Londra: parlare con l'assassino
Ingrid Loyau-Kennet, questo il nome della donna che ha parlato con l'assassino davanti al cadavere del giovane ucciso. Ragioni politiche, ragioni religiose. In altri casi ragioni passionali. Crimini per strada, in città, in campagna. Al di là del principio di piacere assistiamo a questo e altro. Solo Ingrid è riuscita a fermare per un decina di minuti il tempo.
Lei ha cercato di guardarlo negli occhi e calmarlo, ha fatto un corso speciale che le ha permesso di farlo? Qual è il suo lavoro?
No, no, no, faccio l'insegnante... Gli ho chiesto perché l'ha ucciso, mi ha detto che era un soldato britannico... che loro avevano gettato bombe contro i paesi islamici uccidendo ciecamente donne e bambini (Ingrid viene interrotta dagli intervistatori)
Cioè lei stava cercando di parlare con lui. Nel mentre cosa succedeva là intorno?
Gli intervistatori impongono un'ipotesi strategica. La donna ha fermato i malviventi giusto per prendere tempo e permettere alla polizia di catturarli. La donna risponde che ha parlato con un giovane, non sembrava drogato o esaltato, semplicemente gli ha raccontato le ragioni del delitto, lo ha fatto anche perché l'attenzione si concentrasse su di lei, vista l'enorme folla intorno, a poca distanza. Forse anche per evitare un linciaggio, il giorno della locusta. Chissà.
Ma la donna aveva visto un ragazzo che aveva ucciso un altro ragazzo, per ragioni che stanno molto al di sopra di loro, che riguardano altri morti, una reiterazione, e chissà quante ancora ce ne saranno. Ma lei parlava a un ragazzo, come un madre.
Questo è quel che manca alla società contemporanea. Ingrid lo ha mostrato. Una donna qualunque, di quelle che va di moda uccidere ormai quotidianamente da queste parti, ha affrontato un assassino, lo ha affrontato col dialogo, ha visto dentro quel volto impaurito e spavaldo un ragazzo che obbedisce agli ordini, che non sa più pensare con la sua testa. Lo ha guardato negli occhi, non ha avuto paura perché non ne aveva il tempo, ormai si era impegnata in un altro tipo di codici linguistici, quelli della madre.
Subito i media hanno travisato. L'hanno resa un'eroina, e lo è, ma non nel senso maschile. Nessuna strategia le passava per la testa, nessuna formazione all'intervento nei casi di emergenza, solo codici di accoglienza: “Come hai potuto farlo, spiegami, parlami, a quale ordine hai obbedito, perché ti sei assoggettato a questi discorsi criminali”, immagino che questi fossero i suoi pensieri in quel momento. O forse no, forse non c'erano idee chiare e distinte, c'era solo lo stupore di vedere, ancora una volta - questa volta direttamente, non per via televisiva - il sangue, le armi, la morte, l'assassinio. E ha guardato l'assassino negli occhi.
Un buco nello spazio mediale, un non senso subito corretto e riproposto nei termini di finalità cosciente, intenzione strategica. Come si fa a parlare all'assassino che ha appena compiuto un crimine terribile, con un revolver, un coltello da macellaio, e “una di quelle asce che ha il macellaio”, una mannaia, con le mani insanguinate. Era il più agitato tra i due, ma non sembrava sotto l'effetto di droga o ubriaco, sembrava un ragazzo normale.
Dalla parola di Ingrid riemerge l'antico dibattito sul criminale. Tra chi sostiene che il criminale deve avere tratti che possono far prevedere il crimine e chi dice che potrebbe accadere di uscir fuori di sé. Anch'io, anche tu, lettore. Qui però c'è da obbedire a un ordine, l'ordine di chi gli ha fatto credere che per sanare l'azione militare di una guerra contro donne e bambini bisogna uccidere chi ha obbedito agli ordini, e continuare il massacro all'infinito.
Ingrid sa che questa è follia. Una follia tornata in auge negli ultimi trent'anni, non quella del giovane assassino che obbedisce agli ordini di qualche gruppo terrorista, ma quella di chi gli ha dato l'ordine.
Possiamo fare una quantità di distinzioni tra questo episodio e quello dell'ennesimo assassino di donne che un giovane ha tentato di fermare qui da noi, o di decine, centinaia d'altri episodi. Ognuno è a sé, ma tutti hanno qualcosa in comune: il collasso dei codici affettivi materni. La fine del dialogo, grazie Ingrid per avercelo, con questo gesto, insegnato.