Un'officina del design / Il mondo di Poggi

13 Marzo 2020

La storia del design italiano, di quel good design apprezzato in tutto il mondo, come è noto, non è stata scritta soltanto negli studi degli architetti e dei designer, nei libri e nelle rassegne che ne hanno celebrato i progetti, ma anche nelle botteghe, nelle officine e nei laboratori di quei produttori lungimiranti e coraggiosi, tanto artigiani, quanto industriali, che hanno creduto nella bellezza e hanno investito nel futuro. Tra di essi, si annovera anche la ditta Poggi, sulla cui attività e sulla cui storia è da poco uscito il libro: Il mondo di Poggi. L’officina del design e delle arti, a cura di Roberto Dulio, Stefano Andrea Poli, Fabio Marino, Electaarchitettura (pp. 160, € 32,00).

Preceduto dall'omonima mostra, curata nel 2016 dai medesimi autori e tenutasi negli spazi degli Archivi Storici del Politecnico di Milano, in Bovisa (se ne legga notizia qui ), il volume ha anche il merito di contenere il regesto dell'intera produzione Poggi. Redatto consultando l'archivio dell'azienda, presenta disegni e fotografie degli oggetti da essa prodotti, puntualmente descritti in agili schede, utili per le datazione dei pezzi e per una loro corretta attribuzione, essendo essi ormai entrati a far parte della storia del design e del mondo del collezionismo.

 

Pagina pubblicitaria tratta dalla rivista Domus, nr. 315, febbraio 1956, riproducente il tavolino Cicognino TN6, progettato da Franco Albini per Poggi nel 1953. La poltroncina PT1, detta Luisa, in omaggio a Luisa Colombini, per vent'anni segretaria di Franco Albini, progettata dal maestro milanese tra il 1950 e il 1955, vincitrice del Compasso d’Oro 1955. Sdraio a dondolo, progettata da Franco Albini nel 1938 in tubolare metallico per la propria abitazione e poi perfezionata con struttura lignea per la produzione da Poggi tra il 1942 e il 1959.


La piccola bottega di falegnameria, tradizionalmente dedita alla realizzazione di arredi su commissione, fondata a Pavia all’inizio del secolo scorso da Luigi Poggi, negli anni trenta, viene indirizzata da suo figlio Carlo alla costruzione di arredi più 'moderni', in linea con le nuove tendenze artistiche, sebbene ancora eseguiti in pezzi unici (alcuni documenti aziendali al vaglio degli storici attesterebbero addirittura una sua collaborazione con Giacomo Balla). Saranno, poi, i suoi figli, Ezio (1928-1962) e soprattutto Roberto (1924) a trasformarla, a partire dalla fine del decennio successivo, in un laboratorio artigiano di eccellenza della produzione in serie, ancorché limitata a numeri a due cifre (raramente qualche prodotto ha raggiunto il centinaio di pezzi). Si trattava di arredi lignei firmati da importanti designer, in primis da Franco Albini, con cui collaboreranno fino alla sua morte, da Franca Helg e poi da Achille e Pier Giacomo Castiglioni, da Ugo La Pietra, da Corrado Levi, da Vico Magistretti, dal giovane Renzo Piano, da Afra e Tobia Scarpa, da Marco Zanuso, da loro stessi in qualità di progettisti e da altri ancora.

Roberto Poggi, che oggi ha novantasei anni, così ha raccontato in un'intervista da lui rilasciata nel 2016 a Davide Tremolada:

"Io sono falegname. Tutto è cominciato con il mio amico Pirovano, con il quale facevo roccia, che doveva sistemare la sua casa in montagna [trattasi dell'Albergo Rifugio Pirovano a Cervinia]. Per la ristrutturazione gli avevano consigliato un certo architetto Albini.

Anche mio papà era falegname, ma aveva prodotto in serie solo incubatrici per un amico che allevava polli. 

A partire da questo lavoro l'architetto Albini ha stabilito con noi una sorta di esclusiva per la produzione dei suoi mobili in legno.

Vede i listelli di quest'anta? Vede come si incrociano? E per far sì che l'anta non si imbarchi, sono ricavati tutti dalla stessa tavola. 

La prima sedia che abbiamo deciso di produrre in serie fu la numero 832 del nostro catalogo, diventata famosa come "la Luisa" che ha vinto il Compasso D'Oro nel 1955. Noi siamo arrivati ad avere quaranta dipendenti e siamo gli unici, con Flos, ad essere stati proposti negli anni'60 nel negozio C&B di Via Durini” [si riferisce al negozio inizialmente delle famiglie Cassina e Busnelli, poi solo Cassina]. 

 

Un giovane Roberto Poggi ritratto con un collaboratore mentre lavora alla poltrona Luisa di Franco Albini. Roberto Poggi nel 2014 seduto sulla poltrona PL19, detta Tre pezzi, progettata nel 1957 da Franco Albini con Franca Helg.


Ciò che connota tutti gli arredi usciti dalla bottega Poggi, a partire dagli anni cinquanta, fino al 2010, quando ha cessato l'attività, è la maestria insita nell'estrema precisione con cui essi sono eseguiti e nella cura quasi maniacale riservata ai dettagli, in quell'elevata qualità ebanistica, insomma, erede dell'alto artigianato proprio della tradizione manifatturiera lombarda. Come ha dichiarato Roberto Poggi, nell'azienda si è sempre scelto di realizzarne tutte le parti componenti di un mobile ricavandole dalla medesima tavola, congiungendole, laddove necessario, con incastri e rispettandone le venature. Per questo motivo Franco Albini l'ha prediletta, concedendole l'esclusiva per la produzione di tutti i mobili da lui disegnati, alcuni in collaborazione con Franca Helg. 

Così oggi Vittorio Prina, il primo ad essersi occupato di Roberto Poggi fin dal 1991: “È stato più volte sottolineato quanto Roberto Poggi non sia stato un esecutore inerte delle idee e dei disegni che gli architetti gli affidavano per la produzione dei loro mobili, quanto un interlocutore capace di influenzare il processo progettuale, di suggerire modifiche e affinamenti grazie a una profonda conoscenza delle caratteristiche dei materiali e dei processi di lavorazione.” 

A chi, un giorno, ha domandato al Poggi quanto fosse determinante per la realizzazione di un nuovo pezzo un buon disegno di progetto, egli ha ribattuto esprimendo il medesimo concetto che ho più volte udito ripetere anche da mio padre: “Provocatoriamente rispondo che la cosa più bella è non disegnare. In ogni caso dipende dall’intesa che c'è tra due persone: lo schizzo in genere contiene la provocazione iniziale, o un dettaglio. Il prototipo, invece, è assolutamente indispensabile: a volte si fanno prototipi di parti dell’oggetto, dove si suppone ci sia qualche carenza, oppure dove la forma non ‘reagisce’ opportunamente. Si analizzano i possibili punti critici del progetto per una verifica strutturale ed estetica: è un continuo andare e tornale dall’idea progettuale al prototipo e viceversa, una continua ricerca incrociata. Questo processo  di chiarificazione e risoluzione fa sì che analizzando i novanta pezzi prodotti, posso affermare che tutti sono stati mantenuti esattamente come erano nati, non hanno mai avuto bisogno di modifiche. Pensi alla libreria LB7 di Albini del 1957, ha ancora gli stessi componenti, le stesse viti, il pezzo di ricambio è identico al primo che è stato prodotto.”

Simili osservazioni sulla non sufficienza di un disegno tecnico per la buona riuscita di un pezzo di design da produrre in serie, oggi, in piena epoca di impiego di AutoCAD negli studi professionali e di macchine 'a controllo numerico' nei laboratori, sembrano paradossali, ma era così che si procedeva nelle falegnamerie prima dell'avvento dei computer. Non bastavano il disegno tecnico ed il modello (per il quale esistevano addirittura apposite officine, si pensi a quella di Giovanni Sacchi, entrata nel mito, dove è transitata tutta la storia del design milanese e non di quegli anni, oggi egregiamente sostituita da quella del suo allievo Filippo Zagni), ma erano assolutamente necessari anche i prototipi. Ed essi dovevano essere più d'uno, rigorosamente "faits à la main". Si procedeva, insomma, per successiva approssimazione, fino al conseguimento del risultato finale che, a quel punto, rasentava davvero la perfezione. Solo allora si poteva dare il via alla produzione serializzata, senza più alcun margine di errore. A differenza del modello, che poteva anche essere in scala ridotta, il prototipo aveva le dimensioni effettive, calibrate "al millimetro", di quello che poi sarebbe stato il prodotto finale. Ricordo che anche nella bottega di papà era questa la fase più lunga e la più delicata, ma anche la più appassionante. Potevano volerci addirittura settimane per lo studio di un semplice dettaglio costruttivo, ed erano necessarie ore ed ore di serrato confronto tra progettista e falegname prima di pervenire al risultato, a quell'ambito premio della fatica, da cui spesso sortivano autentici, inalienati, capolavori. 

Ed è proprio grazie a questa prassi consolidata se Vico Magistretti si poteva permettere di affermare: “Nel design ciò che conta è il concetto espresso con uno schizzo”. Egli, infatti, come si sa, non ha mai eseguito disegni tecnici, ma soltanto schizzi che racchiudevano in sé l’idea, esattamente come sostiene Roberto Poggi, ma se non ci fossero stati i prototipi, non gli sarebbe stato possibile. 

A riprova di quanto detto, Magistretti affermava pure: "Design vuol dire parlare assieme." 

 

Alcuni schizzi tratti dall'archivio Poggi: a) Vico Magistretti, studi di sedie, 1978 e studi di mobile contenitore, 1984; b) Idem, schizzi della sedia SD75, 1985; c) Idem, schizzi per sedia Barbettis, 1981; d) Marco Zanuso, schizzi per sedia e tavolo, 1974; e) Renzo Piano, studio di sistema a moduli ambientali 69PG robot suono luci informazione, 1969.


Accanto alla loro precisione esecutiva, alla raffinatezza dei dettagli e all'arditezza tecnica, un’altra prerogativa connotava molti degli arredi realizzati dalla ditta Poggi: il loro essere completamente smontabili. Con grande anticipo su Ikea, e con una qualità di gran lunga superiore, la Poggi ha realizzato i suoi mobili consegnandoli al cliente in confezioni di scarso ingombro che li contenevano pronti per essere riassemblati seguendo semplici istruzioni contenute in un foglietto illustrativo. In alcuni casi venivano addirittura forniti, insieme a viti e bulloni, anche gli attrezzi per il montaggio. Si procedeva fotografando il mobile completamente scomposto, disponendone in buon ordine su un piano le parti componenti. Scritte esplicative alfanumeriche fornivano i ragguagli su come procedere per assemblarli correttamente.

 

Ditta Poggi, arredi per il Rifugio Pirovano a Cervinia, progetto Franco Albini e Gino Colombini, 1950-51; il logo della ditta Poggi nella sua ultima versione, progetto grafico di Antonio Boggeri, 1970; Ezio Poggi, Roberto Poggi, scrivania P4 smontabile, con fotografia dei singoli pezzi componenti, 1954; Franco Albini per Poggi, tavolo TL2 Cavalletto, inserzione pubblicitaria su Domus, n. 312, novembre 1955; volantino pubblicitario della ditta Poggi con la libreria LB52 Uno sull’altro di Ugo La Pietra (1970) e la sedia Golem di Vico Magistretti (1968 circa), progetto grafico di Ennio Lucini.


Il libro dedica ampio spazio anche al rapporto di Roberto Poggi con l'arte e con gli artisti. Allievo del Politecnico di Milano, questi non termina gli studi di Architettura a causa della prematura morte del padre che rende necessaria la sua presenza in ditta, a Pavia, a fianco del fratello. Ciò nonostante, in lui la passione per l'arte non viene meno, anzi, si rinfocola durante la partecipazione dell'azienda alle Triennali, che gli offrono l'occasione di entrare in contatto con molti artisti e di stringere duraturi legami di amicizia con alcuni di essi.  

Sono tutti giovani e Milano tra la fine della guerra e gli anni cinquanta è una città doviziosa di stimoli creativi. Accade così che Roberto, acceso dal fuoco del collezionismo che non lo abbandonerà per tutta la vita, sebbene inizialmente squattrinato, si ingegni iniziando la propria raccolta con lo 'scambiare' i mobili da lui prodotti con i quadri degli amici artisti. È in questo modo che ha preso avvio quella che è oggi una notevole collezione, arricchitasi, di anno in anno, di nuove, importanti acquisizioni. Tra le opere conservate nella sua casa museo ve ne sono di Rodolfo Aricò, di Aldo Bergolli, di Roberto Crippa, di Sergio Dangelo, di Gianni Dova, di Renato Guttuso, di Wilfredo Lam, di Ennio Morlotti, di Mauro Reggiani, di Bepi Romagnoni, di Emilio Vedova, oltre a quelle di molti altri artisti.

A guidare le sue scelte è stata sempre la sua sensibilità, la stessa che lo ha portato ad avvicinarsi ai maestri del design con i quali ha collaborato per tutta la vita, pronto a tradurre nelle tre dimensioni i loro disegni con quella capacità straordinaria e con quell'innato senso estetico che hanno fatto di lui un protagonista di primo piano del mondo del design.

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