L’ultima rovesciata di Pelé
Edson Arantes do Nascimento, detto Pelé, era nato nel 1940 a Tres Corações nel Sudeste brasiliano. È morto il 29 dicembre 2022 per un tumore al colon, che è riuscito a curare per oltre un anno. Per la FIFA è stato Football Player of the Century nel Novecento: a lui si è aggiunto soltanto Diego Armando Maradona, argentino. Due calciatori che facevano valanghe di gol spettacolari: Pelé in tutto ne realizzò 1.283, soprattutto nella squadra dove indossò la maglia numero 10, il Santos di São Paulo. Nessuno mai al mondo ne ha fatti sinora altrettanti. Tarcisio Burgnich, coriaceo terzino dell’Inter e della Nazionale italiana, di lui disse dopo la finale persa ai Mondiali 1970: «Prima della partita mi ripetevo che era di carne ed ossa come chiunque, ma sbagliavo».
Pelé, così amabile
Lui e Maradona non si sono mai piaciuti. Maradona voleva oscurarlo, e non ci è riuscito: Diego ha ancora molti adoratori, e la recente vittoria ai Mondiali 2022 dell’Argentina lo ha riportato in gloria. Ma la vita di Pelé, dopo la carriera sportiva, è stata bella, senza ombre. Fu ambasciatore ONU, UNICEF, UNESCO. Nel 1995 fu nominato in Brasile Ministro straordinario per lo sport: la sua "Legge Pelé" abolì il cartellino dei calciatori professionisti, ognuno diventò padrone di se stesso senza più vincoli; i club calcistici furono trasformati in imprese private; restò in carica sino al 1998; in quegli anni presidente della FIFA era il brasiliano João Havelange, contro cui Pelé più volte si scagliò accusandolo di lobbismo e corruzione.
Si dice che sia lo sportivo più celebre al mondo di tutti i tempi, con Cassius Clay /Muhammad Alì: come il pugile afroamericano ha voluto dare un contributo anche alla società del suo tempo. Pelé non si è mai mostrato arrabbiato, non ha mai sposato cause radicali, e nel 1968 in Colombia, mentre i suoi compagni menavano l’arbitro Guillermo Velasquez che lo aveva espulso durante una amichevole con la nazionale colombiana, lui cercava di fermarli. Il pubblico si rivoltò: l’arbitro uscì dal campo e lui rientrò dagli spogliatoi.
Amore, amore e amore, per sempre
Sul suo profilo Instagram nelle ore successive alla morte è stato pubblicato questo post: «L'ispirazione e l'amore hanno segnato il viaggio del re Pelé, serenamente scomparso oggi. Nel suo viaggio, Edson ha incantato il mondo con il suo genio nello sport, fermato una guerra, realizzato opere sociali in tutto il mondo e diffuso quella che più credeva essere la cura per tutti i nostri problemi: l'amore. Il suo messaggio oggi diventa un'eredità per le generazioni future. Amore, amore e amore, per sempre».
11 milioni di likes, 309.000 commenti istantanei. L’amore: questo comunicava Pelé con il suo meraviglioso sorriso. L’amore per lo sport, per i suoi aspetti di passione e di condivisione, per il suo potenziale formativo di bambini e ragazzi. Possiamo dire che Pelé abbia contrassegnato forse l’ultima stagione in cui la celebrità sportiva non si mescolava troppo con l’immorale vertigine dei compensi agli atleti. Una specie di era virginale dello sport, certo conclusa con la fine del Novecento. Qualche pin dei suoi sponsor già Pelé, in verità, se li portava sulla giacca, ma nessun ragazzino (con i suoi genitori) l’ha voluto mai emulare per la sua ricchezza, per i suoi pettorali palestrati, per la moglie pin-up, per il jet privato: volevano dribblare come lui, fare gol con sforbiciate e rovesciate come lui.
Il «fermato una guerra» è controverso. Gennaio 1969 (e non il 1967 che Pelé ricordava nelle interviste): il Santos fa una tournée di amichevoli in Africa; in Nigeria era in corso la guerra civile con il Biafra; lo staff di Pelé ricordava che fosse stato dichiarato per 2 giorni un cessate il fuoco in occasione della partita amichevole a Lagos con la Nazionale nigeriana. In una intervista Pelé disse: «I nigeriani ci assicurarono che i Biafrans almeno non avrebbero toccato Lagos mentre eravamo lì. Ricordo un’enorme presenza militare per le strade e grande protezione da parte dell’esercito e della polizia durante il nostro soggiorno in Nigeria. Il clima era molto pesante». Quindi, il “menino de rua” nato nel Minas Reais non riuscì a fermare una guerra, ma portò due giorni di pace.
Menino de rua
Su di lui sono stati realizzati tanti documentari, tra gli ultimi quello visibile su Netflix. Ma è stato il film di John Huston Fuga per la vittoria del 1981 a consegnarlo alla gloria: nella Parigi occupata dai nazisti viene organizzata una partita di calcio tra una selezione di prigionieri e la nazionale tedesca; la Resistenza francese e gli ufficiali britannici pianificano la fuga della squadra dopo l’incontro. In tribuna odiose SS e odiosi generali della Wermacht si esaltano anche per le scorrettezze dei loro atleti ai danni dei giocatori alleati. Pelé becca un sacco di calci negli stinchi e pugni nello stomaco, ma non molla, e dribbla, dribbla, scarica, triangola sino all’epico gol in rovesciata.
Dopo i giorni della camera ardente nel suo stadio di São Paulo verrà inumato in un cimitero considerato come il più alto del mondo, nel quartiere Santos; da lì, sotto si può vedere l'Estádio Urbano Caldeira. «Non sembra un cimitero, trasmette pace e tranquillità spirituale» disse Edson dopo aver acquistato i loculi per sé e la sua famiglia. Lì avrà molto cielo per volare con le sue rovesciate.