialmente il tema del ruolo della critica femminista di prima e di seconda generazione nel tentativo di incorporare le istanze delle minoranze e la politica delle differenze nel “nuovo spirito del capitalismo”. Si considera il tema della politica dell’identità da parte di gruppi collettivi, vista come un’articolazione delle lotte per la giustizia sociale, entrando nel merito del rapporto fra identità e solidarietà.
L’obiettivo del quarto capitolo è di enumerare i segnali di una nuova politica, seguendo l’idea che essa stia rinascendo dal basso e che sia necessario porre l’attenzione su ciò che si muove in modo quasi nascosto, lontano dal clamore dei media, e che prende forma come conseguenza delle crisi che stiamo vivendo (economiche, pandemiche, ambientali); si parla di “insorgenze radicali” che nascono dal legame esiziale fra queste crisi.
A questo punto del volume, dopo una lunga disanima di carattere teorico su come il capitalismo abbia distrutto la società (ma allora se ce l’ha fatta, la società non esiste!), si crea un’attesa sui segni tangibili della sua ripresa, su quali siano le piste del ripristino della società e la riattivazione di quei meccanismi di prevenzione o di compensazione delle ingiustizie e delle diseguaglianze sociali.
Ma qui si incappa più in indicazioni prescrittive che in vere e proprie consistenze empiriche. Ad esempio, si dice quanto la pandemia abbia mostrato come nel capitalismo mal si combinino il lavoro produttivo con quello riproduttivo, e di come sia essenziale il lavoro di cura, che viene invece indebolito (tagli alla sanità) e quindi “ciò dovrebbe indurre a trattare le lotte femministe per la trasformazione del rapporto tra produzione e riproduzione”. Oppure, riferendosi alla crisi climatica, in gran parte determinata dal modello di sviluppo del capitalismo globale, si dice “tutto questo conduce alla necessità di disegnare alternative credibili alle impasse del capitalismo… e questo compito richiede uno sforzo inedito di unità”.
Solo a pagina 115 vengono finalmente segnalate tre esperienze di mobilitazione che testimoniano l’esistenza della società. La prima è quella della Gkn di Firenze, azienda di componentistica auto di proprietà di una multinazionale britannica, che diventa un caso virtuoso di resistenza operaia e sindacale ai licenziamenti, da cui scaturiscono attraverso il collettivo di fabbrica dei piani di stabilità occupazionale, di reindustrializzazione e di riconversione del sito produttivo in chiave di sostenibilità ambientale. Progressivamente la vicenda di questa azienda, tuttora in corso e che potrebbe diventare un modello di “fabbrica pubblica socialmente integrata” si trasforma in una mobilitazione ampia sul territorio e nel paese, divenendo un simbolo anche per l’attivismo ambientale e contribuendo idealmente a sanare il conflitto fra lavoro e ambiente. La seconda esperienza riportata è quella dei movimenti ambientalisti giovanili, come Fridays for Future, Extinction Rebellion, Ultima Generazione, che prendono avvio dalla spinta propulsiva di Greta Thunberg nel 2018 e che sono accomunati dal tema della giustizia climatica, che nasce da una lettura politica dei rischi ecologici e delle sue ripercussioni sulle diseguaglianze sociali. Qui l’autrice sottolinea la presenza di legami che questi movimenti stanno creando fra la questione ambientale e altri aspetti della modernizzazione sociale relativamente al lavoro, ai diritti delle donne e LGBTQ. Facendo leva sul concetto di intersezionalità (coniato nel 1989 da Kimberlé Crenshaw con un significato giuridico, applicato alla combinazione di discriminazione di sesso e razza) l’autrice apre alla terza esperienza riportata, che fa riferimento al movimento femminista Ni Una Menos e in particolare al primo sciopero generale femminista realizzato in Argentina nel 2015, come esempio di insorgenza politica di massa, e aperto a tutti coloro che ne condividano i principi e gli obiettivi, andando oltre uno schema identitario esclusivamente femminile e valorizzando una politica delle alleanze.
Si tratta di esempi rari di sommovimento sociale senza dubbio interessanti, per certi aspetti innovativi anche rispetto alle esperienze collettive della nostra storia passata, dai quali però non si precisano effetti generalizzabili, tali da poter affermare che sia in corso un ripensamento dell’ordine sociale, con un ruolo attivo delle istituzioni e delle politiche.
Il libro è nel suo complesso interessante e pieno di riferimenti alla letteratura, ma appare sbilanciato fra la lunga parte di critica teorica al neoliberismo e una parte ridotta dedicata ai movimenti che vorrebbero dimostrare una nuova vitalità della società. In altri termini, la parte destruens è prevalente sulla parte construens. Sarebbe stato forse più proficuo capovolgere l’ordine narrativo, partendo dagli esempi di realtà per poi dedurne in modo più coerente le implicazioni di un ipotetico avanzamento sociale e di messa in discussione del modello di capitalismo.
Che individualismo e società privata siano i cardini di questo modello, almeno in Occidente, non è dubbio. Reagire all’individualismo con il comunitarismo, è stata una proposta finora ambigua: non basta la “voglia di comunità” perché essa si affermi, anzi potrà affermarsi in modi-identitari, reazionari-che in certo senso continuano l’individualismo. Le “immagini di società” dominanti sin qui sono state del resto quelle (alla Bauman) della società liquida e della solitudine del cittadino globale. Occorre una “politica terrestre”, conclude Serughetti. Il meglio sin qui pensato su questa proposta, come in Bruno Latour, Dipesh Chakrabarty e altri, rappresenta un capitolo ancora da scrivere su cosa potrà significare una futura “società planetaria”.