Speciale

Le fontanelle di Paese

2 Giugno 2011

L’acqua ha sempre un potere magico e magnetico, attrattivo, una calamita che tiene insieme le nostre vite in una sete che ci accomuna, in quel cammino arso, nel deserto del reale, che è spesso la vita.

Quando rievoco la fontanella, ora ai margini delle nostre attività frenetiche, ridotta a elemento estetico, da decoro urbano, mi si stringe un po’ il cuore.

 

So che alcune Municipalità più pioniere e sensibili, hanno moderni distributori con acqua filtrata o gassata, fra l’entusiasmo un po’ fanciullo di qualche pensionato che rievoca il rito domestico, nel nobile gesto di attingere l’acqua fresca e giornaliera da portare in tavola.

 

L’indifferenza delle automobili che scorrono attorno alla piazza, dove è messa a dimora, è forse la cifra del nostro tempo: tutto ciò che è umile e onesto è una presenza mimetica, reso ingrigito, superato dai tempi e dall’abitudine. Mi sovviene la poesia di Aldo Palazzeschi, con la sua umanizzazione della fontana e la nostalgica rievocazione di calure estive, dove nel silenzio delle sieste, la fontana scandiva la sua presenza rassicurante, ma anche angosciosa nelle sue tonalità acquatiche, di ventre materno, breve singulto, di sgorgo di Terra.

 

Ecco, a me la fontanella, quando ne scopro alcune nelle grandi città, mi dà ancora quel senso di rassicurante ospitalità popolare, se vado a Klagenfurt so che c’è lo gnomo con il dito portafortuna e attorno vi scorre un senso di umanità viva e fluida, di affari e commerci, alternata nelle ere e nel tempo. Ciò mi ricollega anche ai meandri della storia, ai grandi temi di dar da bere agli assetati: siano essi animali, uomini o piante, problema di primaria importanza, spesso affrontato con opere che hanno superato i secoli, quindi meritevoli di riconoscenza e rispetto, oserei dire di venerazione.

La fontanella di Torre di Pordenone è il mio pantheon domestico, i miei Lari sono lì collocati, custoditi… in quella conservazione di purezza, di cristallina frescura, nella rusticità di un manufatto in sassi e pietra, nel sapore di acqua ferruginosa, dal classico odore di uova marce dato dall’acido solfidrico, cosa che ho scoperto studiando chimica.

L’acqua usciva allegra dai cannelli in ferro forgiato dal fabbro del paese, che eseguiva il lavoro ad arte perché sapeva che era la sua opera per i posteri, quindi ci metteva passione nell’esecuzione e cercava quella perfezione che faceva uscire l’acqua alla giusta portata e scorrevolezza..

 

Ai miei familiari piaceva fresca, dopo le ore trascorse a fare il fieno nei campi, o dopo le ore in fabbrica, quando tornavano stanchi. E a noi ragazzi non pareva vero scappare alla piazza, a casa c’era la pompa, ma era una faticata solitaria, in piazza l’acqua usciva senza fatica… ma soprattutto c’era l’incontro della sera, nelle ore migliori che volgono al tramonto… fatte di rientri a casa, di caldiere (paiolo) della polenta sul fuoco, di ragazzi vocianti e di scherzi rustici e sempliciotti…

 

Il nostro povero, quieto, immutabile mondo… che sarebbe cambiato nel giro di poco. Ci giungevano i racconti mirabolanti degli zii in Francia, di quelli delle Americhe e lì si parlava di balli, di vestiti belli, di donne che fumavano e con il rossetto, anche libere di lavorare, ma non alla filanda come le nostre povere e consunte madri, ma in quei bei posti dei ricchi… fare i lavori nelle case borghesi, guadagnare soldi, andare in villeggiatura con i signori, con bambine tutte riccioli e capricci… insomma un mondo mitologico che la fontana poteva solo ascoltare, un mondo invero un po’ peccaminoso. E la fontana lavava via tutto, le peccaminosità e i lividi fatti correndo sul selciato, un po’ selvaggi con le tenute estive braghette e canottiera, i sandali erano tutti uguali, o c’erano le ciabattine in plastica… perché in fondo eravamo sempre con i piedi nell’acqua.

 

La fontana e la piazza, che sono gli emblemi delle nostre vite in rustica semplicità, hanno un immenso segreto di storie e di racconti accumulati nel tempo, basta tirarli fuori da quelle pareti umide, nascoste da entità cavernose che custodiscono segreti di uomini e di cose.

 

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