Speciale

Louise Glück al Golfo dei Poeti

29 Novembre 2022

Il 29 novembre Louise Glück, una delle voci più importanti della letteratura americana e non solo, Nobel per la Letteratura 2020, riceve il suo primo riconoscimento italiano, il Premio LericiPea-Golfo dei Poeti “alla Carriera”, che andò prima di lei, fra gli anglofoni, al quasi coetaneo Seamus Heaney. La premiazione avverrà in streaming e potrà essere seguita (alle 16) dalla pagina web del Premio. Louise Glück parlerà dal Consolato italiano di Boston, risponderà a domande, leggerà sue poesie.

In Italia ormai il Saggiatore ha pubblicato o ripubblicato cinque sue raccolte: L’iris selvatico, Averno, Ararat, Notte fedele e virtuosa, Ricette per l’inverno dal collettivo. Una scelta rappresentativa fra le tredici raccolte uscite dal 1968, che le hanno dato una fama insuperata nei Paesi di lingua inglese e valso il Pulitzer, il premio Wallace Stevens, la carica di Poeta laureata eccetera eccetera. E anche in Italia i lettori che già disponevano di L’iris selvatico (2003) e Averno (2019) prima del Nobel hanno fatto ammenda e almeno le recensioni hanno riconosciuto unanimemente il suo rilievo. “Nessuno ricorda Louise bambina” leggeva il titolo di una recensione che prendeva spunto da una poesia dell’ultima raccolta, queste Ricette uscite in Ameria un anno fa e da noi quest’anno, il primo libro dopo Stoccolma, piuttosto esile ma nondimeno memorabile. 

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Ricette per l’inverno… Louise è alle soglie degli ottanta, che compirà ad aprile 2023 (“Condivido un compleanno con Kant”, scrive da qualche parte). Nel 2014 era uscita la più ampia e complessa Notte fedele e virtuosa, sicché è possibile a chi legge in Italia disporre di tre raccolte del nuovo millennio, e in particolare di quella prima e dopo il riconoscimento che l’ha consacrata definitivamente (non tanto presso il pubblico americano, che praticamente ignora cosa sia e chi abbia ricevuto fra i connazionali il Nobel). Averno è un viaggio nell’oltretomba dopo l’11 settembre, Notte fedele un intreccio di storie personali e fittizie, d’arte e intimità, Ricette è il confronto con l’inverno della vita, metaforizzato ma anche diretto, poiché appare a tratti una sorella scomparsa. “Di’ addio a stare in piedi, / disse mia sorella. Sedevamo sulla nostra panchina preferita / fuori dalla stanza comune, sorseggiando / un bicchiere di gin senza ghiaccio. / Sembrava più o meno acqua, sicché le infermiere / passando sorridevano, / soddisfatte che ci stessimo idratando ben bene”. 

Umorismo nero, non estraneo a questa poeta laconica e stoica di origine ebraica. Elegante, diretta, impavida. “Sono nata tanto tempo fa. / Non c’è nessuno vivo / che mi ricordi da bambina…”. Il titolo è “Pensieri notturni”. “Che peccato che ho cominciato / a esprimermi a parole… Fin troppo presto mi sono rivelata / per quel che sono, / robusta ma acida, / come una sveglia”. 

Nelle sue raccolte, che possono essere lette come singoli poemi avventurosi, questi scampoli di (auto)biografia si intrecciano ad altre storie più o meno fantastiche. Chi legge deve tenere gli occhi aperti per seguire gli intrecci di testo in testo, cogliere i temi di fondo, la loro risonanza nella grande semplicità del dettato. Una semplicità lessicale americana, accompagnata da una egualmente americana auscultazione coscienziale, il viaggio nell’interiorità, l’ascolto del mondo naturale per cogliervi segni del destino.

“Era caduta della neve. Ricordo / musica attraverso una finestra aperta. // Vieni a me, disse il mondo. / Non voglio dire / che parlasse in frasi precise / ma che ho percepito la bellezza in questa maniera. // Alba. Una patina di umidità / su tutte le cose vive. Pozze di luce fredda / raccolte nei fossi. // Stavo ferma / sulla porta, / anche se ora sembra ridicolo. // Ciò che altri hanno trovato nell’arte, / io l’ho trovato nella natura. Ciò che altri hanno trovato / nell’amore umano, io l’ho trovato nella natura. / Molto semplice. Ma lì non c’era nessuna voce”. Eva nell’ambiguo paradiso e nel mondo in cui come diceva Milton dovrà trovare la sua strada. “Il mondo gli era tutto davanti”, The world was all before them. Dove “intraprendono il loro percorso solitario.” Non è cambiato nulla. Nemmeno la grandezza della poesia.

La lunga citazione era da “Ottobre”, la poesia che molto indirettamente fin dal titolo parla dell’11 settembre e che apre la raccolta Averno, che poi molto indagherà il ciclo delle stagioni, la crescita, la ragazza che diventa donna, il confronto con l’Ade, lo stupro e rapimento di Persefone. Tutto è misterioso ma vissuto sul proprio corpo o nella propria voce: proprio? In realtà Louise Glück spesso sfugge e il lettore comprende che chi gli si rivolge è (come diceva Dickinson) “a supposed person”. 

Una lettrice mi scrisse che aveva interrotto la lettura di Notte fedele e virtuosa quando si era accorta che a parlare nella lunga poesia eponima era un uomo che ricordava la sua infanzia (“La mia storia comincia molto semplicemente: potevo parlare ed ero felice”), e che la bandella avrebbe dovuto preparare i lettori a queste sorprese. In effetti nella quarta dell’edizione inglese si legge: “Eri una donna. Eri un uomo”. Ma il bello sta anche nello scoprire per conto proprio come procede il libro, quasi una forma sonata, con i temi che si alternano sorprendentemente. Si parla molto di notti e di cavalieri. E il titolo cosa significa? Nella traduzione italiana c’è una nota a piè di pagina per spiegare il gioco di parole nell’originale (night, “notte”, e knight, “cavaliere”). Scopriamo così la storia di un pittore inglese, i suoi ricordi, i genitori morti, la zia, i suoi grandi quadri banchi, il suo “assistente malinconico”, la sua analisi, il suo incontro al ristorante con un amico romanziere (“I suoi tanti romanzi, a quell’epoca, / erano molto lodati. / Si assomigliavano tutti”)… 

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Louise Glück disse in un’intervista di essersi appassionata ai romanzi di Iris Murdoch e di avere voluto scrivere anche lei un “romanzo” inglese. Che però così da solo (diviso pur su diversi lunghi testi) rischiava di non funzionare. Sicché entra un secondo tema più personale: “Stai camminando su tuo padre, disse mia madre, / e in effetti ero esattamente al centro / di un’aiuola erbosa, rasa così bene che avrebbe potuto essere / la tomba di mio padre, anche se nessuna lapide lo indicava. // Stai camminando su tuo padre, ripeté, / più forte questa volta, il che cominciò a sembrarmi strano, / perché anche lei era morta: perfino il dottore l’aveva detto”. 

Sempre questa strizzata d’occhio, questo controllo dell’emozione espressa. Nelle sue poesie ci sono molte persone che dialogano, proponendo e correggendo giudizi e interpretazioni. Sono dialogiche, anche perché Louise Glück afferma di sentire più vicine le poesie che implicano un “tu” personale, ci chiamano in causa direttamente, come fa Eliot dall’inizio: “Andiamo dunque tu e io, / quando la nebbia è sparsa contro il cielo / come una paziente sotto narcosi sopra un tavolo” (“Canto d’amore di J. Alfred Prufrock”). Non ama i poeti pubblici, i retori. E infatti la sua poesia, pur estesa e qua e là addirittura epica, ha caratteri minimali, non si lascia mai tentare da una rima o assonanza facile. Non le piacciono nemmeno le conclusioni troppo nette, il testo chiude senza batter ciglio con una frase dichiarativa, apparentemente non emotiva. “Non c’era vento. Il giorno d’estate / gettava ombre a forma di quercia sull’erba verde”. Basta dire, e sapere leggere per trovare la risonanza che, aggiunge Louise Glück, dipende in gran parte dal contesto. 

E così appunto in Notte fedele oltre al pittore innamorato di una canzone di Jacques Brel e alle visite oniriche alla madre appaiono dei brani in prosa, delle scenette allegoriche in terza o prima persona, fra cui Louise Glück sembra aver particolarmente caro “Un cammino interrotto in anticipo”: “Trovai le scale più difficili del previsto e così mi sedetti, diciamo, nel mezzo del cammino”. In the middle of the journey: non so quanto la citazione sia voluta. E il raccontino continua, il narratore (si tratta di un uomo) è trovato da una nonna e nipotina, e quest’ultima gli canta “la preghiera ebraica dei morti”. È un mondo misterioso che però si può dipanare nel racconto poetico rivelandone le sfaccettature sempre diverse. 

Louise Glück ha forse scoperto un suo modo nuovo, liberissimo, di fare poesia. Non mi vengono in mente raccolte simili alle sue, semplici e complesse, ricche di illuminazioni, narrative e intime eppure decantate ed essenziali, algide e passionali. “Quali che siano i materiali” dice, “l’atto del comporre resta, per il poeta, un atto, o condizione, di distacco estatico… Il poeta nello scrivere è insieme immerso nei suoi materiali e affrancato da essi: le circostanze personali possono generare l’arte, ma l’atto vero e proprio di fare arte è una vendetta sulle circostanze. Per un breve periodo, l’ordine naturale è rovesciato: l’artista non più agito ma agente; l’ultima parola, per il momento, strappata al caso… Nessun processo che io possa dire sconfigge così completamente l’autorità dell’evento”. Libertà, dunque, e creatività. “Distacco estatico”. Non le piace definirsi “poeta”, perché è una condizione imprevedibile che esiste solo quando nasce la voce e la scrittura. “Alla fine della mia sofferenza / c’era una porta”. 

È l’inizio di “L’iris selvatico”, la poesia iniziale ed eponima della sua raccolta forse più famosa. Louise Glück racconta che questi due versi l’hanno ossessionata a lungo prima che sapesse cosa venisse dopo. Scoprì che a parlare era… l’iris selvatico. “Sentimi bene, ciò che chiami morte / io lo ricordo”. Nascono così quei sorprendenti dialoghi in un giardino del New England fra fiori, giardiniera e il grande Giardiniere… Forse era dall’età barocca che la poesia non creava intrecci simili. E si sa che la cultura americana è rimasta legata al Seicento dei Padri. Alla Bibbia. Gli intrichi limpidi di Louise Glück ricordano questa tradizione e sono liberi da ogni preoccupazione colta. Certo, appaiono Freud, Kant e Tutti insieme appassionatamente, ma solo perché fanno parte per caso del quotidiano. Un caso che diventa necessità solo perché il poeta lo fa suo, e domina. Perfezione formale, tocco sicuro, sono altri caratteri della poesia di Louise Glück. Non c’è tentennamento, anche se spesso si corregge mentre va avanti. Conduce il gioco. Anche per dire la fragilità. 

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La sua volontà di sperimentare è ancora una volta dimostrata dal libro più recente, pubblicato in questi giorni, Marigold and Rose. Sono delle prose, come al solito sintetiche dirette e sorvegliate, in cui si racconta dei primi mesi di vita di due gemelline, a cui sono attribuiti ragionamenti di ogni genere. “Marigold stava ancora leggendo. Naturalmente non stava leggendo; nessuna delle gemelle sapeva leggere: erano bebè. Ma abbiamo vite interiori, pensò Rose”. Louise Glück sta omaggiando le sue nipotine che vivono lontane in California, ma ciò nondimeno il testo nella sua lucidità diventa intenso e rivelatore come tante sue altre pagine. Guardare, scrivere, leggere. Lo stupore ci attende. E la tenerezza.

Sempre molto precisa nel suo programmarsi, Louise Glück ha mandato un elenco delle sette poesie che vorrebbe leggere durante la consegna del Premio LericiPea alla Carriera. Alcune si trovano nel libretto I poeti del LericiPea 2022, edito per l’occasione da Interlinea, con il suo beneplacito. Ma non tutte. Si parte con “Il papavero rosso” da L’iris selvatico: “Il bello / è non avere / una mente. Sentimenti: / oh, quelli li ho; mi / governano. Ho / un signore in cielo / chiamato sole, e mi apro / per lui, mostrandogli / il fuoco del mio cuore, fuoco / come la sua presenza…”. Fiori antropomorfi, il creato che si spiega, a noi anche: “Oh miei fratelli e sorelle, / eravate come me una volta?”. Direi che lo siamo. 

Seconda poesia: “Prima della tempesta”, da A Village Life, sorprendente raccolta rurale del 2009 ancora da tradurre. Sarà una sorpresa, con le sue visioni di campagna, mare e notte che tutto cambia. Calata nella contemporaneità più smagata, Louise Glück fa poesia con i materiali di sempre. Scopre nuovi territori. Rappresenta la libertà che distingue la poesia da ogni altro genere. Tutto è possibile, dicibile, in quegli attimi di “controllo estatico”. Terza poesia, “Incroci”, anch’essa da A Village Life, un congedo dal corpo con cui la poeta si è confrontata così a lungo e combattivamente (anoressia da ragazza): altro interlocutore. 

Poi, da Averno, “Le migrazioni notturne”, gli stormi di uccelli che i morti non possono più vedere. “Mi dico… che forse già non essere basta / anche se è difficile immaginarlo”. Quindi “Un cammino prematuramente interrotto”, la prosa-kaddish di cui ho già parlato, per chiudere con due intense poesie da Ricette: “Pomeriggi e prime sere”, ancora sulla morte di una persona cara, gli ultimi momenti di normalità trascorsi insieme, e “Canto”, l’ultima breve poesia della raccolta. 

“Canto” sembra poco musicale, salvo che alcune delle strofe non si chiudono col punto, un segno minimo che la descrizione letterale diventa metaforica: “Leo Cruz fa delle bellissime ciotole bianche”, comincia. “Penso che devo fartene avere qualcuna / ma come non si sa / di questi tempi” (e il punto non c’è). Non si sa. Di questi tempi. Lasciamo che il “canto” risuoni.  E continuiamo a leggere queste… bellissime ciotole bianche che Louise Glück è riuscita nonostante tutto a farci avere, “di questi tempi”. 

DUE POESIE

Crocevia

Mio corpo, ora che non viaggeremo più insieme per molto
incomincio a provare una nuova tenerezza per te, molto immatura e insolita, 
come quel che ricordo dell’amore quando ero giovane – 

amore che era tanto spesso stupido nei suoi obiettivi
ma mai nelle sue scelte, le sue intensità.
Troppo chiesto in anticipo, troppo che non poteva essere promesso –

La mia anima è stata così paurosa, così violenta:
perdona la sua brutalità.
Come se fosse quest’anima, la mia mano passa su te cautamente,

non volendo offendere
ma desiderosa, finalmente, di realizzare l'espressione come sostanza: 
non è la terra che mi mancherà,
sei tu che mi mancherai.

da Louise Glück, A Village Life (2009), traduzione di Massimo Bacugalupo.

Pomeriggi e prime sere 

I bellissimi giorni dorati quando tu saresti morta fra poco, 

ma potevi ancora iniziare con chiunque una conversazione casuale,
casuale ma anche ragionata, dunque le impressioni del mondo 

ti stavano ancora formando e cambiando,
e la città era tutto uno splendore, poco affollata nell’estate, 

anche se ormai tutto avveniva più lentamente –
boutique, ristoranti, una piccola cantina con una tenda a righe,
una volta c’era un gatto che dormiva sulla porta;
faceva fresco là, nell’ombra, e pensai
che mi sarebbe piaciuto dormire di nuovo così, non avere nella mente
neppure un pensiero. E più tardi mangiavamo polpo e saganaki,
il cameriere sbriciolava l’origano in una tazzina d’olio – 

Che ora sarà stata, le sei? Così quando uscivamo faceva ancora chiaro
e tutto si poteva vedere per quel che era,
e poi salivi in macchina –
Dove sei andata poi, dopo quei giorni,
dove anche se non potevi parlare non eri perduta? 

da Ricette per l’inverno dal collettivo (2021), traduzione di Massimo Bacigalupo, Il Saggiatore, Milano 2022.

Louise Glūck, americana, quasi ottantenne, Premio Nobel per la letteratura 2020, riceverà il 29 Novembre 2022 il premio LERICIPEA GOLFO DEI POETI “alla Carriera”, prezioso riconoscimento assegnato, nel corso dei suoi 69 anni, ai più grandi poeti del mondo. Da quattro anni il Premio ha come partner SanLorenzoyacht, per volere di Massimo Perotti: “un’alleanza” all’insegna dell’eccellenza nel Golfo dei Poeti, a dimostrazione della possibilità di un’alleanza fra la grande imprenditoria aziendale e la Cultura che produce plus valore anche per i territori. 

Nell'immagine di copertina, Gluck, Louise © Katherine Wolkoff [RIG HTS CLEARED BUT CREDIT PHOTOGRAPHER.

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Il Articolo doppiozero È bastato un fiammifero. Ma al momento giusto è stato aggiornato.

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Letteratura / Libri

Averno di Louise Glück / È bastato un fiammifero. Ma al momento giusto

Gianni Montieri

28 Settembre 2020

Una delle domande fondamentali, se non la domanda unica ed essenziale, posta alla base di Averno di Louise Glück (Liberia Dante Descartes e Editorial Parténope, 2020, traduzione di Massimo Bacigalupo) è sul cosa accadrà dopo la morte. Non il solo quesito sul dove si andrà (ammesso che si vada da qualche parte); Glück va oltre e si chiede cosa ci faccia l’anima nell’aldilà senza le cose più care. A che scopo dovrebbe esserci un’ipotetica vita dopo la morte se a questa mancheranno le cose terrene? Ecco il punto, la novità del contenuto di Averno. A tutto ciò va aggiunta la straordinaria capacità della poetessa americana di tenere il verso in pugno, di dominarlo, di far cantare le parole sul serio. Averno è luogo mitologico e affascinante, non molto distante da Napoli. Gli antichi romani credevano fosse l’accesso all’oltretomba, Glück passa attraverso la porta, e se ciò che si lascia è bello, è storico, è naturalmente potente, quasi magico, allora andare oltre sarà doloroso, nostalgico, duro. Questo distacco è raccontato poesia dopo poesia in questa raccolta che è magnifica.

“Questo è il momento in cui vedi di nuovo / le bacche rosse del sorbo selvatico / e nel cielo scuro / le migrazioni notturne degli uccelli. // Mi addolora pensare / che i morti non le vedranno […]”.

Averno è un libro centrale nella ricca produzione di Louise Glück – parliamo di più di 15 libri di poesia, tra cui L’iris selvatico, vincitore del Premio Pulitzer e pubblicato in Italia da Giano edizioni nel 2003 – una raccolta di cui gli appassionati aspettavano la traduzione in italiano da molti anni. Scrivo questo pezzo e ripenso al momento esatto in cui mi capitò tra le mani l’edizione originale, esposta in una libreria di Amsterdam, aprii una pagina a caso e fu amore a prima vista.

Il mito, dicevamo, la prima poesia che parla della migrazione notturna degli uccelli. Gli uccelli vanno e noi stiamo, soli, pronti per l’inferno, sull’uscio. Da lì comincia la discesa agli inferi, il precipitare che interessa all’autrice, che appartiene a tutti noi. Una delle poesie più belle è la seconda, siamo a ottobre, il mese d’inizio dei misteri eleusini, perciò compare Persefone che da qui in avanti tornerà in parecchi riferimenti del libro, alternando origine mitologico e pieno quotidiano. Il lettore oscilla dentro e fuori, tra vita e morte, tra mitologia e racconto ordinario.

Immagine rimossa.

“La luce è cambiata; / ora il do centrale ha un suono più cupo. / E le canzoni del mattino suonano troppo studiate. // Questa è la luce dell’autunno, non la luce della primavera. / La luce dell’autunno: non sarai risparmiata […]”.

Il ricorso al classico – come nota anche José Vicente Quirante Rives nell’ottima postfazione – non è di maniera ma funzionale, è parte del controllo statico (e magmatico) che alza l’architettura di Louise Glück.

È un libro che nasce dal disagio, dalla frattura (e dove se non sul lago vulcanico si possono contare le fratture?), dall’insoddisfazione di sé. Averno è doloroso, aspetta il lettore, non lo va a cercare. L’autrice americana parla di ferite aperte, non le nasconde ma non le ostenta, ci conduce negli inferi che siamo noi stessi, le nostre case, le nostre fughe, i nostri ritorni mai compiuti.

Poesie fatte di sogni, di violenza e d’amore, di prove superate e da superare. Poesie sulle colpe e sullo stare bene. Poesie che annullano il confine tra bene e male, che lo ristabiliscono, che lo annullano di nuovo.

I versi sono infuocati, scorrono come la lava che scendeva dal Vesuvio. Persefone, l’Ade, ma noi soprattutto e le cose che lasciamo. Ti mancherà ciò che è con te per sempre recita un verso del poeta Franco Scarabicchi, Glück invece ci dice che tutto mancherà perché tutto resta altrove, non può seguirci se non nel ricordo, nel pianto, nel sentimento. Con noi nell’oltre non verrà niente e tutto starà nel meno, nel nulla, nella non appartenenza.

“Il compito assegnato era innamorarsi. / I dettagli dipendevano da te. / La seconda parte era / includere nella poesia certe parole, / parole tratte da un testo specifico / su un argomento affatto diverso”.

Il dolore è però filtrato dalla luce, quella dell’autunno che è diversa da quella dell’estate, non più debole solo malinconica, diversa. Qual è il nostro Averno, la soglia da attraversare o da non varcare? Il coraggio ce lo dà la poesia, la purezza e la musica di questo libro, il trovarsi contemporaneamente ai tempi di Ulisse e ai giorni nostri. La poetessa affonda a bassa voce, approfittando del silenzio del lago, dell’acqua che non va da nessuna parte ma che da qualche parte è giunta fino a chiudersi in un cerchio a pochi passi dal vulcano.

Glück meriterebbe la traduzione italiana dell’intera opera e speriamo che possa accadere presto.

“Dimmi che questo è il futuro, / non ti crederò. / Dimmi che sto vivendo, / non ti crederò”.

Un’estate dopo l’altra è finita, scrive e poi la violenza mi ha cambiato. Non le fa bene che questa fine sia come un balsamo e che le faccia bene ora. In un contrasto, un dubbio continuo, un’equivalenza difficile da raggiungere, stanno le poesie e noi. Siamo pronti a guardare gli uccelli migrare di notte e a non avere paura?

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