La quarta rivoluzione / L’infosfera sta trasformando il mondo

15 Ottobre 2017

Descrivere le trasformazioni del presente è sempre un’attività particolarmente complessa. Lo è perché siamo immersi all’interno della mutazione, perché siamo parte di quell’evoluzione che caratterizzerà il nostro futuro. Ma lo è anche perché ci mancano spesso le parole per descrivere la trasformazione e quelle che usiamo si riferiscono a una semantica costruita sul tempo passato che tenta di afferrare “ciò che sarà” in tutta la sua inadeguatezza. E non si tratta di gettare la basi per la futurologia ma di avere gli strumenti per leggere e dire quello che ci sta attorno, per descrivere come le tecnologie della comunicazione e dell’informazione ci stanno cambiando, così in profondità da produrre un modo diverso di pensare a noi stessi.

 

Il libro di Luciano Floridi – filosofo all’Oxford Internet Institute – La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo (Raffaello Cortina Editore) rappresenta uno strumento di costruzione di una semantica nuova, di una vera e propria “ontologia della connessione”, una riflessione sistematica in cui ci si interroga sul senso delle ICT (Information and Communication Technologies) e i modi in cui sono diventate vere e proprie forze ambientali, antropologiche, sociali e interpretative. Si tratta, da una parte, del tentativo di costruire un lessico della civiltà iper-connessa attraverso concetti guida che sappiano orientare la forza rappresentativa e di significato che ha assunto l’evoluzione tecnologica con il digitale. Dall’altra della costruzione di idee utili ad un’antropologia filosofica che mostri la capacità dell’evoluzione tecnologica presente di produrre mondi di senso e utili a pensare ad una filosofia politica corrispondente.

La nostra è la prima generazione a sperimentare gli effetti dell’ondata di Big Data e della capacità delle tecnologie di conservare e trasmettere le informazioni attraverso soglie quantitative così rilevanti che si modulano, per opera delle ICT, in altrettanto rilevanti trasformazioni qualitative, secondo un riconoscimento digitale della logica hegeliana per la quale i mutamenti puramente quantitativi possono risolversi a un certo punto in distinzioni qualitative.

 

Tale distinzione qualitativa è caratterizzata da Floridi innanzitutto nell’ingresso nell’era – e qui troviamo la prima parola chiave che con la quale interpretare un accumulo di fenomeni come aspetti di un unico trend macroscopico – dell’iperstoria: “il progresso e il benessere dell’umanità hanno iniziato a essere, non soltanto collegati a, ma soprattutto dipendenti dall’efficace ed efficiente gestione del ciclo di vita dell’informazione”.  

Floridi fa dipendere quindi l’evoluzione dell’umanità – secondo un approccio mediologico – dalle infrastrutture di conservazione e trasmissione delle informazioni che traccia per sommi capi: da un primo salto evolutivo caratterizzato delle ICT della sumera Ur, fondate sulla scrittura in tavolette d’argilla, a un secondo salto evolutivo più di quattromila anni dopo rappresentato dalla stampa a caratteri mobili di Gutenberg a un aumento di capacità di processare, conservare e diffondere dati che l’ulteriore salto computazionale di Alan Turing ha prodotto. Se svuotiamo da una direttrice tecno-deterministica e da cesure nette tale evoluzione – sappiamo ad esempio come gradualismo e discontinuità nella storia della tecnologia rendano problematica tale prospettiva – l’era della iperstoria può essere descritta come l’ultimo stadio di un missile a tre stadi che caratterizza l’evoluzione umana: “la preistoria, in cui non ci sono ICT; la storia, in cui ci sono ICT che registrano e trasmettono informazioni ma le società umane dipendono principalmente da altre tipologie di tecnologie che riguardano le risorse primarie e l’energia; l’iperstoria, in cui ci sono ICT che registrano, trasmettono e soprattutto processano informazioni, in modo sempre più autonomo, e in cui le società umane dipendono in modo cruciale dalle ICT  e dall’informazione in quanto risorsa essenziale per la loro stessa crescita.” 

 

 

L’era dell’iperstoria è caratterizzata dall’affermarsi di “tecnologie di terzo ordine”, quelle in cui le tecnologie si connettono alle tecnologie attraverso altre tecnologie. È l’era della finanziarizzazione, in cui gli scambi di azioni vengono automatizzati e gestiti attraverso sofisticati algoritmi; di missili intelligenti capaci di colpire bersagli attraverso sistemi di puntamento automatizzati e feedback auto-regolativi; delle auto che si guidano da sole; della casa intelligente in cui la tecnologia domotica regola calore, luminosità, ecc.; in cui il nostro smartphone interagisce via wi-fi con il cloud.

 

Assieme al tempo è mutato anche lo spazio, strutturandosi in quell'infosfera che racchiude sia online che offline, sino a divenire un sinonimo della realtà stessa nel senso che, come sostiene Floridi, “ciò che è reale è informazionale e ciò che è informazionale è reale”. Il che comporta un processo di “datificazione” della realtà che ha forti o seguenti etiche e morali. Ad esempio diventa sempre più difficile l’atto di ignorare perché, da una parte, le stesse ICT consentono una raccolta straordinaria di dati che possono essere processati per produrre previsioni e, dall’altra, perché siamo continuamente esposti agli eventi che diventano comunicabili e visibili in tempo reale. E il fatto che possiamo sapere diventa sempre più evidente agli altri, in un modo tale che la conoscenza comune cresce all'interno di cerchie sociali sempre più trasparenti. Questo ha conseguenze circa la nostra responsabilità sociale, entro i confini paradossali creati tra un eccesso di trasparenza e una cura per la privacy, tra libertà e controllo:

“Quanto più ciascuna informazione è distante appena un click, tanto meno saremo scusati dal non averla ricercata. Le ICT stanno rendendo l’umanità sempre più responsabile, dal punto di vista morale, per il modo in cui il mondo è, sarà e dovrebbe essere. Ciò è in qualche misura paradossale, poiché le ICT sono anche parte di un fenomeno più ampio, per cui la chiara attribuzione di responsabilità a uno specifico agente individuale è diventata più difficile e controversa”. 

 

È la stessa esperienza di vita che si sta modellando in modo diverso attraverso una ormai da più parti analizzata continuità tra online e offline, attraverso un tracimare del mondo digitale in quello analogico, che avremo la possibilità di sperimentare sempre più nel celarsi delle interfacce, nell'ubiquitous computing, nella realtà aumentata, nell’Internet delle cose.

Floridi, nella costruzione di un suo lessico familiare all’epoca del digitale, descrive la nostra condizione come quella di una onlife. Le ICT – lungo i sentieri di Foucault – sono vere e proprie tecnologie del sé che modificano pratiche e contesti attraverso cui diamo forma a noi stessi. Il consistente numero di persone abituato a dare forma ai propri pensieri e gusti attraverso scambi continui nei siti di social network produce, secondo Floridi, “un’opportunità senza precedenti di essere responsabili dei propri sé sociali”, verso una direzione più consistente di consapevolezza individuale e collettiva.

 

Il tono usato da Floridi lungo il libro sembra collocarlo di diritto nella corrente dei tecno ottimisti – e lui stesso controbatte diverse tesi critiche trattandole come lamentele di “moderni Geremia”. Nel racconto pubblico dominante che descrive l’infosfera come un luogo di bolle informazionali, la vita connessa come caratterizzata da polarizzazioni online, di una rete che facilita la diffusione di fake news, la descrizione di Floridi può sembrare una narrazione consolatoria. Ma descrivere le trasformazioni del presente, come scrivevo all’inizio, è sempre un’attività particolarmente complessa e che richiede uno sguardo analitico allenato unitamente ad una vocazione antropologica che sappia andare al fondo dei mutamenti socio-culturali. Ed è questo il merito più evidente di questo lavoro – assieme all’estrema accessibilità delle argomentazioni: il libro vuole parlare al lettore non esperto, al cittadino dell’infosfera comune. Luciano Floridi mostra con lucidità e precisione come trasformazione tecno-comunicativa e trasformazione culturale risuonino e come sia necessario trovare una bussola descrittiva per le categorie diverse che la nuova filosofia dell’informazione propone, attraverso un lessico che deve essere rinnovato, per una condizione sempre più palpabile dell’era digitale in cui, per parafrasare McLuhan, noi tutti indossiamo la nostra umanità come una pelle, nel bene e nel male. 

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