Renzi: nuove strade? / Miti di leadership

22 Febbraio 2017

Fitti conciliaboli degli dei presiedono ai destini degli eroi nei poemi greci. Sorti collettive e individuali: divinità politiche dotate d’un proprio carattere. Ha faticato la storia a rendersi indipendente dal mito. E comunque gli storici antichi, quasi a ricompensa di una mutilazione, hanno sempre inserito nella trama dei fatti schizzi incisivi sulla psicologia dei grandi uomini, fino a farne il centro occulto o palese delle piegature di quanto appare più evidente in superficie. Del resto nel re, nel comandante, nel capopopolo è stato per lunghissimo tempo rinvenuta l’impronta di qualcosa di superiore e di semidivino. Perfino nel momento della laicizzazione della politica e della morale con Machiavelli la biografia reale o ideale del Principe continua a campeggiare enorme al centro della scena. Sarà forse Napoleone a chiudere provvisoriamente l’età degli uomini fatali, per dare spazio anche teorico al protagonismo delle masse e del capitale. Allora la psicopolitica, disciplina che indaga la chimica creatasi tra leader e popolo, comincerà una forte crisi di credibilità.

 

Il Novecento, secolo per eccellenza delle masse prima e poi della globalizzazione di una tecnica e di un’economia cieche e indipendenti da superiore governo, sembrerebbe confermare ed aggravare il processo di decadenza di una visione personalistica della politica. Tuttavia, più le masse si agitano sul palcoscenico della storia, più diventa importante la funzione registica del leader. Dal demagogo di piazza, amplificato in seguito dall’avvento della radio, al magnetismo dell’immagine televisiva, cambiano le forme ma resta una sostanziale continuità nelle doti di ipnotizzare e guidare i sodali e le folle. Si fa sempre più largo l’idea di una leadership che va alla conquista dell’immaginario attraverso l’elemento visivo, corporeo e la narrazione di sé, piuttosto che fare appello ad una ragione condivisa attraverso discorsi articolati. Qualcosa di ancestrale e prerazionale, anche se nel contempo magari studiatissimo, s’impone nella relazione tra l’oratore e il suo pubblico. Allora pensiamo una versione della psicopolitica che va alla ricerca in alcune figure chiave della storia contemporanea, soprattutto italiana, di un calco mitico nel quale, forse senza saperlo, si sono acciambellate. Al modo d’un guscio fossile potrebbe ricordare uno stampo che ha modellato tali figure e che esse hanno modificato ed adattato secondo i loro scopi e il proprio temperamento. Di qui la nuova narrazione di un archetipo ibrido che passa per la letteratura e l’antropologia di un popolo, delle favole di Crono, Ermes e Telemaco, dove il leader non è mai solo perché deve tener conto dei cittadini e pure dell’ombra originaria entro cui egli ritaglia se stesso.

 

 

Si potrebbe partire dal desiderio giovanile di avventura e di iniziazione, simile alla chiamata di un dio, che domina l’avanzata e la specie di combattimento dell’impresa, che si vorrebbe infinita, dei Mille. La leadership di Garibaldi fa propri gli elementi, descritti da Hillman, del puer, ovvero lo slancio e l’informalità fuori dagli schemi, ma anche, con efficace mediazione, dell’ordine e del realismo del senex. Il modo d’agire dentro la battaglia duttile eppure rigoroso e di pensare la politica senza secondi fini, lo spirito inesauribile e l’atteggiamento paterno, il tradimento subito offrono una leadership sintetica e dinamica di grande presa sui volontari del Sessanta e sulla popolazione stessa. La prevalenza del lato senex, diplomatico, cauto e tendenzialmente conservatore, si radicalizza quando perdura nel tempo. Lo squilibrio nel modello sopra delineato è la storia stessa del Novecento italiano. Il riformismo via via scemante di Giolitti, la parabola iper-giovanilistica e quindi sfatta sul finire del ventennio di Mussolini, fino al lungo arco democristiano teso al precipizio. La contenzione del popolo e dei delfini che attendono il passaggio, sempre rimandato, del cadavere del vecchio leader, prepara la rivolta. Gli esempi storici stanno iscritti nella costellazione di Crono e del Saul biblico.

 

Berlusconi stesso soffre tuttora d'una leadership cronica, che tratteggia tuttavia anche una tipologia di conduzione postmoderna e postideologica, di cui è possibile trovare un antico riferimento nei miti ruotanti attorno ad Ermes. Nel modo in cui il dio esprimeva il vaticinio nella piazza del mercato, il leader ermetico coglie nell’aria e rimanda la voce popolare. Quando essa viene prensilmente recepita ugualmente viene determinata, come spesso succede con il sondaggio, che è predittivo e assertivo insieme. Il fondatore di FI, la più riuscita incarnazione di questa forma politica, utilizza il linguaggio popolare eppure lo plasma in slogan, assume gli stereotipi più vari ed è in grado di trasformarli, in parallelo alle proprie identità, con duttilità mercuriale. Il denaro fa da mediatore e simbolo di tali metamorfosi rendendo superfluo il principio di non contraddizione e la sfera etica.

 

Negli ultimi anni è sembrata esaurirsi la valenza mitica con una figura di professionista preso fuori dalla politica, Monti, secondo l'idea dello straniero che al modo d'Edipo, con le sue esclusive competenze, salva la città da un pericolo mortale. In verità si tratta di una mitologia squisitamente moderna e che, nel campo della finanza come in quello dello sport o dell'imprenditoria, prolifera oggi dominando gli animi dei profani. Al polo opposto di tale allontanamento-annullamento, Renzi ha portato avanti la manipolazione consapevole del mito, proponendo per la prima volta per sé e la propria generazione un modello, quello di Telemaco. Ogni mito tuttavia diviene così menzognero, inoculando in quanto vi è di inconscio e storico una piegatura dell'immaginario offerta come reale se non addirittura naturale, secondo l'idea di “tecnicizzazione della mitologia” altrimenti genuina proposta da Kerényi. Ed allora vanno rilevate le contraddizioni tra la visione proposta dell'attesa del padre in vista della concordia generazionale e l'aggressività di un Telemaco novecentesco e joyciano (Stephen Dedalus spregiatore del condensato coito-paternità) che pare piuttosto avvicinarsi agli orfani fondatori di città. 

 

La caduta referendaria di Renzi, forse anche perché non più percepito a livello popolare come il giusto erede, ma appunto come il negatore protervo dei padri (quelli della sinistra tradizionale), o ormai assimilato ai detentori del potere (magari pure illegittimi, vista la sua non elezione, cioè i Proci usurpatori), apre per il leader diverse strade. Abbandonare ogni riferimento mitico; dopo un periodo di inabissamento lustrale rilanciare la pur sempre giovane figura dell'erede, di se stesso che deve finire un buon lavoro; inventarsi in breve tempo una nuova identità narrativa, considerando la rapidità impaziente con cui oggi si consuma il credito politico. In tutti i casi al termine della parabola cominciata per l'Italia con l'ingenuo slancio di Garibaldi, il mito, da strumento euristico per l'osservatore della politica che ne rinviene tratti inconsapevoli quanto rivelatori, è divenuto sempre più ai nostri giorni, per dirla alla Barthes, “sistema di comunicazione” attentamente programmato. E quindi piuttosto da smontare nella sua autoevidenza che da ricercare in una nuova, inconscia forma: chi sa se gli elettori non l'abbiano già fatto lo scorso dicembre, seppure inconsapevolmente.  

 

Tratto da Miti di leadership, Mimesis 2016.

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