Meloni/Schlein: due narrazioni
Eva contro Eva! Per la prima volta, sulla scena politica italiana si fronteggiano due donne con incarico da leader: Giorgia Meloni arriva da destra, e da sinistra Elly Schlein. L’incontro è notevole. Differenti tra loro in tutto, piatto ricco per i media, promessa di un nuovo bipolarismo, sembrano fatte apposta per rimescolare le carte non solo della politica nostrana ma anche della sua comunicazione.
Eva contro Eva? Il film di Mankiewicz dal quale origina l’espressione aveva in realtà un altro titolo – All about Eve – e raccontava da diverse angolazioni la scalata al successo di Eve Harrington, attrice talentuosa quanto manipolatrice, abilissima nel circuire la stella del teatro Margo Channing rubandole palcoscenici, premi, applausi. Il titolo italiano, invece, enfatizzava la lotta tra le due ed esprimeva uno sguardo maschile (era il 1950), che vedeva in quel protagonismo senza precedenti, fatto solo di donne e con interpreti come Anne Baxter e Bette Davis, non semplicemente una storia ma un evento unico, un’epifania esemplare della natura femminile. E questo sì ci riporta all’inedito simbolico di Meloni-Schlein.
Ma All about Eve è anche una storia di emulazione, nella quale la sconosciuta principiante si avvicina alla celebrità studiandone con attenzione le debolezze e le abitudini, sovrapponendosi ai suoi sentimenti privati e pubblici fino a ottenere la sostituzione definitiva, fino a entrare nel corpo e nel ruolo di Margo. Celebre la scena in cui Eve, sola per un momento, stringe a sé il vestito della grande attrice immaginando di avere un pubblico davanti. Il che in un certo senso è vero anche stavolta, poiché chi è all’opposizione di sicuro desidera vestire i panni di chi è al governo. Con una differenza, come i sondaggisti hanno sottolineato: qui si parla di una somiglianza per opposti, a specchio, nella quale a ogni caratteristica dell’una corrisponde l’esatto contrario dell’altra.
Si può dire che questa nuova trama a due sia cominciata quando Elly Schlein, dal palco delle politiche nel settembre 2022, ha detto: “Sono una donna, amo un'altra donna, non sono una madre, ma non per questo sono meno donna”, ribaltando il celebre “io sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana”, che aveva proiettato l’attuale presidente del consiglio non solo verso palcoscenici internazionali – nota la sua versione spagnola al raduno del partito di estrema destra Vox – ma anche sulle console dei dj con un remix di grande successo mediatico. Già lì, in quel comizio romano, Schlein si era proposta come simmetrico controcanto della leader di destra, e iniziava il percorso che, vinte le primarie del PD, l’ha portata pochi giorni fa ad affermare “saremo un bel problema per il governo Meloni” proprio nel momento in cui raggiungeva la rivale. Saremo, e non “sarò”.
Sono ricorrenti simili verbi al plurale nella comunicazione di Schlein – da quel “non ci hanno visto arrivare”, citazione della femminista americana Lisa Levenstein, al claim della sua campagna, “Parte da noi!” – e rimandano al suo costante appello a componenti dell’opinione pubblica da rimobilitare, le donne e i giovani, anche con l’annuncio in diretta tv dell’apertura del tesseramento on line e l’invito ad aderire. Perché, come sempre, quello della comunicazione è un territorio di svelamenti. Stefano Bonaccini, suo oppositore nella corsa alla segreteria PD, aveva per esempio proposto un claim di altra natura – Energia Popolare – con richiamo al radicamento e alle origini del candidato, sì, ma anche con fortissima eco dello slogan utilizzato poco tempo prima proprio da Giorgia Meloni nella sua convention milanese prima delle elezioni politiche: Italia, Energia da liberare. Ovvero, anche quando l’altra Eva non c’era, c’era di lei un’ombra, l’eco delle sue stesse parole.
Attenzione, l’assonanza tra i due claim di Bonaccini e Meloni non significa allineamento politico di sinistra e destra. Il programma elettorale non c’entra. Semmai la stessa scelta semantica rimanda ad un medesimo punto di osservazione, che guarda al paese come a un corpo esausto da rianimare con una scossa dall’alto, con l’energia delle decisioni di vertice. Ovvero, il tipico quadro che il politico italiano ama immaginare, quello di un paese che aspetta una guida. Quei claim sono simili perché sono identiche danze della pioggia, parole che infondono coraggio innanzitutto ai leader che le pronunciano, mentre il paese non solo è vivo ma da tempo si sta industriando per cavarsela e procede per conto suo disinteressandosi della guida politica.
Non lì c’è bisogno di ricostituenti ma presso la classe dirigente, giunta esausta, priva di credibilità al passaggio d’epoca. Tanta “energia” impaginata in bold non è che il sintomo grafico dell’autoreferenzialità, della mancata comprensione, di quella separatezza alla quale si cerca poi di rimediare con pose “popolari”, come quando Salvini si definisce a ogni piè sospinto un papà e, in particolare, Meloni mamma.
Qui sta uno dei pochi espedienti di comunicazione finora riusciti dell’estrema destra al governo. Da presidente del consiglio, la leader di Fratelli d’Italia si è accreditata come punto di equilibrio della coalizione non solo politico. Anche morale. Non soltanto cioè le viene richiesto di dirimere contrasti interni al governo, ma ogni giorno i media le danno mandato di governare le mattane della sua squadra, al cospetto della quale viene descritta come vittima afflitta e mai come responsabile. Nella narrativa della comunicazione governativa è dato per scontato che lei sia altra cosa rispetto alla grevità dei suoi collaboratori, i quali come servi sciocchi la fanno disperare perché inadeguati al compito. Ed eccola Giorgia Meloni, ogni giorno invocata per portare ragionevolezza dove non c’è, mentre esibisce pazienza, alza gli occhi al cielo e ancora una volta si china sugli intemperanti per rimediare e indicare la retta via. Insomma, ecco Meloni mamma. Mamma che sbuffa e fa quel che può, proprio come i genitori che conosciamo, e alla quale persino l’opposizione si appella perché spieghi le buone maniere ai suoi o perché, come scritto dal sindaco di Crotone, possa provare “come mamma” un’umana empatia per il dolore altrui.
In termini comunicativi, tutta la vicenda recente della destra italiana può essere vista come il tentativo di fronteggiare l’evoluzione moderna del rapporto tra i sessi. Se Berlusconi con la sua stessa biografia – e con la grevità delle sue battute, con il bunga bunga – aveva rappresentato la risposta nevrotica del patriarcato tradizionale all’emancipazione femminile, Meloni al governo incarna oggi una strategia di adattamento più sottile, quella di una donna che difende i valori maschili storici, istituisce il ministero della natalità e ci tiene a farsi chiamare “Il presidente”. Meloni capofamiglia di una famiglia-nazione. Di questa fusione, di questa donna a tutela del mondo maschile, il simbolo visivo più riuscito è il dono da lei ricevuto nel dicembre 2022 durante una visita al contingente militare italiano in Iraq: un mosaico del suo volto le cui tessere sono le foto dei soldati italiani. Una sorta di Leviatano di Hobbes – il potere statuale composto dai corpi dei sudditi – rivisitato in chiave pop e femminile. Un volto che contiene tutti i nostri e sorride in beatitudine.
Che Schlein si dichiari non madre eppure donna è dunque una – una delle – novità che costringe l’assetto culturale nostrano a un adeguamento, come dimostrano anche le domande vagamente inquisitorie sul suo desiderio di maternità o la non abituale valanga di volute insolenze – figurina, un poco vuota, nichilista, vestita da centro sociale… – che in pochi giorni le sono piovute addosso, per non dire dei meme violenti e degli attacchi antisemiti. Va riconosciuto, anche contro la sua rivale di destra sono state scagliate definizioni pesanti – da scrofa in poi – ma è su Schlein che i giornali si gonfiano di dubbi e scetticismi, avanzando un sospetto di inesperienza che sarebbe più attendibile se non fosse invece stato capovolto, nel caso del giovane maschietto Renzi, in autentico entusiasmo per un presidente del consiglio ancora ragazzo – anzi: baby predestinato – e già che c’eravamo anche in incoraggiamento davanti alla più generica buona volontà.
Elly Schlein si candida a rappresentare l’Italia figlia, quella abbandonata che sta facendo da sola, in cerca di un futuro? Ci sarà un’Eva mamma dei telegiornali contro una invece sorella nelle manifestazioni? Come che sia, questi due opposti si fronteggeranno per i prossimi anni. Ma non tutto rientra nelle sceneggiature e nei copioni fissi della comunicazione. Schlein è una politica, alle sue spalle una legislatura al parlamento europeo e la vicepresidenza di regione, ma ha anche frequentato il Dams e magari il film di Mankiewicz lo conosce già. Allora sa che nonostante quel titolo prometta all about, tutto su un personaggio, la sua storia è dominata dall’ambiguità e dal senso sfuggente delle cose: “più si conosce, meno si sa”, dicono in una scena. Perciò queste due protagoniste si fronteggiano con ruoli cambiati che potranno ancora cambiare, perché il paese fa da sé, la platea è in movimento ed Eva è un’altra Eva.