L’omu cani, uno scienziato in strada

24 Luglio 2022

Primi anni ‘40. Tempi di guerra. Tra le strade di Mazara del Vallo appare un uomo mai visto prima. Nessuno sa chi sia, parla poco, quelle poche parole che pronuncia non hanno la minima inflessione locale, è un italiano cristallino, che tradisce un leggero accento del nord. È alto, corpulento, barba folta, occhi grigi e vivaci, trasandato, si stringe in uno slabbrato e logoro pastrano militare, ha una grande sacca a tracolla. L’uomo misterioso si aggira tra i viali sterrati della villa, tra le stradine della Kasbha, ozia sui gradini della statua di Santo Vito e sulle panchine sul lungomare. Quando lo scirocco soffia forte trova pace sotto i portici di piazza della Repubblica, protetto dalle volte di tufo. 

È molto schivo e le persone di Mazara diffidano di lui, lo tengono a distanza. È silenzioso, anche educato, sembra gentile, non chiede elemosina, non infastidisce nessuno. A poco a poco la barriera tra l’uomo del mistero e la città si sgretola, iniziano i più intraprendenti, azzardano uno sguardo, un saluto, uno scambio di parole. A chi chiede notizie della sua vita, risponde in maniera vaga, a chi insiste, dice di farsi gli affari propri, esige che si rispetti la sua privacy come un baronetto inglese, è a suo modo una figura aristocratica, possiede un suo stile.

Un giorno, all’ufficiale comunale del censimento, dà le sue generalità: Lipari Tommaso, nato a Tunisi il 14 aprile 1900. In molti hanno dubitato che questi dati fossero veri. Pietro Giacalone, abitante di Mazara, mi ha aiutato a ricostruire questa storia, ci siamo parlati al telefono a fine estate del 2021 e nel giro di pochi giorni ha raccolto appunti, foto, ritagli di giornali locali, stralci di lettere e passaggi di libri che sono stati fondamentali per ricostruire la vicenda. Quando Tommaso appare per la prima volta in città Pietro è un bambino, uno dei pochi a cui la famiglia non impedisce di avvicinarsi a quel barbone; non solo, la nonna materna, proprietaria di un negozio di tabacchi, prepara tutti i giorni un pacchetto per Tommaso e chiede a Pietro di consegnarglielo.

“Ricordo che a una certa ora la nonna, sferruzzando, guardava attraverso i vetri della finestra della sua casa di Piazza Regina. Era l’ora in cui, a distanza, intravedeva Tommaso, e pronunciando il suo nome, mi diceva di scendere subito per portare un sacchettino a quel personaggio dalla folta barba e dagli occhi grigio chiari. Scendevo le scale con trepidazione e, aperto il portoncino, mi trovavo di fronte a una figura che mi appariva quasi mitica”.

L’uomo veste con pastrani, scialli, mantelli e mantelline raccolti dall’immondizia, uno sull’altro, è sempre vestito alla stessa maniera, caldo o freddo, vento o pioggia, come i beduini. Con un chiodo sulla punta del suo bastone punta e solleva da terra mozziconi di sigarette, le accende e le succhia fino all’ultima boccata, elegante, tiene la sigaretta tra indice e medio e ne aspira il fumo. Vive di quello che trova, per regalargli qualcosa da mangiare bisogna avere l’accortezza di lasciarla in un angolo, come caduta lì per sbaglio. Se capisce che quelle cibarie sono state lasciate appositamente per lui, non le tocca. Accetta però le cose futili, oggetti simbolici donati dai bambini, per esempio. Ignazio Bascone, scrittore di Mazara, anni dopo gli dedicherà anche un libro, in cui lo descrive con precisione.

“Stava curvo, pareva affaticato, s’appoggiava su un bastone di pecoraio segnato da sei anelli e non si capiva quale peso gli piegasse la schiena: quello che aveva addosso o quello che non si vedeva e portava dentro. Se per fame e comodità non si pigliava, tanto meno si pigliava per salute. Aveva fisico potente, temprato da quella vita senza rispetto per sé stessa. Mai ci fu medico, infermiere o veterinario che gli mise mani addosso e mai ci fu giorno che non lo si vide camminare per strada. L’impietosa e senza rispetto mala lingua popolare, lo segnò battezzandolo l’omu cani”.

Tommaso, l’omu cani, così si intitola anche il libro di Ignazio Bascone. Ma chi ha il coraggio e la pazienza di scambiare più di due frasi di circostanza con Tommaso, scopre che l’uomo, aldilà delle apparenze, cane non è, al contrario è molto erudito. Ha un accento da signore, elegante, è urbano nei modi e nei tratti. Legge ogni giorno le pagine dei quotidiani che trova per strada. Conosce la matematica, la fisica, il greco. Si dice che una ricca famiglia di Mazara mandi il figlio da lui per studiare, Tommaso ripete a memoria la scala dei simboli dei metalli, spiega al giovane il moto uniformemente accelerato, il cambio di inclinazione dei raggi nei corpi densi. Si dice che il ragazzo, per la prima volta, supererà a pieni voti l’anno scolastico. 

Due fratelli mazaresi, Edoardo e Armando Romeo, hanno un’intuizione. L’uomo, secondo i due, sarebbe Ettore Majorana, il grande fisico di Catania scomparso misteriosamente. Majorana si era imbarcato da Palermo verso Napoli il 25 marzo 1938 ed era scomparso nel nulla. Due indizi soprattutto convincono i Romeo della loro tesi: il bastone che Tommaso porta sempre con sé, con sopra incise le iniziali E.M., e una cicatrice sulla mano destra, all’altezza dell’anulare.

I due intraprenderanno una lunga indagine, scriveranno numerosi articoli sui quotidiani locali, negli anni ’80 coinvolgeranno anche Leonardo Sciascia, che si sta occupando della misteriosa scomparsa del fisico. Su richiesta dei Romeo, che faranno recapitare una lettera nella sua casa di Recalmuto, Sciascia andrà personalmente a Mazara. È il 1987, ma dopo quella visita lo scrittore concluderà che l’ipotesi dei due fratelli è affascinante, certo, ma altamente improbabile. 

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“È un’ipotesi suggestiva, degna di Majorana, scomparire restando sotto gli occhi di tutti, l’invisibilità dell’evidenza, come nel racconto di Edgar Allan Poe La lettera rubata, ma bisogna verificare, se è vero che questo Lipari arrivò a Mazara prima della guerra è impossibile che la polizia, sotto il fascismo, non abbia subito controllato chi fosse”.

La visita di Sciascia a Mazara non passerà inosservata e Paolo Borsellino, allora Procuratore a Marsala, aprirà un’inchiesta su Tommaso Lipari. Nel corso dell’indagine, affidata da Borsellino al maresciallo Carmelo Canale, si scopriranno poche ma essenziali note biografiche sull’omu cani. Tommaso è nato a Tunisi il 14 aprile del 1900, sposa nel municipio di Moncalieri Gambetta Giuseppina Carolina di Bardonecchia, i due avranno anche una figlia, Germana, nel 1936 madre e figlia emigreranno a Savona, Tommaso invece da allora risulterà irreperibile, salvo essere registrato a Mazara nei primi anni ’40. Nel 1948 è arrestato per oltraggio a pubblico ufficiale, dopo un diverbio con un vigile urbano finirà nel carcere di Favignana. Canale scopre, tra l’altro, che Tommaso per quella stessa prigione è già passato, correva l’anno 1938, Majorana non è ancora scomparso. Ecco che il giallo è presto risolto: in poco tempo viene stabilito che Tommaso Lipari si chiama veramente Tommaso Lipari, lasciando però irrisolto l’enigma Majorana. Leonardo Sciascia nel frattempo darà alle stampe il libro La scomparsa di Majorana, in cui avanza la sua ipotesi: lo scienziato avrebbe deciso di sparire per avere intuito prima di tutti l’esito delle ricerche del gruppo di Fermi, quindi la bomba atomica. Sarebbe scomparso allora forse per punirsi o per una crisi di coscienza profondissima, non si sarebbe ucciso, secondo Sciascia, ma avrebbe organizzato una morte apparente.

In una calda giornata di luglio una pittrice polacca di nome Celina Oczkowska ritrae Tommaso seduto ai piedi della statua di santo Vito, con la lunga cicatrice sulla mano destra su cui l’uomo poggia il capo. Lui, che odiava farsi fotografare, nel dipinto sorride. È l’ultimo messaggio alla città. Morirà il giorno seguente, il 9 luglio 1973, proprio ai piedi del santo. È il terzo giorno di scirocco. Il vento, al tramonto, si è dissolto. Il suo corpo è lavato, sistemato, vestito con abiti puliti, i capelli tagliati e pettinati, la barba in ordine. Il funerale è celebrato in Cattedrale, con la partecipazione di migliaia di mazaresi, i sacerdoti cantano il Requiem e la banda musicale della città intona le solenni note funebri, piatti e grancasse rintronano tra le pareti delle vie mentre la gente si affaccia ai balconi e si segna con la croce. Quel giorno i mazaresi sembravano pervasi da uno strano dolore, come se fosse venuto meno uno stretto parente. Nell’annuncio civico apparso alla vigilia dei funerali si legge: “All’uomo che in questa città rimase solitario cittadino per più di un trentennio, la popolazione mazarese, ricca di antica e cristiana civiltà, rende omaggio”. Ora Tommaso riposa nel cimitero di Mazara del Vallo, tra tutti quei cittadini, poveri o ricchi, registrati all’anagrafe e appartenuti alla città, perché Tommaso, come scriverà il poeta Lucio Zinna, era divenuto per gli abitanti come un monumento vivo e mobile, intimamente connesso all’ambiente. Lui che in quel luogo è vissuto sempre da clandestino, solo da morto acquisisce il diritto di risiedere a Mazara. 

Questo articolo è una riduzione del testo radiofonico della quarta puntata di “Vagabondi eccezionali”, un ciclo di quattro trasmissioni prodotte e trasmesse da Rai Radio3. Tra loro, oltre a Tommaso Lipari, c’è Moondog, virtuoso contrappuntista cieco vissuto sempre in strada; Efa, donna coraggiosa vissuta tra i boschi dietro Trieste; Monsieur Chouchani, straordinario maestro di Talmud che conosceva decine di lingue perfettamente e girava il mondo con una valigia vuota. Per riascoltare le puntate, qui.

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