Vite che non sono la tua – Vagabondi eccezionali / Monsieur Chouchani

15 Gennaio 2022
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Dove e quando è nato nessuno lo ha mai saputo con precisione. Non sappiamo neanche come si chiama, a dire il vero. Sul registro di morte è registrato con tre nomi diversi: Mardocheo Besousann, Chouchani Ohnona, Mordechai Ben Sasson. La data di morte, quella è l’unica cosa certa: 26 gennaio 1968. 

 

La vita di Chouchani è un enigma irrisolvibile, intricato e per questo incredibilmente affascinante. Nasce alla fine dell’800, o agli inizi del ‘900. Alcuni suppongono che la sua origine sia lituana, ma qualcun altro sostiene che sia nato in Galizia, in Polonia, in Persia, in Israele o in Marocco. Sulla sua famiglia, niente, nessuna traccia. Sappiamo che ha avuto un’infanzia difficile, un’educazione severa: molto presto è introdotto alla Bibbia, al Talmud e alla cabala. È un bambino prodigio, legge il Talmud all’età di tre anni, conosce già tutti i commentari a cinque. Suo padre decide di farne una fonte di guadagno, su richiesta accetta di portare il figlio ovunque, da una sinagoga all’altra, tutti vogliono vedere lo gnomo giocoliere con i versetti. Padre e figlio sbarcheranno anche negli Stati Uniti, dove godranno di un breve e unico periodo di fortune economiche. Percorso di studi, forse nel quartiere attorno alle strade dei profeti a Gerusalemme, qualcuno registra un suo passaggio all’Università americana di Beirut.

 

L’India, forse. Il Marocco e l’Algeria, negli anni ’20. Berlino e Strasburgo, negli anni ’30. È qui, a Strasburgo, che Chouchani inizia a lasciare tracce più evidenti del suo passaggio. Ottiene con mezzi oscuri una carta di apolide, dà lezioni, comincia ad attirare un gruppo di intellettuali ebrei che gli resteranno fedeli fino alla fine. Poi, la guerra. Dicono che una volta viene arrestato dalla Gestapo e che scampa alla prigione fingendosi musulmano, mostrando una conoscenza totale del Corano. Secondo altre versioni si sarebbe dichiarato turco e finto pazzo.

All’indomani della guerra troviamo Chouchani qui e là, in un campo di rifugiati, a Taverny, ad Amblois, a Parigi. È qui che conosce Emmanuel Levinas e Elie Wiesel, i due grandi intellettuali e filosofi ebrei vissuti in Francia nel secolo scorso. Elie Wiesel lo incontra per la prima volta nel 1945, nel corso di una shabbat a Lione, ne viene subito colpito e da quel momento in poi diventerà suo allievo. Lo ricorda così, in un’intervista:

 

Come descriverlo davvero? Era una persona fatta apposta per suscitare sconcerto, ciò si percepiva facilmente. Era palmare, trasparente; e tutto questo era fatto apposta per ingannarci. Aveva l’aria di un clochard, di qualcuno che sarebbe stato ovunque indesiderabile, anche in cielo. Questa è l’impressione che egli suscitava. Mi ci è voluto un po' di tempo per capire che tutto questo non era che un gioco.

 

Ama giocare, Chouchani. Ha una facoltà di acrobata che suscita in cambio la tentazione costante di metterlo alla prova, di coglierlo in fallo. Si dice che una volta a Strasburgo gli chiedono di tenere una conferenza sulla relazione tra un cammello e il pendolo attaccato al muro: risultato, tre ore di divagazioni. Chouchani serba scrupolosamente il segreto sulla sua vita privata e non tollera alcuna domanda in proposito, ama l’anonimato, disprezza gli onori, gioca a carte con la verità, in un certo senso è un ebreo religioso anarchico. Non onora i rabbini, non si conforma all’ordine sociale, manifesta una grande violenza nelle sue convinzioni, non vuole piegarsi a nessuna costrizione, e la gente lo teme molto, perché è selvatico, è libero.  Anche chi lo frequenta per anni non riesce a scalfire il mistero, ma in molti ci hanno provato. Lo scrittore e giornalista Salomon Malka ha speso anni a ricostruire la sua vita, dopo incredibili ricerche è riuscito a recuperare cinque fotografie di tre periodi diversi, in una il maestro ha lo sguardo in ombra, labbra carnose, capelli ordinati, sembra un eroe dostoevskiano, in un’altra ha occhiali tondi e cerchiati, da studente russo di inizio secolo, nelle altre somiglia di più alle descrizioni più note, capelli radi, barba di tre giorni, camicia trasandata, un’aria di sfida nello sguardo. È curioso, conclude Malka dopo avere studiato a lungo i ritratti, è curioso che queste fotografie non abbiano banalizzato nulla, restano opache, non attestano nient’altro che il mistero della sua vita errante. Come dire, non risolvono per nulla il grande punto interrogativo su questo uomo misterioso, su cui Elie Wiesel si è interrogato più volte.

 

Da dove veniva? Quali erano state le sue gioie, i suoi timori? Cosa cercava di raggiungere, di dimenticare? Nessuno lo sapeva. Riflette Wiesel nel corso di un’intervista. Aveva mai conosciuto in vita sua la donna, la felicità, la delusione? Mistero sette volte sigillato. Parlava di se stesso solo per disorientare: sì e no si equivalevano, il bene e il male andavano nella stessa direzione. Le sue teorie le costruiva e le demoliva in un soffio, usando gli stessi mezzi. Più lo si ascoltava e meno si sapeva della sua vita, sul suo mondo. Possedeva il potere sovraumano di rifarsi un passato.

 

Parla perfettamente moltissime lingue, il maestro. Per lui sapere una lingua non significa parlarla, ma conoscere una parte della letteratura che merita di essere letta in quella lingua. È l’unico dei reduci parigini che parla un francese fluente, ma si trova a proprio agio in Francia come in Algeria, in Palestina o in America. È un genio nella comprensione della Bibbia e dei profeti, ma nella vita di tutti i giorni è un bambino capriccioso, che si arrabbia per un nonnulla. Ama le persone e stare con le persone, ma può essere anche molto duro, tagliente, feroce.

 

Immagine rimossa.

 

Il fatto è che gli piaceva vedere soffrire, questo lo divertiva. Ricorda ancora Elie Wiesel. Ero la sua vittima quotidiana, in effetti, eppure ciò era crudele da parte sua, perché allora io non potevo quasi più soffrire, ero già all’estremo delle mie sofferenze. Mi ha annientato a tal punto che non avevo più alcuno spazio in me per la sofferenza. Ero semplicemente presente lì, per ascoltarlo, per ricevere da lui, passo passo, fino alla fine.

 

La bruttezza di Chouchani è leggendaria, alcuni lo accostano a Socrate. Le donne che lo hanno conosciuto gli rimproveravano la sua sporcizia, definita addirittura rivoltante. Mangia con voracità, ma su quello che mangia le versioni sono contrapposte, alcuni dicono sia vegetariano, che consuma grandi quantità di latte che fa bollire in un pentolino ingiallito che si porta dietro dappertutto, altri dicono che adora le salsicce e le sardine, che adora la frutta, ogni tipo di frutta, e il caffè nero.

Per gran parte della sua vita non ha avuto un suo luogo dove stare, dorme dappertutto, su una panchina, su un tavolo, su due sedie accostate. Per anni è ospitato di casa in casa, arriva con in mano una valigia e il suo contenuto è, ancora una volta, un grande mistero: c’è chi dice che una volta si aprì inaspettatamente e ne uscirono delle cianfrusaglie senza senso, una spazzola usata, un pettine rotto, una bambola stropicciata. Altri dicono che dentro c’è una fortuna: oro, gioielli e argento. Qualcuno sostiene che è un cleptomane, i libri spariscono dalle biblioteche che frequenta.

 

Haim Baharier, studioso di ermeneutica biblica e del pensiero ebraico, ha dedicato alla valigia di Chouchani un intero libro, a cavallo tra la biografia impossibile del maestro e un’autobiografia. Baharier racconta di quando la sua famiglia si trova tra le mani quella misteriosa borsa, curiosi e agitati si mettono intorno a un tavolo per scoprirne il contenuto, dopo qualche minuto di trepidante attesa servito per tagliare la corda che tiene chiuso il blocco della serratura, ne esce fuori il tesoro: pochi ritagli di giornale arrotolati, serrati da uno spago sottile, quotazioni di titoli in borsa, annotate a lato da una scrittura particolarmente piccola, sette o otto vecchi cucchiaini di latta incartati, un paio erano ancora incrostati di caffè. Chouchani è un errante dalla valigia vuota. 

 

In una calda giornata di agosto Emile Sebban, direttore della Scuola normale ebraica, riceve una chiamata da Chouchani. I suoi documenti originali sono stati bruciati, è senza identità ma desidera trasferirsi in America Latina. È il 1952, la faccenda viene sistemata grazie a Sebban al tribunale rabbinico di Casablanca e a Chouchani vengono forniti falsi documenti marocchini con cui partirà alla volta dell’Uruguay.

Chi lo ha conosciuto a Montevideo lo ricorda come un astronauta, vive ai margini della vita locale nel suo mondo di libri. Dorme ovunque in giro per la città, a casa di qualcuno, in una sinagoga, nel salone di un parrucchiere di via Mercedes, sui gradini di una scalinata. Negli ultimi giorni della sua vita ha anche un piccolo appartamento di via Maldonado, alla sua morte lì dentro troveranno montagne di sacchi contenenti più di 4000 libri.

 

Nel gennaio del 1968 partecipa a un seminario a Durasnes, in un piccolo villaggio all’interno del Paese. Seduto sotto un albero, circondato da studenti, sta tenendo una conferenza su un tema talmudico quando improvvisamente, nel pieno della citazione, s’interrompe e si accascia. Nella tradizione ebraica una simile morte è considerata una Mitat neshiqà, una morte dolce, l’angelo viene, abbraccia l’eletto e lo porta via. Sulla pietra tombale, nel cimitero israelitico di La Paz, si trova un’iscrizione, ne ha composto il testo Elie Wiesel. Il savio maestro Chouchani di benedetta memoria. La sua nascita e la sua vita sono chiuse in un enigma.

Non ci lascia nessun testo scritto, il maestro Chouchani. È la vita che vuole arricchire, non la carta. Non è uno scrittore, è un maestro talmudico, un insegnante che utilizza solo la parola. 

 

Questo articolo è una riduzione del testo radiofonico della prima puntata di “Vite che non sono la tua – Vagabondi eccezionali”, un ciclo di trasmissioni di Radio3 in cui si raccontano le storie di quattro persone straordinarie vissute nel secolo scorso. Tra loro, oltre a Monsieur Chouchani, c’è Moondog, virtuoso polistrumentista; Tommaso Lipari (detto l’omu cani), vissuto a Mazara del Vallo e che qualcuno ha pensato essere Ettore Majorana sotto mentite spoglie; Efa, coraggiosa donna vissuta nei boschi dietro Trieste tra gli animali selvatici. Le puntate, in onda sabato e domenica 15 e 16 e 22 e 23 gennaio alle 14,30, sono riascoltabili in podcast qui.

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