Lezioni di letteratura russa / Nabokov: Tolstoj sì, Dostoevskij no

22 Aprile 2021

Stati Uniti, 1940: Nabokov è da poco arrivato in America e si trova a fare lezione a studenti americani. Cosa sanno della letteratura russa i suoi studenti? Su quali traduzioni possono contare? Quali difficoltà dovranno affrontare? Nell’ultimo breve saggio delle Lezioni di letteratura russa, dopo averli condotti «attraverso il paese delle meraviglie di un secolo di letteratura», Nabokov tira le fila del suo corso ed elenca alcune difficoltà che gli studenti si troveranno di fronte: non sanno leggere il russo, hanno a disposizione traduzioni «abominevoli» e devono districarsi in una massa «amorfa e mostruosa di cose mediocri il cui unico scopo è politico». A guidarli in questa selva c’è il professor Nabokov, tra i più popolari della Cornell University, dove dal 1948 insegna come professore associato nel corso sui Maestri della narrativa europea e in quello di Letteratura russa in traduzione. Visto il successo delle lezioni, e forse anche per facilitare lo studio dei suoi studenti, Nabokov mette in cantiere la pubblicazione delle sue lectures, progetto che viene però abbandonato e ripreso, dopo la sua morte, da Fredson Bowers, curatore sia delle Lezioni di letteratura del 1980 (la cui prima edizione italiana è pubblicata da Garzanti nel 1982 e poi riedita da Adelphi nel 2018) sia delle Lezioni di letteratura russa del 1982, edite da Garzanti nel 1987 e appena ripubblicate da Adelphi, con la bella traduzione di Cinzia De Lotto e Susanna Zinato. Per i suoi studenti Nabokov traduce anche l’Evgenij Onegin di Puškin, dopo aver raccolto l’esortazione della moglie Vera a tradurre lui stesso l’opera, evitando così di farsi il sangue amaro con le brutte o errate traduzioni esistenti. Se però la tanto chiacchierata traduzione dell’Onegin e il suo ponderoso commento verranno dati alle stampe nel 1964 da Nabokov stesso, dopo un meticoloso lavoro durato circa dieci anni, le lezioni di letteratura russa vengono approntate alla pubblicazione senza il suo benestare e a partire da appunti che hanno un diverso livello di compiutezza, tanto che viene da chiedersi – come fanno le curatrici nella postfazione – se Nabokov sarebbe stato felice di vederle pubblicate.

 

«Caotiche e sciatte» le avrebbe definite in un appunto risalente al 1972 ritrovato tra le sue carte; giudizio che tuttavia appare eccessivo se le si valuta nella veste editoriale in cui vengono proposte al lettore. Certo, manca l’impostazione uniforme e strutturata tipica del manuale o del saggio critico, e infatti non è di questo che si tratta, ma se si considera che i testi sono concepiti per essere letti o esposti in forma orale, l’eterogeneità o le ripetizioni di alcuni concetti, che sono comuni quando in una lezione si torna a ribadire ciò che si considera importante, passano in secondo piano, senza che se ne ricavi un’impressione di caos e sciatteria, come scrive Nabokov nel suo appunto. Anzi, sono anche questi aspetti a rendere le lezioni piacevoli e accessibili a un lettore che sa poco o nulla di letteratura russa e a cui non è richiesto altro sforzo se non quello di lasciarsi guidare. Cinque sono gli autori trattati: Gogol’, Turgenev, Dostoevskij, Tolstoj, Čechov e Gor’kij dei quali viene fornita una presentazione biografica e un’analisi delle opere più significative. Di queste ultime vengono riportati stralci più o meno lunghi che Nabokov commenta, permettendo al lettore di farsi un’idea dell’opera analizzata. Corredano il volume altri quattro saggi, un’appendice con alcune riproduzioni fotografiche degli appunti di Nabokov e una dettagliata postfazione delle curatrici. 

 

Il grado di analisi e approfondimento degli autori e delle opere varia in base al gradimento che ciascuno incontra in Nabokov. «Sono un professore troppo poco accademico per insegnare cose che non mi piacciono» dichiara a proposito del vituperato Dostoevskij, che tuttavia include nel suo canone: per ridimensionarlo, sostiene. Del resto Dostoevskij, di cui quest’annо ricorrono i duecento anni dalla nascita, è tra i più noti scrittori russi al di fuori della Russia, godeva di un certo apprezzamento negli ambienti dell’emigrazione russa, da cui Nabokov proveniva, ed era molto popolare tra i non russi. «I lettori non-russi non si rendono conto di due cose: che non tutti i russi amano Dostoevskij come gli americani e che la maggior parte dei russi a cui piace, lo venerano come un mistico e non come un artista» dichiara in un’intervista a James Mossman nel 1969. Pur apprezzando alcune scene ben scritte, Nabokov rimprovera a Dostoevskij la mancanza di gusto e di ironia, il monotono ripetersi di situazioni simili, di trucchetti e stratagemmi triti, di procedimenti prevedibili, «da racconto poliziesco». I personaggi sono quasi solo nevrotici e folli, irreali, irritanti, tratteggiati in modo generico e senza specificità, descritti fisicamente appena vengono introdotti nella storia e poi mai più considerati nella loro fisicità. Insomma, avrebbe fatto meglio a fare il drammaturgo invece che il romanziere, conclude Nabokov che ironicamente lo immagina insieme a Saltykov-Ščedrin «in attesa alla porta del mio studio per discutere i loro voti bassi».

 

 

La specificità, il dettaglio mai menzionato per caso, è invece una caratteristica in cui è maestro Tolstoj, a cui Nabokov dedica le pagine di più ampio respiro del volume. L’analisi di Anna Karenina, che una recensione del 1984 pubblicata sulla rivista americana Slavic and East European Journal definisce deludente («disappointing»), è a mio avviso la più ricca e avvincente. Nabokov commenta accuratamente i numerosi stralci che cita dal romanzo, traccia parallelismi con Madame Bovary, descrive alcuni ambienti significativi, come lo scompartimento del treno in cui viaggia Anna da Mosca a Pietroburgo, fornisce spiegazioni culturologiche di maniera lotmaniana. Riflette poi sul tempo, che Tolstoj riesce a sincronizzare con le vite di sette personaggi che a volte sfuggono in avanti, e questo succede – nota Nabokov – nel caso dei personaggi non accoppiati che sembrano vivere più velocemente delle coppie. A proposito del ‘doppio incubo’ di Anna e Vronskij, Nabokov ha modo di ribadire la sua ostilità nei confronti di Freud, il «ciarlatano viennese». «Come qualcuno di voi può aver intuito, sono garbatamente ma fermamente contrario all’interpretazione freudiana dei sogni», scrive nelle Lezioni, mentre in un’intervista del 1968 alla BBC affermava di detestare non uno, ma ben quattro dottori: il dottor Freud, il dottor Živago, il dottor Schweitzer e il dottor Castro. 

 

Sembrerà audace sostenere che alcuni insegnamenti che Nabokov impartisce ai suoi studenti hanno un’impronta formalista, come l’affermazione secondo cui la vera funzione della letteratura sono le immagini, la parola, l’espressione e non le idee. Anche nel saggio su Gogol’ si ravvisano echi formalisti nell’attenzione che Nabokov dedica alla forma, alla prosa, definita «quadridimensionale», alla sintassi generatrice di vita, cioè capace di introdurre personaggi periferici con delle proposizioni subordinate, procedimento che dà del filo da torcere ai traduttori inglesi. (Alcune questioni traduttologiche vengono affrontate nel saggio «L’arte della traduzione».) Insieme a Tolstoj, Gogol’ occupa la sommità del canone e c’è un aspetto della poetica gogoliana che viene ripreso da Nabokov in uno dei saggi conclusivi del volume «Filistei e filisteismo». Si tratta del concetto di pošlost’, difficilmente traducibile con un solo sostantivo italiano poiché racchiude una serie di caratteristiche che oscillano tra la volgarità e lo squallore e che sono tipiche, secondo Nabokov, del filisteismo compiaciuto. Pošlost’ è l’opposto del genuino, dello schietto, del buono, è ciò che è falsamente bello, importante, intelligente, è una «verniciatura di civiltà». Nel figurarmi una rappresentazione attuale di oggetti intrisi di pošlost’ il mio pensiero va alle unghie e alle ciglia finte (non necessariamente a chi le indossa) e alle piante e a i fiori finti usati al posto di quelli veri, in bella mostra sui pianoforti di case tirate a lucido o nei negozi di arredamento impregnati di moleste profumazioni per ambienti. 

 

Anche Čechov è tra gli autori graditi a Nabokov, nonostante abbia il fiato corto, come Maupassant, cioè è in grado di eccellere solo nel racconto. «Genio del casuale» viene definito, per via dei piccoli dettagli incongruenti che pone sotto gli occhi del lettore e che sono metaforicamente conformi alla vita. La signora col cagnolino è considerato uno dei racconti più belli mai scritti, nonostante (o forse grazie a) la sua assenza di climax e di un punto conclusivo. «Chi preferisce Dostoevskij o Gor’kij a Čechov non sarà mai in grado di cogliere l’essenziale della letteratura russa e della vita russa e, cosa assai più importante, l’essenziale nell’arte letteraria» tuona Nabokov dalla sua cattedra, preparando il terreno alla stroncatura di Gor’kij. «Artista creativo poco importante», Gor’kij viene liquidato rapidamente come un «fenomeno colorito» e l’unica opera analizzata è il racconto La zattera, anche se non vengono risparmiati caustici giudizi al romanzo La madre, definito un’opera davvero scadente, e al racconto Ventisei e una, «fasullo e sentimentale», assimilabile alla monotona e borghese letteratura sovietica, su cui Nabokov si esprime duramente nel saggio che apre il volume «Scrittori, censori e lettori russi». Questo saggio è un’ideale introduzione al corso, che situa la letteratura russa nel contesto delle letterature europee e la osserva diacronicamente rintracciandovi delle costanti, cioè le tre forze contro cui gli scrittori russi hanno periodicamente dovuto lottare: la censura imperiale, la critica russa progressista e il regime sovietico. Con la critica russa progressista combatté a lungo Turgenev che tuttavia cercò ingenuamente di compiacerla raggiungendo comunque una grande popolarità. Nabokov considera Turgenev uno scrittore gradevole, ma non grande, dalla prosa ben modulata anche se troppo esplicita.

 

Si direbbe che ciascun autore trattato nelle Lezioni ispiri a Nabokov un’angolazione di analisi, categorie interpretative diverse e riflessioni generali a partire da dettagli, come la descrizione del parto di Kitty in Anna Karenina che diventa un pretesto per riflettere sulla storia della finzione letteraria. La perizia di Tolstoj nel descrivere questo evento così potentemente dilaniante viene considerata una tappa di un «processo evolutivo» assimilabile a quello scientifico. In questo processo gli scrittori che vengono dopo riescono a penetrare sempre un po’ più a fondo dei loro predecessori, come uno zoom che disvela sempre meglio la fattura delle cose: «È del tutto impossibile immaginare Omero nel nono secolo a.C., o Cervantes nel diciassettesimo secolo della nostra èra […] descrivere il parto con tali meravigliosi dettagli» scrive Nabokov, non approfondendo questo accenno di teoria che nei termini in cui è esposta potrebbe essere discutibile o quantomeno degna di essere elaborata: Tynjanov, ad esempio, negli anni ’20, dedicava almeno due interi saggi all’argomento. In questo caso è piuttosto una suggestione per far riflettere e far guardare alla letteratura in modo più complesso. E forse anche per far colpo sugli studenti, che, si sa, a Nabokov piaceva. 

 

Il professor Nabokov abbandona l’insegnamento nel 1958. «In verità non ho mai capito come sono diventato professore» afferma in un’intervista di quello stesso anno, probabilmente facendo dell’ironia. Le Lezioni sono una testimonianza di questa attività, che amò molto, nel paese in cui si sentiva più felice che in qualsiasi altro, e permettono di conoscere un volto diverso dal romanziere, dal traduttore e per certi versi anche dal critico in senso stretto, in un momento in cui avveniva la sua transizione linguistica dal russo all’inglese. Da un punto di vista del mero intrattenimento, invece, si ha la sensazione, leggendo le Lezioni, di riguardare un vecchio film cult e ricordarne scene dimenticate, con il commento di un esperto che si siede comodo in poltrona accanto a te per condividere il suo sapere, le sue idee, i suoi gusti, anche irriverenti e dissacratori. Sorridendo ogni tanto sotto i baffi a qualche sua battuta, viene persino voglia di prendere appunti, cosa che Nabokov raccomandava caldamente di fare ai suoi studenti. 

 

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Luigi Grazioli, Le Lezioni di letteratura di Vladimir Nabokov

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