Post-gastromania? / Dieci anni di immaginario gastronomico

23 Giugno 2019

È da tempo che non si guarda in faccia il piatto per chiedergli la verità, per apprendere se il contadino è ricco o povero e quanto vino ha l'oste in cantina, per conoscere gli umori di chi ha cucinato, se triste o felice, per sapere, con sontuosa aderenza etimologica, se ha sapore, se il sale sala e soprattutto quanto sazierà e delizierà il palato. 

Tutta colpa della gastromania, un'esplosione di cuochi d'artificio che ha scomposto tutto, persino il cannolo conservatore, che ha destrutturato la zuppa del contadino e sferificato lo Spritrz; Masterchef, l'anno zero della nuova vita, prima un proliferare di cuochi timidi e riservati, bruttini e provinciali, dopo solo Cracco, Cracco, Cracco; ante Masterchef fanciulli con aspirazioni da astronauta, post Masterchef alla Bocconi si è preferita l'Accademia di Pollenzo; ante Masterchef la cucina, il sapore di aglio e le lacrime delle cipolle erano roba da donne, da massaia, da cuoca, post Masterchef, quando lo spignattatore si è eretto a giudice e la cucina è diventata il regno del potere, improvvisamente se ne sono appropriati gli uomini. Gastromania e il mondo in fila a Expò 2015 per parlare delle cavallette fritte e vivere lo spettacolo mirabolante del cibo che si fa circo. Cucine risuonanti di sifoni e cannelli, forni silenti e tv sempre accese e lo chef cerca la ribalta, avanza in prima fila e dalla sala arriva sul palcoscenico e ancora fino alla tribuna politica.

 

Di gastromania e, soprattutto, di post-gastromania racconta il libro del semiologo Gianfranco Marrone Dopo la cena allo stesso modo. Dieci anni di immaginario gastronomico, edito da Torri del Vento, una raccolta di articoli che profetizzano la fine dell'invasione barbarica di cuochi star e infernali, il passaggio che dalle Cucine da incubo ci lascia nelle braccia rassicuranti di Cannavacciuolo, la fine del cibo spettacolo per lasciare il posto a un po' di sana e buona verità.  Un libro acuto, ironico, pieno di intuizioni felici, ma soprattutto di letture precise che mettono a nudo la società italiana, provincia dell'impero, alle prese con una moda ossessiva, quella per "il discorso sul cibo" – e non per il cibo – che ha investito il Paese negli ultimi dieci anni, un auspicio di ritorno al buon senso.

 

 

Un titolo liturgico, che enfatizza la retorica altisonante della gastromania, ma che immediatamente ne annuncia il prossimo declino, un'ultima cena, il canto del cigno, pronti a ritornare al confortante rituale che si ripete identico da millenni e che esprime gratitudine al pezzo di pane che ci sfama tutti. 

La selezione di Marrone non segue un ordine cronologico, ma di urgenze, ed è presentata al lettore in due parti, la prima sottotitolata "Foodies" raccoglie le riflessioni più recenti, le radiografie delle mode più esasperate, dall'infondatezza culturale del km zero («Le stelle, ricordiamolo, le attribuisce un produttore di pneumatici» scrive Marrone), all'avanzata sul proscenio del cuoco stellato, passando e facendo una sosta d'obbligo per indagare la complessa rete di significati di Masterchef. Un viaggio nell'immaginario italiano in trasformazione che cerca di ridisegnare il suo villaggio gastronomico, alle prese con bevande al surrogato di qualcosa, di caponate fatte con il dado che diventano battaglie per l'identità nazionale, una sosta nei luoghi che cambiano, negli Autogrill che diventano spazi utopici all'interno dei quali il desiderio non si soddisfa mai, ma anzi cresce a dismisura. Si chiude con un capitolo di pura e necessaria antropologia "Siamo tutti cannibali", sintetico pamphlet sull'essere umano che diventa magnifico quando ripone in tasca il razionalismo e si affida al mito e alla magia. Marrone chiama in causa Lévi-Strauss e Calvino e tira un colpo da maestro: «Mangiare l'altro è prassi quotidiana: metaforica forse, ma non per questo meno fondamentale. L'uomo è ciò che mangia, ma ciò che mangia è sempre un'alterità che egli riduce, trasformandola, a se stesso». Vegetariani e vegani senza assoluzione.

 

La seconda parte del libro è un'osservazione al microscopio di quello che accade in Sicilia, la regione dell'autore, e si intitola, infatti, Chez moi. Nella ragione dove il cibo è sul santuario da sempre e dove la pianificazione del pranzo e della cena è l'unica estrinsecazione della progettualità ("che mangiamo oggi per pranzo?" è la domanda che segue il risveglio), l'indagine di Marrone diventa manifesto identitario, fuori dalle mode e dentro i tabù. Si guarda in faccia il marketing che non disdegna di sfruttare la mafia come brand per gastropadrini, e la retorica dei prodotti coltivati nelle terre confiscate ai cattivi (chi non li apprezza è colluso!), si indaga l'uso e abuso del cibo da strada, si racconta l'Expo dalla prospettiva Siciliana (metafora interessante che fa il paio con il primo degli articoli "Cucina politica") e si snocciolano tutti i grani antichi siciliani con le relative proprietà taumaturgiche, la risposta isolana all'avanzata dei celiaci (fatta la legge, trovato l'inganno!). 

In ogni capitolo un riferimento bibliografico o cinematografico, chicche specifiche che vien voglia di leggere o di guardare, possibilmente ordinando, senza sensi di colpa, cibo cinese sotto casa.

C'è anche una terza parte a chiusura del libro,"Gusti e disgusti", una raccolta di foto scattate dallo stesso autore in giro per il mondo che – per provare di non essere affetto da gastromania, ma al massimo di classificarsi come un portatore sano, o forse, per citare un aggettivo a lui caro, un gastromane "dilettante" – si è autoimposto solo scatti di materie prime, niente figure umane, ma soprattutto niente piatti impiattati. Il cibo da vicino, uno Zibaldone (Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento) visivo che mostra come alla lente di ingrandimento il disgusto possa affiorare da luoghi insospettabili.

Leggere Dopo la cena, allo stesso modo è terapeutico e liberatorio, è come il check-up per l'ipocondriaco che passa in rassegna tutte le malattie da cui teme di essere affetto e scopre – almeno per un attimo – che invece è sano come un pesce, che è guarito da tutto, salvo dall'ossessione per le sue manie che presto torneranno a bussare.

 

Dopo la cena, allo stesso modo. Dieci anni di immaginario gastronomico, di Gianfranco Marrone, Torri del vento Edizioni, pagg.187, euro 15,00

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