Un'inchiesta (parte III) / Tre domande sull'antifascismo oggi: Benvenuto, Ferrario, Zinato

28 Febbraio 2018

Per provare a interrogarci e confrontarci sull'antifascismo oggi abbiamo posto ad alcuni intellettuali e collaboratori queste tre domande, a cura dello storico Claudio Vercelli. Pubblichiamo oggi tre ulteriori risposte (qui e qui le prime: Valerio, Cortellessa, Manera; Lagioia, Sarchi, Inglese).

 

1.

Perché si dovrebbe continuare ad essere antifascisti se è vera l’affermazione, che si fa assunto di senso comune, per cui destra e sinistra sarebbero due distinzioni che non hanno più motivo di esistere? Se invece continua a sussistere una linea di differenziazione tra i due aggregati, quali ne sono le discriminanti in senso antifascista?

 

2.

Se l’antifascismo non si è esaurito, in cosa si deve allora sostanziare? Allo stesso tempo, se il fascismo non è mai del tutto scomparso, sotto quale natura e con quali aspetti si manifesta oggi?

 

3.

Prova a legare alla parola «fascismo», in successione, secondo una scala decrescente di pertinenza, questi cinque termini; ciò facendo ne deriverà quelli che per te sono i tratti salienti e prioritari in cui esso si sostanzia: A) razzismo; B) populismo; C) sovranismo;  D) identitarismo; E) [termine a tua scelta, da scegliere al di fuori dei quattro già indicati; es: nazionalismo]

 

Sergio Benvenuto

 

1.

Il fascismo travalica l’opposizione sinistra versus destra, dato che esiste un forte antifascismo di destra (Churchill, de Gaulle, Adenauer, von Hayek, ecc.). Il fascismo è la più giovane tra quelle che un tempo si chiamavano ideologie, e che oggi si chiamano narratives, le quali hanno dominato e dominano la coscienza etico-politica del mondo ebraico-cristiano, detto anche Occidente. Le altre “narrazioni” sono la visione “caritatevole” e solidarista cristiana, il liberalismo del free market che risale ad Adam Smith, la visione democratica che risale a Rousseau, il marxismo e altre forme di socialismo. Queste cinque Grandi Narrazioni si sono certo intrecciate in combinazioni particolari – ad esempio, quella liberal-fascista del Cile di Pinochet, quella socialista-fascista della Corea del Nord di oggi – comunque esse non sono riducibili alla dicotomia sinistra/destra. Non dimentichiamo che il fascismo nasce come un’escrescenza del socialismo: Mussolini era un socialista massimalista, e il nazismo era nazional-socialismo

Nel mondo occidentale molti concepiscono ancora le differenze politiche secondo l’asse sinistra-destra, ma altri cercano di pensare una politica secondo altri assi. Provano a situarsi fuori di questo asse figure che più diverse non si possono concepire, Emmanuel Macron e il Movimento 5 Stelle italiano ad esempio. In molti paesi le differenze politiche sono inassimilabili a questa griglia, ad esempio in Russia, in Ucraina, in quasi tutti i paesi africani e islamici. Ma siccome il fascismo prospera nei paesi occidentali, esso quindi si auto-interpreta secondo l’asse sinistra/destra. Invece il partito Baath arabo, ad esempio – di cui Bashar al-Assad di Siria è un residuo – che è una variante araba di fascismo, non si è mai dichiarato di estrema destra.

Va detto che gran parte della cultura di sinistra oggi è profondamente influenzata da filosofi, pensatori e scrittori che sono stati organici al fascismo e al nazismo, o loro collaboratori. Oggi pensatori come Martin Heidegger, Carl Schmitt, Arnold Gehlen, Giovanni Gentile, Ernst Jünger, sono pilastri di molto pensiero della sinistra radicale. Per non parlare di scrittori che sono particolarmente cari a chi si schiera a sinistra (anche a me): T.S. Eliot, L.F. Céline, E. Cioran, K. Hamsun, E. Pound e tanti altri ancora. D’altro canto alcuni autori che si dicevano di sinistra – tra i quali Pasolini – sono entrati nel Pantheon della cultura di estrema destra. Che cosa rende tanti autori di estrema destra così attraenti per gran parte dell’intellighentzia di sinistra? Lo dico non perché si abiurino questi autori, ma perché se ne analizzi la vera attrattiva. Il pensiero filo-fascista ha contribuito non meno di quello dichiaratamente di sinistra a dare forma alla cultura del XX secolo, bisogna ammetterlo ci piaccia o meno. 

Dico questo non per dire che, in fondo, il fascismo e certo anti-fascismo siano molto più affini di quanto non sembri. È che la cultura di sinistra finora non ha mai compiuto una vera auto-analisi che le permetta di capire perché ha subito l’enorme influsso degli intellettuali di estrema destra.

 

2. 

Oggi l’antifascismo, di sinistra e di destra, si caratterizza per una scelta molto semplice: a favore della democrazia pluralista. Per fascismo intendiamo non solo un forte nazionalismo, anche e soprattutto l’idea di un Leader che operi svincolato dal controllo democratico. Non basta però essere antifascisti: l’anti-totalitarismo non è meno essenziale. Anche Stalin era antifascista, ma non era certamente democratico. Per quel che mi riguarda, tengo molto a completare il mio antifascismo con l’antidispotismo, insomma con l’ideale democratico, pur rendendomi ben conto dei limiti e delle fragilità della democrazia. Questa talvolta ama suicidarsi, mandando al potere Mussolini, Hitler, Orbàn, Erdogan… Forse mi illudo, ma mi aggrappo alla democrazia come a un rottame che potrebbe salvarmi nella catastrofe del Titanic della storia.

Il fascismo, nato un secolo fa, non è mai scomparso. Anche se ha avuto alti e bassi, come qualsiasi altra filosofia popolare. Esso è ormai entrato nelle possibilità dell’Occidente come una delle sue narratives di base, insomma, si troveranno sempre dei giovani pronti a convertirsi al fascismo. Come si troveranno sempre giovani pronti a convertirsi al marxismo, al rousseauismo, al liberismo… 

Oggi nei nostri paesi il neo-fascismo assume la forma di xenofobia o di razzismo: il sentire fascista sembra oggi soprattutto un sentire anti-immigrati. Bisogna però dire che molti paesi hanno optato da molto tempo per una politica che esclude l’immigrazione, ad esempio il Giappone, e non li consideriamo fascisti per questo. Perché il Giappone si considera sovra-popolato, e ha puntato sempre sulla piena occupazione. Talvolta ragioni demografiche molto semplici giustificano la chiusura all’immigrazione. Ma nel caso del fascismo xenofobo, prevale una ragione del cuore, non-economica: conservare la purezza degli autoctoni. Una purezza puramente immaginaria, perché ogni popolo europeo è il risultato di una miscelazione secolare di razze. 

 

3.

Escluderei razzismo e populismo. Il fascismo di Mussolini non era razzista agli inizi, le leggi razziali del 1938 furono effetto dell’influenza di Hitler sul duce. D’altra parte molti razzisti credono nella democrazia. Quanto al populismo, Ernesto Laclau ha dimostrato che è un concetto confuso, dato che ogni nuovo movimento politico nasce, in un certo senso, populista. 

Sceglierei identitarismo, di cui il sovranismo è una conseguenza. L’idea di fondo – che anche molti di sinistra accolgono – è che ci sarebbero identità culturali. È quel che Gehlen (non a caso intellettuale organico al nazismo) espresse con l’enunciato “la cultura è la natura dell’uomo”. Ora, la psicoanalisi ci insegna una cosa essenziale: tutto ciò che appare identità è solo identificazione. La pratica analitica non sarebbe possibile se prendessimo i nostri analizzanti come aventi delle identità. L’identità è sempre un’alienazione. Credere di avere un’identità – italiana, cinese, cattolica, atea, di sinistra, ecc. – è congelare se stessi in un significante. Diciamo “sono un vero italiano” solo perché ci siamo identificati al significante ‘italiano’, e prendiamo come sue qualificazioni una serie di cliché connessi a una certa immagine (prefabbricata, stereotipica) di italianità. L’identità nazionale è una farsa, che però finisce col produrre tragedie. Il fascismo storico è una farsa che si ripete come tragedia.

Come quinta attribuzione qualificante, che metterei subito dopo l’identitarismo, propongo: modello del guerriero. Se una donna è fascista, si sente guerriera. È vero che anche la sinistra ha i suoi santi guerrieri – Garibaldi, Trotzkij, Che Guevara, il subcomandante Marcos, ecc. – ma il guerriero di sinistra è venerato in quanto si batte per la Causa. La Causa del guerriero fascista è invece essenzialmente essere guerriero. È vero che la sua Causa è la patria, ma la patria viene investita nella misura in cui essa è un popolo guerriero. Era il sogno di Mussolini: trasformare gli italiani da popolo di musicisti da ristorante in un popolo di combattenti. La patria che il guerriero fascista serve è la patria nella misura in cui si batte. 

In ogni fascista c’è la tentazione di Don Chisciotte, di essere un guerriero che deve inventarsi nemici, fossero mulini a vento. Ma i Don Chisciotte, per non rendersi ridicoli, producono le catastrofi peggiori. Chi è stato più donchisciottesco di Hitler?

Nella misura in cui gran parte dell’arte e della letteratura occidentali è un inno alla guerra, possiamo dire che essa è in gran parte fascista: dall’Iliade ad Apocalypse Now, dal ciclo di Re Artù alla Corazzata Potemkin, dalla Gerusalemme liberata a Salvate il soldato Ryan... 

L’etica del guerriero implica che non si disprezzi l’avversario: più questi è valoroso, più è allo stesso livello di me guerriero, più è un onore battermi con lui. Non è così nella sinistra: essa disprezza i suoi avversari. Non c’è alcun rispetto di sinistra per i combattenti nazi-fascisti o dell’ISIS, per esempio. Per la sinistra, gli avversari sono nel migliore dei casi dei poveri illusi, che rischiano la vita per panzane. Il fascista invece rispetta profondamente l’avversario, se questi sa battersi bene. Non a caso oggi la maggior parte dei fascisti ammirano gli israeliani: un intero popolo combattente. Il disprezzo per l’imbelle e pacifico ebreo ha lasciato il posto per un culto dell’ebreo soldato, che resiste circondato da un mondo nemico. Trump, che è nel fondo un fascista, per questa ragione ammira Netanyahu, un guerriero che tiene testa ai “barbari”. 

 

Ho orrore del fascismo, ma lo rispetto. L’errore tipico della sinistra è sottovalutarlo. Così nel 1921 la sinistra italiana si scisse a Livorno, i comunisti pensavano che il pericolo maggiore fossero i socialisti, i socialisti pensavano che il pericolo maggiore fossero i comunisti, mentre il pericolo peggiore era quello che si disprezzava, i fascisti. Oggi la sinistra è divisa, senza capire che la vera minaccia è Salvini, l’estrema destra, e Berlusconi. Imparerà mai la sinistra dagli errori madornali della sua storia? Ma come noi analisti sappiamo bene, raramente si apprende dall’esperienza.

 

Davide Ferrario

 

1.

Nel mio ultimo film, Cento anni, mi è capitato di lavorare con materiali d’archivio molto particolari: film familiari degli anni Venti e Trenta, provenienti dai fondi di famiglie benestanti del Reggiano, gente che poteva permettersi finanziariamente la passione del cinema a passo ridotto. Naturalmente, si tratta di famiglie che aderivano pressoché in toto al fascismo. E infatti il fascismo è ben presente in questi filmati, ma non nella forma plateale dei cinegiornali Luce: si tratta di un fascismo quotidiano. Gente in divisa per la caccia alla lepre, la “gioia” dei ragazzi che si preparano al sabato fascista, gli uomini di casa in camicia nera messi di tre quarti, in posa, la sigaretta in mano... Quello che viene fuori da queste immagini, insieme rivelatore e inquietante, è l’aspetto antropologico del fascismo: il quale, si capisce in modo fulminante, non poteva nascere che in Italia. Naturalmente, non sto parlando di una fisiognomica lombrosiana: loro brutti e torvi, gli antifascisti belli e prodi. No: sto parlando di posture, di prossemica, di corpo. C’è qualcosa di atavicamente fascista nel nostro inconscio che predispone gli italiani a indossarne i panni ideologici che ogni epoca propone loro. Se dovessi tradurre in parole quello che è prima di tutto linguaggio del corpo, userei uno slogan: “Noi siamo noi”. L’arrogante rivendicazione di un’identità esibita e costruita sul sentirsi massa. Ovviamente, questo presuppone che si sia “noi” in opposizione agli “altri”. In questo senso, la frattura del paese in due fazioni opposte è forse irredimibile. E ha molto a che fare con la famosa intuizione di Umberto Saba sugli italiani – unici in Europa – come popolo di fratricidi. Non a caso la Roma del mito fascista presupponeva l’uccisione del fratello.

 

2. 

Credo che il fascismo nasca soprattutto da un’incapacità di analizzare il mondo in cui si vive. Che ha, per conseguenza, la delega della soluzione dei problemi a un uomo (o a una donna?) della provvidenza. Non a caso l’antifascismo popolare è legato alla grande stagione novecentesca del PCI, quando “alfabetizzare le masse” era non solo una parola d’ordine, ma una pratica. Oggi, con il terribile abbassamento della capacità di analizzare prodotto da un complesso di fattori, il fascismo appare di nuovo credibile. Se si usasse la ragione basterebbe vedere cosa (non) ha fatto la destra al governo in questi venti anni e passa e confrontarlo con le parole d’ordine di oggi: per esempio, Berlusconi, un pluridivorziato che si contorna di minorenni discinte, propone l’abolizione delle unioni civili e la difesa della famiglia. Essere antifascisti significa continuare a pensare, ragionare, spiegare, dimostrare. Perché nel confronto fascismo/antifascismo la ragione è sempre dalla parte di quest’ultimo, per logica e storia. E, naturalmente, impedire l’organizzazione o la propaganda del neofascismo a termini di legge.

 

3.

In conseguenza di quello che ho detto, mi sembra che tutto dipenda da una crisi dell’identità. Gli altri –ismi sono una conseguenza di un peccato originale: quella rivendicazione del “noi” come popolo offeso, umiliato, incompreso. Un riflesso adolescenziale portato antropologicamente a carattere nazionale (lo aveva inquadrato anche Leopardi, ben prima del fascismo). Ecco anche perché molti tra i grandi geni italiani sono in fondo dei solitari: non esprimono il sentire della maggioranza, ma l’eccezione dell’individuo.

 

Emanuele Zinato

 

1.

Ha senso continuare a essere antifascisti per la buona ragione che il fascismo c’è in tutta Europa: è il modo concreto, sfigurato e distorto, con cui i ceti popolari del presente, più colpiti dalla crisi, cercano confusamente e emotivamente di reagire contro le politiche e le culture dominanti. Similmente a quanto accadeva negli anni Trenta: dirottando cioè l’ira sociale su una presunta minaccia razziale. La questione dell’antifascismo, così come quella del tramonto dei termini destra e sinistra, richiede insomma che si facciano i conti con l’eredità del Novecento e con i conflitti sociali odierni. 

 

Quanto alle discriminanti: sul ritorno del fascismo e sul razzismo – cioè sulla grande questione del secolo, quella dei migranti – ci si divide, non ci si unisce. È ciò che ebbe a dire Fortini a Firenze a un comizio sul Vietnam nel 1967 suscitando il disappunto delle forze della sinistra storica. Ci si divide tra chi la considera solo una questione di diritti umani (indipendente da quelli sociali) e chi invece vede come il neoliberismo, applicato da 30 anni alla società, ha alimentato dialetticamente 'l'alternativa' fascista. La alimenta perché i fascisti di varie specie (dalla Lega di Salvini a casa Pound) intercettano un’avversione diffusa che non trova da tempo rappresentanza politica, rifugiandosi nella visceralità: ciò che è represso e negato, lo sappiamo, torna sempre in veste di mostro o di spettro. A questo spettro si dà il nome generico di populismo per indicare tutti i nemici dell’ordine globalizzato, della libertà cioè concepita come libertà del mercato, la sola che garantirebbe ancora la promessa di benessere e il simulacro dello stato di diritto. Per molti, specie per le generazioni tra i quaranta e i cinquant’anni (educate dalle neotelevisioni) che hanno interpretato la storia sociale degli ultimi trent’anni come una totale mutazione “immateriale”, sono evaporati i concetti di destra e di sinistra e divenute liquide le identità forti della modernità (nazioni, popoli, classi). Per questa visione del mondo, ancora egemone tra i ceti colti dell’occidente ciechi davanti all’evidente ritorno del conflitto, ci sono solo individui: monadi fluttuanti nello spazio globale, mosse dai desideri e disciplinate dalla cultura dei consumi. L’apparente fine della contrapposizione fra sinistra e destra ha le sue ragioni profonde nel Novecento: nel pervertimento del comunismo sovietico nello stalinismo, nel suo crollo e nella catastrofe delle socialdemocrazie che, in ogni dove, tendono a coincidere con l’ordoliberismo, riservando alle proprie radici storiche poco più che un sorrisetto impotente. Welfare, diritti sociali, beni comuni, per non dire della prospettiva socialista, sono subordinati alle “compatibilità” tecnocratiche e finanziarie delle istituzioni europee: ne è prova il pareggio di bilancio introdotto nella nostra Costituzione nel 2012, che ne ha sfregiato la natura democratica legittimando il sistema dei tagli, in nome dell’ideologia che impone politiche monetarie e divieto per lo Stato di qualsivoglia intervento in deficit spending sull’economia, illegalizzando in sostanza, con voto bipartisan, stato sociale e keynesismo. È sempre più evidente, in tal modo, come i partiti moderati o di centrosinistra europeisti e le destre razziste siano due aspetti di una medesima unità, che si alimenta a spirale e dialetticamente. I movimenti politici europei di nuova sinistra come Podemos o La France insoumise, vengono viceversa inclusi dal discorso dominante in un medesimo campo populista, con Marine Le Pen. 

 

2. 

L’antifascismo si deve sostanziare in primo luogo di una prassi solidale, sui territori, che saldi le lotte dei lavoratori sempre più privati dei propri diritti a quelle dei migranti. Si deve sostanziare inoltre di una rilettura pacata e critica del patto espresso dalla nostra carta Costituzionale nata dalla Resistenza: nella consapevolezza che alcuni sfregi a quella carta sono stati attuati, con largo consenso di tutti i partiti, sia sul piano testuale che nel senso comune e nelle convenzioni. E che la Costituzione stessa è il frutto del compromesso fra forze diverse. Una delle anime della Resistenza, quella che ha pagato più caro, era abitata dall’idea della socializzazione della ricchezza e del controllo dei mezzi produttivi da parte dei produttori. Non credo sia un’idea “vecchia” ma solo duramente umiliata e sconfitta: penso costituisca però la sola passione o emozione alternativa alla passione e emozione razzista e fascista. Sebastiano Timpanaro ha posto negli anni Ottanta un problema radicale, a mio parere molto attuale: “se, per esprimersi con un linguaggio irritante per gli intellettuali odierni, l’homo sapiens dimostrasse di essere una specie zoologica capace di linguaggio, di pensiero, di arte e di tante ottime cose, ma incapace di eguaglianza e di autogoverno collettivo, la decadenza e la fine dell’intera umanità sarebbe definitivamente segnata, a scadenza non troppo lunga” (Antileopardiani e neomoderati, 1982, p. 327).

Il fascismo oggi si manifesta nella baldanzosa, proterva e conclamata negazione di quella possibilità di eguaglianza e di autogoverno, già decretata in precedenza dal pensiero unico, portata però ora alle sue estreme conseguenze: celebrazione della diseguaglianza, culto della forza, nostalgia per il Capo, disprezzo per il debole e per il diverso, maschilismo. 

 

3.

Fascismo= A, D, E, B, C (per E s’intende socialfascismo)

Il termine a cui l’odierno fascismo più si lega è razzismo. Il tratto più pertinente è infatti l’attitudine a cavalcare la paura e le emozioni più viscerali. In ciò i fascismi attuali trovano un clamoroso megafono nell’intero sistema dei media, nell’infotainment che, ossessionato dall’audience, vende al pubblico da tre decenni quello che le viscere del pubblico vogliono sentirsi narrare: l’invasione, i negri pusher e stupratori, i black bloc. Viene poi l’elemento identitario, il bisogno cioè della contrapposizione noi vs. loro ai livelli più elementari e tribali (“se trovo uno di “loro” all’interno della “mia” casa che minaccia la “mia famiglia e ho una mazza in mano…” ha detto Salvini in una recente intervista, suscitando largo consenso). C’è però da mettere in evidenza anche il tratto saliente socialfascista (quello che ha caratterizzato nel Novecento la parola stessa nazional-socialismo o la Repubblica sociale e che fa da tristo supplente alla sparizione di ogni prospettiva di bene comune da parte socialista): a esempio. la distribuzione di viveri a Ostia, che casa Pound riserva “ai soli italiani” con questa dichiarazione riportata dal Giornale, su cui bisogna riflettere: "la sinistra, anche quella più radicale ha abbandonato le piazze, le scuole, le lotte per la casa e sul lavoro. Noi in questi quartieri apriamo sedi, siamo al fianco dei residenti e siamo diventati un punto di riferimento. Aiutiamo anche molte persone di sinistra e non lo facciamo certo per i voti ma per un profondo senso di giustizia sociale e di solidarietà per il nostro popolo.”

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